Incontri coi popoli

Incontri coi popoli
Incontri coi popoli

Ucraina 2010

4.000 Km in 13 giorni, 82 ore di guida fra 7 Stati, 4 capitali e 1 fuso orario
(clicca sulla cartina per ingrandire)


Transcarpazia in video   (clicca qui)

Transcarpazia in foto   (clicca qui)


Tunisia 2010 - ad est dell'anima: l'antefatto
Finalmente dopo tanto tempo, rieccomi nuovamente davanti a questo monitor a descrivere una nuova avventura.
Anche se col titolo del blog non ha nulla a che vedere, questo nuovo lavoro vuole essere una parentesi dei miei viaggi classici, una alternativa nel trovare anche in mezzo al deserto, oltre le dune di sabbia, quell'emozione che ho vissuto guardando un paio di anni fa un tramonto spegnersi nel fiume Volga; oppure, in marcia verso il confine kazako, mentre alti muri bianchi di betulle, paralleli alla strada, mi facevano compagnia per chilometri, quando il sole calava alle mie spalle. Perchè io penso che, in ogni luogo, anche quello più dimenticato e lontano, ci sia sempre un po' di est.




Transcarpazia: il progetto
E' successo quello che non dovrebbe mai succedere in corso d'opera di progettazione di un viaggio. Per una serie di incomprensioni con gli altri partecipanti, questa nuova esperienza si ferma qui, dopo sette mesi e mezzo di lavoro.
Ma non si ferma sicuramente la voglia di partire, di viaggiare, di conoscere. Quella fortunatamente, è sempre in attività, ed è la molla che ci spinge a trovare altre alternative, sempre.
Il poco tempo rimasto, e che ci manca prima delle ferie, non ci permette stavolta di organizzare al meglio un viaggio in solitaria come lo intendiamo noi. E per la prima volta, ci siamo messi in contatto con una agenzia di viaggi, specializzata in turismo e avventura.
Ciò ha permesso di farci conoscere due persone piacevoli, dove la passione in comune con noi, e la "simpatia" per certi luoghi, hanno permesso di instaurare un bel legame di amicizia.
Come potrebbe essere diversamente, un posto che non rispecchi il nome di questo blog?
Infatti, il progetto con queste persone conosciute, è di ritornare in Ucraina, a visitare posti a noi già familiari, visti due anni fa, ma con la promessa di vederne di nuovi, e di provare una emozione diversa, circondati dalla natura selvaggia, e attorniati da altri appassionati col quad.




L'avventura:
Rieccoci qua, a tre mesi dal nostro ritorno dall’Ucraina, a buttare giù una marea di ricordi, emozioni e sensazioni.
Per parlare del nostro viaggio in Ucraina-Transcarpazia, si dovrebbe partire dalla fine. Quando ormai le ferie volgono al termine, e ci si trova al confine polacco a riflettere su quanto visto in poco meno di 13 giorni di permanenza in terra ortodossa. Le nostre menti non smettono di rimacinare su mille e mille immagini che ci si sono stampate negli occhi, e pensiamo che ci sarebbe bisogno di qualche giorno di ferie in più in un territorio neutro come la Polonia per fermarci e lasciar decantare i ricordi che si sono affastellati alla rinfusa; come se il tempo a nostra disposizione non fosse bastato, ai nostri occhi avidi di emozioni ed esperienze, per comprendere quanto vedevamo. Che poi, alla fin fine, che cosa abbiamo visto di così speciale? Nulla di che, la Transcarpazia non è il Pamir, non sono gli Urali - balcone sulla sterminata Siberia - non sono nemmeno i Carpazi romeni, con tutto il loro carico di vampiresche leggende … e allora? Appunto: evidentemente c’era qualcosa che ha toccato i nostri cuori di viaggiatori.
Mentre percorriamo le noiose e ormai “maastrichtiane” strade polacche, sforzandoci di dimenticare l’alfabeto cirillico in favore di quello latino, riflettiamo su che cosa ci ha tanto colpito. Sarà che alla partenza, appena lasci l’Europa “moderna” alla dogana ungherese, per entrare nel confine ucraino, è come se ti lasciassi alle spalle il presente per approdare al passato. Come in Russia, siamo in un altro mondo, un salto indietro nel tempo di cinquant’anni. Le strade con le buche, i carretti trainati da cavalli, i campi arati a mano col ronzino (e di trattori nemmeno l’ombra) le chiesette con le cupole a cipolla, bimbi che all’uscita da scuola trovano uno scuolabus scalcinato (quando c’è) oppure si torna a casa a piedi (altro che teoria di SUV come da noi) tanta spiritualità, il pozzo dell’acqua fuori casa (ma antenna satellitare d’ordinanza sul tetto), animali al pascolo liberi di girare anche per strada che manco in India…. Forse è questo mix di contraddizioni che ci affascina tanto, e sicuramente l’assoluta mancanza di fretta e frenesia che condiziona le nostre vite di “occidentali”. In fin dei conti l’Occidente, come lo si intende, finisce qui: non è ancora il troppo mitizzato Oriente, ma è quella “terra di mezzo”, fatta di gesti pratici e semplici, di vita senza troppi fronzoli e soprattutto cose inutili a restringere gli orizzonti, mentali e fisici; fatta di casette senza pretese, forse umili, forse modeste ma sempre dignitose, dove il proprio orto coltivato con verdure e tanti fiori colorati non manca mai, e dove è d’obbligo abbellire le cornici delle finestre con delicate grechine, quasi un’anteprima dei ricami che sicuramente si troveranno all’interno. E pensare che, quest’anno, dovevamo andarcene in Tunisia…. Probabilmente il Destino, che evidentemente sa leggere bene nel fondo dei nostri cuori semoventi, ha deciso per noi altrimenti, spostando l’ago della bussola ancora, e di nuovo, verso il sole nascente.
Le prime avvisaglie di questa brusca sterzata d’itinerario le abbiamo avute in primavera, quando i nostri nuovi compagni di viaggio, col quale avevamo costruito durante tutto l’autunno precedente l’avventura africana, avevano manifestato i primi, puerili, tentennamenti. A giugno, a tre mesi dalla partenza, col programma di viaggio e l’itinerario nel deserto già meticolosamente preparato da Max, il colpo di grazia: per altrui capricci dell’ultim’ora, l’avventura salta. Avremmo anche potuto andarcene noi da soli, ma l’idea di affrontare due giorni di viaggio tra gli Chott, solo noi due lontano dalle piste battute, non ci attirava proprio, vista la nostra totale inesperienza di sabbia e zone desertiche. Che fare? Ormai avevamo già messo in calendario le date di partenza e di rientro, sarebbe stato un peccato gettare alle ortiche delle ferie tanto sudate. Ecco, si diceva, il Destino, colui che tiene in mano la bussola e si diverte a girare l’ago sempre verso Nord-Est…
Un pomeriggio ci troviamo ad osservare un po’ perplessi la carta dell’Europa appesa in corridoio… ed ecco che, malandrino, si insinua il pensiero dell’Ucraina: il ricordo dei suoi Carpazi boscosi, che frettolosamente avevamo intravisto durante il nostro viaggio verso la Russia, ci era rimasto nel cuore. Già, ma a tre mesi scarsi dalla partenza e con tre settimane a nostra disposizione, riusciremo a farcela? Massì, ormai siamo viaggiatori vaccinati! Detto fatto, Ucraina - Carpazi e ritorno, perfetto. Inutile nasconderci dietro ad una matita, pronunciare “Ucraina” ci dava molta più soddisfazione che pronunciare “Tunisia”. E, dato che il tempo per preparare un raid in Ucraina (secondo i nostri pignolissimi criteri) ormai era proprio esiguo, una tantum ci saremmo affidati ad un tour operator.
Se il Destino ci ha guardato nei cuori, il Diavolo ci ha messo la coda: mai partenza è stata tanto sofferta.
Per tutta una serie di disavventure burocratiche a metà tra il ridicolo ed il grottesco (libretto di circolazione imbucato negli uffici della Motorizzazione, pezzi di ricambio del Nissan arrivati in extremis, pneumatici che si sono reperiti non senza difficoltà e montati il giorno prima della partenza), alla fine abbiamo mollato gli ormeggi con un ritardo di 10 giorni sulla tabella di marcia! Insomma, sembrava proprio che quest’anno, di partire, non fosse cosa.
Un martedì, finalmente, puntiamo in direzione Budapest, ormai tappa collaudata e non troppo stancante. A Razdrto, in Slovenia, imbocchiamo l’autostrada ed i quasi 560 km che ci separano dalla capitale magiara scivolano veloci nelle circa 6 ore di guida. Il viaggio fila via liscio fino a Cakovec, in Croazia: la nostra avventura avrebbe potuto finire miseramente in centro città: nel mezzo di una rotonda, nella quale ci eravamo già abbondantemente inseriti, un’automobile locale, complice forse l’inesperienza su come affrontare una rotonda, ci punta addosso e solo con una sua frenata al limite, ed una nostra sbandata controllata, scongiuriamo in 10 cm. l’inevitabile scontro. Dopo aver sacramentato il dovuto all’indirizzo del pirla su quattro ruote, riprendiamo il viaggio, senza intoppi, alla volta di Budapest. Proseguiamo e, nel primo pomeriggio, breve sosta sul Balaton, tanto per dire “io c’ero” (ancora?!); dato che siamo largamente in anticipo, decidiamo di proseguire per altri 240 km fino alla città di Nyiregyháza, dove ci fermiamo per la notte. Sosta in un motel caratteristico della Pannonia, lauta cena magiara condita da ottime birre (belghe, però…..).
La mattina successiva, ci mettiamo in marcia con un po’ più di calma, vista la vicinanza del confine con l’Ucraina. Il cielo è coperto, fortunatamente non piove. In un’ora di strada siamo al confine di Chop. Alla dogana ungherese ci fanno compilare un talloncino (“talòn”), rigorosamente scritto in ungherese, la compilazione del quale si rivela un tantino problematica. Grazie alla pazienza di un funzionario, in circa 30 minuti ce la facciamo ad uscire dall’Ungheria. Approdiamo alla dogana ucraina. Incredibile, ma non c’è nessuna fila. Due anni prima, forse perché era agosto, la teoria di mezzi era impressionante: evidentemente, settembre si rivela il mese migliore per viaggiare. Solita trafila burocratica (ma più svelta), rapida occhiata del nostro mezzo da parte di una bella doganiera, e solite domande di rito (ovviamente in ucraino): “Dove andate? Perché ci andate? In quanti siete? (sic!) Buon viaggio!”, finalmente, sotto ad una sottile pioggia autunnale, siamo in Ucraina, ed il cartello “Zakarpats’ka Oblast’” (Regione della Transcarpazia) ci accoglie, assieme ai cambiavalute abusivi. Logicamente, i nostri cuori hanno un sussulto. E’ il medesimo confine attraversato durante la nostra spedizione intercontinentale, il confine che ci apriva le porte dell’avventura vera. E quell’aria un po’ sovietica che, nonostante la “rivoluzione arancione”, si respira ancora, ci fa tirare un sospirone, pregno di ricordi. Toh, ma qui si attraversa un fuso orario! Mandiamo avanti gli orologi di un’ora.
Ora di pranzo, piove. Ci fermiamo nei pressi di Svaljava in un ristorante polacco, immerso in un bel parco. Lo stile all’interno è un po’ decadente, ma in compenso si mangia bene e finalmente assaggiamo le birre ucraine, decisamente buone! Nel pomeriggio, sempre sotto una pioggia battente, ci dirigiamo alla volta di Strij: lungo la strada dei Carpazi, ci fermiamo spesso e volentieri nelle numerose bancarelle di souvenir locali e facciamo man bassa di oggetti originali, sfogando così un desiderio non appagato due anni prima! Comincia a far buio, e troviamo lungo la strada un simpatico motel (al “Vichingo dei Carpazi”) dove sistemare noi e l’auto. Per la cena e la colazione del giorno dopo, ci arrangiamo alla tavola calda della pompa di benzina adiacente. Siamo soli a cena, e anche per la colazione del mattino. Di sera piove, fa quasi freddo e una buona scodella di boršc’ bollente è quello che ci vuole! La mattina, brioches russe, tè e cioccolato. Ci facciamo capire con quattro parole di russo, il che, in terra ucraina, non è proprio il massimo, ma considerando che siamo stranieri (italiani, poi!) e che l’inglese comincia ad essere un idioma sconosciuto, siamo guardati con un misto di comprensione e benevolenza dai nostri interlocutori. Io ho ancora difficoltà a leggere il cirillico scritto in corsivo, ma nonostante i miei handicap… non siamo mai morti di fame né, tantomeno, di sete!
Ci mettiamo in marcia alla volta di Leopoli (L’viv), sotto una pioggia a tratti battente. Dopo circa un’ora e mezza di strada, con poco traffico, parcheggiamo in centro con un timido sole. Ci dirigiamo verso il mercatino, che offre una quantità industriale di souvenir ricamati: tra tovaglie, camicie, abiti, io non so che cosa scegliere, perché è tutto così bello che mi ci vorrebbe mezza giornata (rigorosamente da sola!) per scegliere una qualsiasi camicia a punto croce. Prendiamo soltanto una tovaglietta, rimandando ad un prossimo futuro la scelta delle camicie! Bighellonare tra le bancarelle che offrono di tutto mette fame.
Ci fermiamo a pranzare in un raffinato ristorante (unici avventori); il pomeriggio, per fortuna senza pioggia, facciamo i turisti qualsiasi e ci dirigiamo fino alla centrale piazza del mercato, dove in un bar all’aperto ci facciamo servire due ottime L’vivs’ke: quasi quasi fanno concorrenza alle birre polacche! Sorseggiandole, osserviamo la vita di Leopoli e la sua gente. La città è in fermento, lavori edili ovunque causa Europei di calcio del 2012, un viavai di scavatori, trivelle, camion, e la gente che fa la gimcana tra una scavatrice e un camion di terra: le norme minime di sicurezza qui evidentemente non sanno che cosa siano. Con notevole disappunto, ci accorgiamo che sono già le 17 passate e noi stiamo ancora in piazza, a sorseggiare l’ennesima birra…. Ci affrettiamo ad uscire dalla città, alla ricerca di un posto dove passare la notte. E’ già buio quando approdiamo in un Motel di Strij: cena in camera (hamburger imbottiti di cetrioli comprati al baracchino in strada) e ci imbustiamo a letto, col rumore della pioggia che cade incessante…
Il mattino seguente, dato il clima veramente infelice (leggi: pioggia insistente), non troviamo di meglio che tornare verso il confine di Chop a fotografare le case degli zingari, un trionfo di kitch tzigano. Purtroppo, al nostro arrivo, si mette a diluviare: due scatti rubati alle villette fucsia, rosa e viola, coi leoni di pietra in coccio ai lati dei cancelli di ferro battuto bianco, ridicolo contrasto con le case degli ucraini, normali costruzioni di campagna in muratura, generalmente bianca.
Per scacciare lo sconforto, ci fermiamo a pranzare in un bel ristorante di Chop, moderno ma accogliente. Carne arrosto e “bal’šoje pivo” a volontà! Abbiamo ancora tutto il pomeriggio davanti, prima di incontrarci con Artur, il nostro operatore turistico “personale” che ci accompagnerà per i prossimi 7 giorni. Torniamo quindi verso Svaljava, alla ricerca della località turistica Poljana Kvasova, meta del nostro soggiorno. La troviamo abbastanza agevolmente e ne rimaniamo incantati: tutta la zona è immersa in una foresta ricca di acque minerali, ed il complesso è composto da meravigliosi chalet a due piani, tutti completamente in legno; tronchi d’albero incastrati l’uno nell’altro a formare una casetta da fiaba! L’aria è pungente di odori, le foreste della Transcarpazia ci danno il loro benvenuto! Entriamo nel locale ristorante e poco dopo ci viene incontro Oleg, il proprietario del complesso: usando la lingua universale (quattro parole di russo, cinque di tedesco, tre di inglese, una di italiano e tanta gestualità) ci intendiamo a meraviglia, soprattutto grazie anche a due generosi boccali di birra gentilmente offertici. Ci accompagna al nostro chalet, in un complesso poco distante dal ristorante. Casetta fatta di tronchi, con un ampio porticato, camera spaziosa e bagno con doccia-idromassaggio! Tutto pulito e confortevole. A sera tardi finalmente ci troviamo con Artur, il nostro “personal tutor”, giunto in volo dall’Italia, colui che ci ha organizzato la settimana fin nei dettagli. Ceniamo con delle gustose trote appena pescate, innaffiate con tanta vodka…. Ormai siamo in Ucraina, e alla vodka ci si deve abituare da subito! Poi tutti a nanna, perché l’indomani è giorno di trophy!
E’ sabato, e ancora pioviggina. Non c’è pericolo di non trovare fango, pensiamo, in fin dei conti Max è venuto quassù anche per sfogarsi col Nissan nelle fangaie! Scopriamo che qui, la colazione come la intendiamo noi (cappuccino, brioscina, biscottini, cioccolatina…) non esiste proprio: siamo in Transcarpazia, regno dei duri montanari Guzuli, qui la giornata inizia con affettati, uova, salsicce e… vodka! Per digerire, alla fine, una bella tazza di chaj (tè) nero. Tutto ciò perché da queste parti si sa che prima o poi si cena, ma non se si riuscirà a pranzare… Ci adattiamo di buon grado alla ipercalorica colazione e intanto facciamo conoscenza con i nostri compagni di viaggio, cioè le guide locali e i loro amici. Saremo in tutto in 9 persone con tre mezzi: una UAZ, un Patrol 3.3 e la nostra. Partiamo subito alla volta del mercato di Svaljava, dove le guide acquisteranno il necessario per il pranzo: pomodori, cipollotti, peperoni, carne, patate, lardo e pancetta affumicata. Max mi aspetta fuori, io approfitto per fare un giro tra i banchi del mercato; che delizia! Colori e profumi che non trovavo più dalla mia infanzia, ricordi di quando si andava con mamma a fare la spesa nei mercati oltre confine, in quella che era la Jugoslavia. Tutto sapeva di genuino! Esauriti gli incombenti al mercato, ci mettiamo in marcia fino a raggiungere il limitare dei boschi. Ci fermiamo (ancora?) in un minuscolo spaccio-bar, ma stavolta è per obbedire ad un sacro rito propiziatorio: un giro di vodka per tutti (e birra, giusto per non perdere l’abitudine), oltre a scaldare gli animi ci dà quel coraggio necessario per affrontare i Carpazi.
Rieccoci in marcia; dopo mezz’ora di trasferimento, entriamo in una zona, ex base militare sovietica , protetta da una sbarra di accesso. Sotto una sottile pioggia, capiamo perché questi sono chiamati Carpazi Boscosi: è tutto un susseguirsi di alberi alti e fitti, e io mi diverto a censirne le varietà: aceri, querce, faggi, carpini, sorbi, pini silvestri, abeti rossi simili ai nostri, e, meravigliosamente nordiche, le betulle! Il tutto su di un sottobosco profumatissimo (ci sono pure delle ombrellifere alte due metri!) e la pioggia rende tutti gli odori pungenti e freschi. Funghi per ogni dove! Ancora una breve sosta per sgonfiare i pneumatici, vista la quantità di fango che troveremo. Meta finale del nostro “trophy”: la vetta del monte Stoj, a circa 1670 m. Diamo una mano a sistemare anche Artur, la nostra guida che ci farà anche da cineoperatore, sul tetto del loro Patrol e partiamo, col cielo che ci guarda minaccioso…
Durante il percorso incontriamo dei piccoli guadi, che superiamo senza problemi. I guai iniziano sulle salite fangose dove, nonostante avessimo tutti le gomme da fango, troviamo qualche difficoltà. Il percorso è divertente e molto suggestivo; ogni tanto qualche raggio di sole si apre la strada tra le nubi, e tutto il paesaggio diventa più saturo e luccicante. Su di un crinale ci fermiamo a raccogliere i funghi... per il pranzo! In meno di 10 minuti, Edo, una delle guide, raccoglie dei laricini e dei porcini enormi! A metà del tragitto, ci fermiamo in una ex base militare sovietica. Ci viene raccontato che questa era la più grande postazione missilistica dell’Unione Sovietica Occidentale, coi missili puntati direttamente a Ovest. Foto di rito nelle rampe di lancio….
Si avvicina l’ora di pranzo. Ma il pranzo bisogna guadagnarselo e, perciò, dagli di gas e via nelle fangaie di una bellissima foresta di faggi! Ci divertiamo tutti: chi guida, a sguazzare come bambini nel fango che arriva al ginocchio, e chi fotografa… a ritrarre mezzi, piloti e la certezza di portare a casa foto strepitose da inserire nei vari siti web e far morire d’invidia gli amici! Ci fermiamo in un capanno di cacciatori. Artur si è affidato a dei veri professionisti dell’outdoor: l’organizzazione di Edo è impeccabile: in men che non si dica, il fuoco è acceso, le verdure lavate, la tavola apparecchiata ed io, unica donna partecipante, assaporo
il sottile piacere del non far nulla mentre, seduta sul prato, osservo compiaciuta ben 7 uomini che cucinano per me…. Quando mai mi capiterà un’altra occasione così? Mi limito a scattare le foto e Max riprende il tutto con la videocamera, mentre ci assale il languore al profumo dei šašlyk (grossi spiedi di carne) che si stanno arrostendo, assieme alle patate alla brace. Juri, uno degli accompagnatori, che di professione fa il dentista, intanto sta trifolando i funghetti prima raccolti, tenendo sul fuoco una padella di ferro, misteriosamente senza scottarsi le mani…. Ah, per forza, sono veri uomini dei Carpazi! Ci sediamo a tavola, assaporando di gusto, ovviamente annaffiando tutto questo ben di Dio con birre, acqua e l’immancabile vodka! Le ore trascorrono veloci e in allegria. Artur ci fa da traduttore simultaneo, ma dopo un paio di bicchieri le distanze linguistiche si azzerano! A malincuore ci alziamo tutti, è ora di pensare al ritorno. Al tramonto ci troviamo sulla cima del Monte Stoj: 3 gradi, un vento che taglia il viso e una fastidiosa nebbia che comincia a calare. Ci troviamo ancora in foresta che il buio ormai ci sorprende: in fin dei conti siamo a metà settembre, molto a Est e in montagna. Alle 19 è ormai buio pesto. Arriviamo in città verso le 21, stanchi morti ma con ancora tanta allegria; ultimo brindisi per salutare Edo (Eduard), Juri, l’altro Juri, Roman, suo fratello Oleg e il ragazzo Mirko (Miroslav). Arriviamo in camera letteralmente sfiniti, dopo circa 40 km in foresta, ma contenti per il bellissimo giro.
Domenica, e… piove! Purtroppo, causa un mio fastidioso mal di schiena, siamo costretti a rinunciare alla gita alle cascate e al bagno nel pentolone a Lumšori, rimedio tradizionale per guarire dagli acciacchi! Il rimedio consiste nell’immergersi in un pentolone posto sul fuoco e riempito di acqua minerale che sgorga dalla sorgente vicina, l’acqua viene riscaldata e, quando è caldissima, ci si getta nell’acqua fredda del torrente a fianco, e poi si ripete il tutto. Dicono sia miracolosa! Peccato, sarà per la prossima volta. Pertanto ci riposiamo, anche perché siamo ancora stanchi di ieri!
Lunedì… toh, c’è il sole! Infatti, in programma c’è una mezza giornata al chiuso in una fortezza! Poco male, la giornata si rivela poi stupenda, una temperatura magnifica; insieme alle guide di ieri, facciamo colazione in un bellissimo posto di ristoro situato in un parco in mezzo ad una foresta, in una riserva di caccia, dove c’è anche un recinto con dei magnifici cinghiali. Dopo colazione, portiamo loro del pane, li facciamo felici! Partiamo alla volta della fortezza di Mukachevo, molto interessante (storia patria e usi e costumi delle genti ucraine). A pranzo, altra sorpresa: dopo aver visitato un fornitissimo mercatino all’aperto, ricolmo di pezzi di artigianato da lasciarci gli occhi, ci fermiamo a mangiare in un localino sulla strada, che offre trote fresche e altre prelibatezze. Sono circa le 13, tutto intorno a noi i Carpazi con le loro foreste. E, lì seduti, li sentiamo. Dapprima non ci sembra vero, poi ascoltiamo con attenzione: sono lupi! Le guide confermano, sono lupi che lanciano i loro ululati da un monte all’altro, per tenere i contatti col branco. Ma di giorno! Io sono elettrizzata, per me solo questo valeva tutto il viaggio! Il suono dell’ululato è qualcosa di ancestrale e che risveglia in ognuno di noi inquietudini forse mai sopite. Non lo dimenticheremo mai.
Bruscamente ritorniamo alla realtà quando Artur ci avvisa che dobbiamo rimetterci in marcia per Poljana, per fare i bagagli e trasferirci a Kolomja, altra tappa del nostro tour. Il viaggio dura circa 4 ore, durante le quali abbiamo modo di osservare un pezzo di Ucraina rurale nella pallida luce del crepuscolo. Questo sarà anche il viaggio delle foto mancate: causa l’ora tarda, non riusciamo a fermarci a fotografare una chiesa strepitosa, che sembrava uscire diritta da un libro di fiabe russe: cupole sì a cipolla, ma dall’apice talmente allungato che sembravano come se qualcuno avesse spremuto un tubetto di tempera blu sui tetti della chiesa: largo alla base e con un lungo “filo” di colore che si perdeva nel cielo…. Pareva un gingillo per l’albero di Natale. Pazzesca.
Verso le 20 arriviamo a Kolomja: Artur e la nuova guida locale, Ruslan, ci sistemano in una ex casa del Partito, ora di proprietà di una associazione turistica. La nostra camera è situata al primo piano, in un dedalo di corridoi ed uscite segrete su altri corridoi e altre camere… il tutto sa molto di spionaggio! Dentro, tutto in legno, spartano ma confortevole. Cena nel bar sottostante, con la techno ucraina a tutto volume; domani ci aspetta una visita della città con tanto di guida locale.
Il mattino comincia col sole e una colazione super: tartine di patê di salmone, insalata russa, frutta e tè, recapitataci direttamente in camera. E poi via, ad incontrare Olga, la nostra guida locale. Prima tappa al museo cittadino di storia patria, scopriamo un altro aspetto della vita ucraina. Poi il museo delle uova di Pasqua! Non come le intendiamo noi, ovviamente, ma delle bellissime uova dipinte, di gallina, ma anche di oca (e persino di struzzo!), pezzi davvero unici e preziosi. Rimaniamo incantati dalla varietà dei colori, dei decori, dai particolari minuziosamente dipinti, non solo ghirigori ma addirittura mosaici in punta di pennello! Ogni villaggio segue dei propri canoni estetici, ogni paese ed ogni famiglia ha il suo colore e il suo motivo. Sono stupendi, ne rimaniamo incantati. Il museo non offre soltanto uova, ma anche altri prodotti dell’artigianato locale, quali strepitosi tappeti, canovacci ricamati a punto croce e, meraviglia delle meraviglie, quadri con scene agresti, ma non sono dipinti: i personaggi e i paesaggi sono creati coi gambi delle spighe di grano! Sembrano cineserie, o figure da Mille e una notte. Ne rimaniamo sul serio folgorati, chiediamo a Olga se si possono trovare in giro, ma pare che ormai questa tecnica di artigianato si sia persa nel tempo e quindi… ormai si trovano solo nei musei. Un vero peccato; ci consoliamo facendo le foto a queste vere opere d’arte. Usciamo, la giornata è magnifica. Breve giro del centro storico di Kolomja per dirigerci al museo del popolo Guzuli, un gruppo etnico originario proprio dei Carpazi ucraini. Abbiamo già avuto modo di ammirare il notevole livello artistico e senso estetico degli ucraini, ma qui… siamo di fronte a veri capolavori di artigianato popolare. Costumi, tessuti e oggetti per la casa di una ricchezza e complessità uniche: abiti per le feste popolari che sembrano una fusione tra i costumi dei Pellerossa (soprattutto per l’uso dei pellami e dei copricapi di piume) e quelli dei popoli dell’Orda d’oro, pieni di decori e applicazioni in metallo sbalzato. Sono letteralmente incredibili, rimaniamo davvero impressionati. Purtroppo non ci lasciano fare le fotografie, ripieghiamo con il catalogo che acquistiamo al book shop del museo. Poi numerose opere d’arte locale, molti dipinti. Veramente interessante, una piacevolissima sorpresa. A pranzo ci ritroviamo con Ruslan; sul suo pullmino, il pomeriggio lo dedichiamo alla visita della località sciistica denominata Bukovel, località che sembra una specie di Cortina in salsa ucraina; il complesso turistico è enorme, tanti chalet e tanti lavori ancora in corso. Giro con la seggiovia, ammiriamo le cime dei Carpazi e vediamo pure la cima del monte Goverla, la più alta di tutta l’Ucraina, nello splendore dei colori autunnali. Per finire, sulla strada del ritorno, visita al mercato tradizionale dei Guzuli, proprio sopra ad un fiume. Anche lì, tante pellicce, tante camicie ricamate… non so che cosa scegliere! Alla fine ripieghiamo su un sobrio ma molto bello tappeto in lana, che ora fa bella mostra di sé nel nostro salotto, per la gioia dei gatti…
Durante il trasferimento pomeridiano sul pullmino di Ruslan, abbiamo modo di osservare ancora la ruralità dei Carpazi; tanto verde, tanta campagna molto più curata rispetto a quanto osservato due anni fa, tanti carretti trainati da cavalli come mezzo di trasporto e soprattutto osserviamo che, chi ha anche solo un praticello dietro casa, lo sfrutta per il pascolo di un qualsiasi animale, che sia una capra, una mucca, dei tacchini… la vera ricchezza di queste famiglie. Tanti alberelli di sorbo e soprattutto di ciavardello, con le bacche che virano tra il giallo e il rosso e che sembra un po’ l’arbusto legato alla tradizione popolare di questi luoghi; le sue foglie e le sue bellissime bacche, infatti, le abbiamo incontrate sia sui ricami che sui fenomenali quadri esposti al museo delle uova. La luce obliqua del pomeriggio soleggiato rende il tutto estremamente suggestivo. L’autunno, forse, è la stagione più emozionante di tutte…
Il mattino dopo, ci vediamo nuovamente con Ruslan e facciamo conoscenza con sua moglie Julia. Si parte per una nuova spedizione off-road, stavolta con un solo mezzo d’appoggio, un vecchia UAZ. E’ pure previsto il pernottamento “outdoor”, o in tenda oppure in una casa di caccia. Siamo elettrizzati, dormire all’aperto in una foresta è un’esperienza che ancora non avevamo affrontato.
Ci troviamo tutti nel giardino di casa di una delle guide. C’è pure un signore anziano, vestito a festa, gessato e cappello ma… con gli stivali di gomma. Chiediamo ad Artur: “Ma nonno viene con noi?” “Certo” risponde “è guida e autista!”. Al momento rimaniamo un po’ basiti, ma un pilota esperto fa sempre comodo, no? Alla fine, sul UAZ prendono posto ben 7 persone! La guida locale (Ruslan), sua moglie Julia, Artur, nonno Taras (che guida il mezzo), il padrone di casa, il nipote di nonno Taras e un altro signore anzianotto, e noi dietro col nostro Patrol. Attraversiamo una campagna molto interessante e ci immergiamo subito nella foresta. La giornata è bella e ci godiamo finalmente un po’ di luce adatta per scattare una marea di foto! Diversi passaggi tecnici di varie difficoltà e notevole divertimento, guadi di torrenti cristallini, intervallati da pause per ammirare i Carpazi da altre angolazioni e una breve escursione su di un’altura rocciosa (e relativa raccolta di funghi per il pranzo); siamo in zona ricca di pozzi, viaggiamo su un giacimento di nafta che sgorga dappertutto: è singolare osservare mucche al pascolo in un bucolico paesaggio simil-svizzero e attorno pompe che gocciolano greggio! Per il pranzo ci fermiamo al limitare di un bosco, in una zona pic-nic. Lardo salatissimo ma forse il migliore mai assaggiato, cipolle, pomodori, uova sode, salumi, formaggio e uva, l’immancabile vodka, tutto genuino. La foresta ci circonda con un silenzio che si potrebbe quasi definire assordante, se non fosse per il richiamo di qualche gufo. Aria fresca e pura, le nostre guide preparano il fuoco per i funghi. Che pacchia! Il pomeriggio trascorre tra diversi passaggi piuttosto impegnativi: rocce e fango, nel quale Max si pianta: è il momento di usare il verricello. Grazie principalmente alla sua esperienza, e con la collaborazione ed i suggerimenti di tutti, riesce a tirarsi fuori. Noi, una volta tornati a casa, avremo materiale a sufficienza da mostrare agli amici fuoristradisti, le guide avranno di che raccontare, ad amici e parenti, durante le lunghe serate invernali, sull’impresa degli “italinskii”. Arriviamo in una zona vicino ad un torrente, ai lati ci sono delle casette dei cacciatori. In teoria dovremmo dormire lì, ma qualcosa non va: sono chiuse. Artur ci dice che sono sempre aperte, proprio per dare rifugio a chi venisse sorpreso dal buio nella foresta, ma stavolta le porte sono chiuse a chiave! Allora? No problem, una soluzione si trova sempre. Ci rimettiamo in marcia. Facciamo anche degli incontri: un papà con la sua bimba che regge un porcino grande quasi come lei; in una zona estrattiva lasciamo lì il signore anziano che ci ha accompagnato per caricare sulla UAZ il guardiano del pozzo, che avremmo poi scaricato più avanti, in mezzo al nulla. Artur ci dice che andava a casa… sì ma a casa DOVE, che non c’è nulla altro che foresta? E ci sono pure gli orsi che vagano affamati, prima di ritirarsi nel lungo sonno invernale… Misteri dei Carpazi. Ormai è buio, siamo quasi arrivati che stavolta è il UAZ a piantarsi su uno sterrato fangosissimo. Dopo qualche difficoltà, riesce ad uscire. E’ calata la sera, e siamo ritornati nel giardino di stamattina. Artur ci indica la sovrastante casa e ci avvisa che verremo ospitati tutti quanti proprio lì, in casa di uno degli accompagnatori e di sua moglie Natalja. Rimaniamo sul momento un po’ interdetti, perché non volevamo mettere subbuglio e creare disagi, ma ormai ci hanno già preparato il letto… Sotto un cielo stellato, ci troviamo davanti ad un fuoco scoppiettante, con Ruslan che lo sorveglia: salsicce e šašlik sono già ad arrostire, ma la vera sorpresa la preparano Natalja e Julia: una fumante polenta gialla condita con formaggio sbriciolato: sarà la fame, sarà il freddo, sarà la stanchezza, ma una polenta così buona non l’abbiamo mai assaggiata da nessun’altra parte! Ancora tanti brindisi alla giornata, all’amicizia, all’incontro coi popoli, poi nonno Taras e il nipote se ne vanno, e noi ci prepariamo per la notte. Siamo ospiti di riguardo e ci fanno dormire sul divano letto del salotto. Fuori comincia a far freddo, ed io non posso far a meno di osservare l’esiguo spessore dei vetri delle finestre e dei telai che sono forse la metà dei nostri: qui l’inverno raggiunge anche i – 30°, come fanno a non aver freddo in casa con dei vetri così sottili? Forse perché il riscaldamento costa poco? Oppure perché sono tutti robusti e bevono vodka? O forse perché ci sono abituati? Con queste domande irrisolte, ci addormentiamo come sassi.
Ci alziamo di buon’ora; il sole comincia a far capolino dalla bruma, l’aria è pungente e non perdiamo occasione per coccolare un po’ un vitellino, tenuto a catena nel giardino luccicante di rugiada. Ringraziamo Natalja e suo marito per l’ospitalità e ce ne torniamo a Kolomja. Il fiato dei cavalli che tirano i carretti pieni di patate si spande nell’umidità, quasi un’anteprima delle scene di un mondo antico e perduto che avremmo poi visto nel pomeriggio.
Facciamo colazione a Kolomja, in un localino caratteristico, sembra una casa di campagna, tutto legno, ricami ed antichi attrezzi da lavoro. Ci incontriamo con un tassista che carica Artur sulla sua macchina, per poi condurci alla volta del supposto centro geografico d’Europa (supposto, perché non sembra proprio nel centro d’Europa, ma gli Ucraini ne sono convinti, tanto da averlo difeso in varie sedi ed averci fatto su un monumento). La giornata è tersa e limpida, il viaggio da Kolomja al monumento dura circa 2 ore e ¼, su una strada che si srotola esattamente al confine ucraino-rumeno; uno stretto fiume ci scorre accanto, e quello fa da confine naturale con la Romania. La zona è magnifica: fitte foreste che accennano già a colorarsi d’autunno, una campagna che sembra essere uscita da un quadro impressionista, paesaggio senza tempo che ci riempie gli occhi di serenità. Eccoci al famoso centro geografico d’Europa! Due bancarelle di souvenir, tabelle esplicative su flora e fauna, il monumento in cemento e acciaio e l’iscrizione con tanto di panchina per le foto di rito, sfondo scelto da una bellissima ragazzina dagli occhi azzurri per una sessione di foto… artistiche. Foto di rito anche per noi. Dato che è ora di pranzo, ci accomodiamo tutti e quattro (noi con Artur e il tassista) nel vicino locale che è insieme ristorante e museo delle arti contadine; all’aperto, sotto ad un gazebo, ordiniamo quanto di meglio offre la cucina dei Carpazi: polenta, salsicce e patate, però con Coca-cola, visto il lungo viaggio di ritorno che ci aspetta e i probabili posti di blocco di polizia (siamo pur sempre su una frontiera bazzicata da trafficanti d’ogni tipo, ed i controlli sono frequenti).
Al ritorno, è tutto un susseguirsi di immagini d’altri tempi: sembra di stare veramente in un quadro vivente. Una campagna antica, coi gesti ed i lavori che ormai da noi si sono persi: campi arati con l’aratro col cavallo, mucche al pascolo davanti a casa, bambini che passano il pomeriggio a giocare e raccogliere le noci cadute a terra; attraversiamo il villaggio di Isa, famoso per essere patria di cestai (addirittura, accanto al nome del villaggio formato da un manufatto di cemento, c’è proprio un cestino, pure in cemento, giusto per ribadire il concetto): la strada taglia il paese in due, e ai due lati scorrono le case degli abitanti, ognuna con i suoi cesti, sedie, dondoli e altri manufatti esposti, tutti in vimini e canne; un artigiano conduce il suo cavallo con la groppa piena di canne da lavorare. Io divoro tutto con sguardo desideroso, mentre Max mi fa gli occhiacci, per scoraggiare qualsiasi mia velleità d’acquisto (un altro cesto in casa e chiede il divorzio…). I campi con le stoppie bruciate, che producono un fumo denso e che spesso invade la carreggiata; la luce del pomeriggio che filtra attraverso il fumo chiaro ed acre, un’immagine senza tempo di un contadino che sbuca, col sole alle spalle, dalla foschia, mentre conduce il suo cavallo per la salita di un piccolo villaggio; il “villaggio dei miliardari”, una lunga teoria di villini, villette, addirittura un piccolo castello, tutti disabitati e ancora da finire: Artur ci spiegherà poi che sono tutte costruzioni realizzate coi proventi del contrabbando di confine… Avrei voluto tanto fotografare tutto questo, ma il viaggio per rientrare a Poljana era davvero lungo e se ci fossimo fermati ogni quarto d’ora non saremmo arrivati mai più! Questo è stato un po’ il mio rammarico; come dicevo all’inizio, è stato il viaggio delle foto mancate. La vera Transcarpazia è proprio questa, forse sono state le immagini che ci hanno colpito di più, in tutta questa avventura. Trovarci in un luogo senza tempo, dove il progresso arriva con le parabole, i telefonini e qualche SUV ultimo modello, ma la vita di tutti i giorni continua con altri ritmi; al passo del cavallo attaccato al carro, in sella alle biciclette, coi ragazzini che scorrazzano felici cavalcando a pelo il puledro di casa, in mancanza dello scooter… Una vita dura, forse non longeva, ma veramente vissuta a misura d’uomo. L’viv, col suo traffico caotico di modernità imposta è lontana, qui è ancora la Natura, coi suoi ritmi e le sue stagioni a dettare l’agenda quotidiana.
L’avventura in un altro spazio-tempo non è ancora terminata: il taxi con Artur buca una gomma, accostiamo per cambiarla: purtroppo il tassista ha fermato il mezzo quasi ad un incrocio. In quel momento, dall’incrocio arriva un carretto col solito ronzino e si trova davanti il taxi fermo. Il carrettiere fa compiere al cavallo un giro piuttosto largo per superare l’auto e, nello sterzare per immettersi in un viottolo, va ad incastrarsi col giogo nella staccionata di una casa, danneggiandola. Subito ne esce il proprietario, ed assistiamo ad una vera litigata ucraina… Cambiata la ruota, ce ne andiamo alla chetichella….
Alla sera, tornati a Poljana, ci ritroviamo nella saletta riservata del ristorante, al piano superiore, prenotata per la cena d’addio. Siamo… alla resa dei conti! Davanti ad un balloon di cognac, facciamo il punto su questa entusiasmante settimana. Artur ci chiede come ci è sembrata la Transcarpazia, se ci siamo trovati bene negli alloggi e che cosa ne pensiamo di Poljana Kvasova, ecc ecc. Noi siamo davvero contenti e felici di aver vissuto questa esperienza, nonostante i quattro giorni di pioggia continui…. Abbiamo vissuto con lo spirito di viaggiatori, assaporato un’atmosfera che ormai sembrava non esistere più, incontrato “i popoli” e fatto amicizia con persone davvero in gamba. Ci siamo trovati a nostro agio nelle casette, confortevoli e calde (e l’umidità delle foreste non perdona), abbiamo mangiato sempre bene e non abbiamo mai sofferto per la mancanza di cibo… “italiano”! Poi è il nostro turno, chiediamo ad Artur che cosa ne pensa di questi due “viaggiatori” ai quali ha fatto da guida. Ci risponde che è rimasto veramente sorpreso, perché non pensava di trovare una coppia così preparata culturalmente e tecnicamente! Ci raggiunge anche Edo, così ceniamo tutti quanti rivivendo assieme emozioni e divertimento. Ci scappano anche quattro salti in pista, giù al pianterreno, con musica dal vivo e locali che si scatenano, tra un folk/pop ed una czarda… Le ore volano, i bicchieri si accumulano sulla tavola, la stanchezza si fa sentire. Tutti a nanna, la nostra permanenza in Transcarpazia finisce qui, domani si parte per la Polonia. Le ferie sono quasi terminate….
L’indomani mattina, ultima robusta colazione, con tutta calma. Salutiamo tutti, ultime spese al mercato di Svaljava (impossibile tornarcene in Italia senza aver fatto scorta di caviale rosso!) e ci mettiamo in marcia per la Polonia. La giornata è splendida: man mano che procediamo verso Ovest, osserviamo questa campagna arcaica, le casette decorate, le chiesette in legno, gli orti di casa, i cavalli, le mucche, le pecore….. e già ci mancano. Il navigatore ci fa andare per un sottopassaggio, siamo ormai sulla linea di demarcazione dei due Stati. Ci ferma una pattuglia, ci chiede dove andiamo: compreso che vogliamo andare in Polonia, ci dicono che la strada giusta è proprio sopra di noi. Chiedo se il confine è aperto o chiuso. Il poliziotto ci conferma che è aperto, mentre il giovane collega osserva incuriosito il nostro fuoristrada, completamente glassato da una spessa crosta di fango…
Confine ucraino-polacco, primo pomeriggio. Poca attesa, solite formalità per l’ingresso in Comunità Europea (“Portate armi? Droga? Alcool? Andate a caccia?” ma chiedimi piuttosto se ho con me quegli strepitosi formaggi ucraini, che le assurde regole europee mi impediscono di portare a casa!).
Eccoci infine in Polonia. Ed è tutto così formalmente… europeo. Strade linde, ben segnalate, ben asfaltate….. Quanto avremmo voluto fare dietrofront e andare a divertirci ancora un mesetto in terra ucraina! Ed è proprio durante il viaggio alla ricerca di un posto dove passare la notte che pensiamo proprio al fatto che avremmo bisogno, effettivamente, di qualche giorno ancora di ferie proprio per ripensare a tutto quanto abbiamo visto e vissuto in Transcarpazia. Magari qualche giorno a Bialowieza, nelle foreste dei bisonti dove, al tavolo di un localino con due specialissime Žubr davanti, avremmo potuto tirare le somme di questa singolare avventura.
Attorno alle 18 ci fermiamo in un motel, gestito da una tizia che sembra una delle due gemelle Kessler dei tempi d’oro. Gentilissima, ci mostra la stanza. Dato che c’è ancora il sole, non abbiamo pranzato, e la cucina è sempre aperta, ne approfittiamo per sistemarci in giardino e ordinare due porzioni di patatine fritte e, finalmente… due Žiwiec. C’è chi ci prende per pazzi, andare in Polonia solo per comprare delle birre… Chi lo dice, non ha mai assaggiato una birra polacca. Ormai ne conosciamo parecchie, e la nostra classifica comprende le Žiwiec, fatte con l’acqua dei Tatra (Carpazi polacchi), le Okocim (medaglia d’oro 2010 selezione mondiale delle pils, mica noccioline…), le Tatra (ovviamente, birra di montagna), e decine di altre etichette, tutte formidabili. Forse, sopra tutte, la Žubr (la birra del bisonte, qualcosa lascia intendere che sia fatta con l’acqua delle paludi di Bialowieza…). Fatto sta che possono competere, e stravincere, con le ben più famose birre ceche.
Davanti alle patatine fumanti e al secondo giro di Ziwiec, ci guardiamo negli occhi e “Na zdarowie!”. Osserviamo il giardino curatissimo e pieno di piante fiorite, nonché un bombardiere della Seconda guerra mondiale parcheggiato nel giardino a fianco (chi non ha un bombardiere in giardino, al giorno d’oggi?).
Ceniamo al Motel, assaporando ancora altre Žiwiec alla spina. Paradiso per papille gustative strapazzate da troppa vodka!
La mattina dopo nuovamente in marcia, alla volta... di un supermercato. Ormai li conosciamo dall’anno scorso, e quelli della catena Biedronka sono sempre ben forniti. Carichiamo il già strapieno fuoristrada con casse di Ziwiec e Okocim. 46 litri potranno bastare? A casa, ci saremmo resi conto che no, non bastavano…
Ormai non ci sono più confini né dogane, procediamo spediti verso la Slovacchia.Purtroppo il tempo torna a guastarsi. Decidiamo di fermarci nuovamente a Donovaly, tappa già collaudata l’anno scorso. Purtroppo il motel dove avevamo dormito è chiuso per lavori. Dato che è l’ultima notte di vacanza, decidiamo che per una volta avremmo ben potuto concederci qualche lusso. E quindi un 4 stelle con vista sui monti circostanti, e lauta cena nel locale caratteristico lì sotto (tutto in legno, e tronchi d’albero incastrati…). Ah, ma come, i prezzi sono aumentati! Eh già, l’anno scorso una Zlaty Bažant (Fagiano dorato, ottima birra slovacca) da mezzo litro costava 1 euro, quest’anno siamo già a 1,20! In Italia, per una mediocrissima Heineken, te ne chiedono 5.
La mattina dopo, raffinata colazione con spremuta, tè, frutta, cereali, cioccolato, solerte cameriere, pinza spremi-limoni… e la vodka?! E le salsicce?!? Ah, Transcarpazia nostra….
Ci mettiamo in marcia verso l’Austria. Diluvia, e poi piove, e poi diluvia, e ripiove…. Ci stanno ormai crescendo le branchie.
Arriviamo a Trieste verso le 18. Le vacanze sono finite, ma il viaggio fatto di ricordi, emozioni, sensazioni non termina qui. Saranno le foto e i filmini, riguardati innumerevoli volte, a farci sentire meno la lontananza di quei luoghi e a sopportare meglio il ritorno alla routine. Un’esperienza unica, emozioni che solo gli orizzonti dell’Est sapranno sempre regalarci.





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