Incontri coi popoli

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Romania 2018

3.912 Km in 17 giorni, 112 ore di guida fra 4 Stati, 1 capitale e 1 fuso orario
rilevazioni effettuate con il navigatore cartografico GARMIN GPSMAP 60CS
(clicca sulla cartina per ingrandire)


Risultati immagini per bandiera rumena


ROMANIA 2018






UN ANNIVERSARIO:
DIECI ANNI DI AVVENTURE NELL’EST EUROPA!


Agosto 2008- agosto 2018, dieci anni!
Dieci anni di viaggi su strada, su un’infinita lingua non sempre d’asfalto, con l’ago della bussola quasi sempre puntato verso Est, verso il luogo da cui nasce il sole, verso i luoghi che hanno visto nascere antiche ed evolute civiltà. E sempre in due, sempre noi due!
In quasi tutti i viaggi siamo stati accompagnati dallo stesso fidato, robusto e indistruttibile fuoristrada nipponico, verso quella destinazione che da sempre ci ha attratto, fin da giovani… L’EST!
Abbiamo macinato una caterva di chilometri in questi anni, quasi 52.000, più del giro completo della Terra! Abbiamo attraversato o visitato 26 fra Stati europei e non, tutti diversi fra loro, diversi per lingue, per storia e per tradizioni; raggiunto e superato diverse frontiere, ma non tutte si sono lasciate attraversare con grande facilità; guidato con ogni condizione di tempo, in lunghe giornate a volte noiose, a volte stancanti, ma per la maggior parte delle volte sono state giornate molto allegre; viaggiato con la luce del sole accecante negli occhi, ma anche col buio opprimente, col caldo bollente d’agosto e col freddo intenso di dicembre; guidato nello Stato più grande al mondo per oltre 7.700 km, di cui quasi 2.000 su neve e ghiaccio sulle non sempre agevoli strade russe, e quasi altri 3.000 chilometri su strade ghiacciate del resto del Nord Europa. Abbiamo incrociato, in questi dieci anni, centinaia di volti di persone, stretto altrettante centinaia di volte le loro mani, regalando sorpresa e sorrisi nei nostri incontri e ricevendo in cambio sempre un’ottima ospitalità; e poi, fatto non secondario, gli incontri fugaci con gli “altri europei”, cioè quella fauna straordinaria e disparata che condivide il Continente con tutti noi, e da prima di noi, ad impreziosire ancor di più il nostro continuo andare, soprattutto quando si alza lo sguardo al cielo, ai migratori, e ci si sente affini e colleghi dei viaggiatori alati, loro verso Sud, noi verso Nord!
Unica parentesi aerea nel 2012, avendo pochissimi giorni a disposizione di vacanza e per non star a digiuno della Matuška Rossija.
Abbiamo voluto creare questo blog, per non dimenticare tutto questo, e per condividere tutto questo. Non è sempre stato facile, far dei viaggi così impegnativi, non siamo un’agenzia turistica, abbiamo dovuto imparare tutto da soli e partire radicalmente dal nulla ma, con la caparbietà decisionale, ce l’abbiamo fatta, con le nostre mani e le nostre sole forze. Alcune volte, abbiamo dovuto rinunciare a dei viaggi già programmati da mesi e, in velocità, costruire un nuovo tour partendo da zero. Intraprendere viaggi così impegnativi, anche economicamente, ci ha alcune volte costretto a far delle rinunce necessarie, però, alla fine, gli sforzi sono sempre stati ripagati da scorci meravigliosi e sensazioni straordinarie, da luoghi che mai potremo dimenticare nelle nostre menti e scelte che mai ci pentiremo di aver fatto. Perciò, tutti gli sforzi compiuti e le rinunce sopportate, sono state abbondantemente ripagate da questi 10 anni di viaggi, molto diversi dai nostri precedenti.
Viaggiare autonomamente, accettare anche l’imprevisto che fa logicamente parte del gioco, il poter scegliere di dormire dove ci piaceva, fermarsi in un luogo o continuare sulla strada, erano tutte scelte dettate da noi stessi, e tutto questo, negli anni, ci ha rafforzato interiormente come persone. La vita stessa è un lungo viaggio, ed il fatto stesso di viaggiare, cioè rimettersi ogni volta in discussione, ci ha dato la forza sufficiente per affrontare tutto quello che ci si parava contro. Si viaggia con sé stessi, si viaggia dentro sé stessi: e farlo insieme non ha fatto altro che rafforzare ulteriormente l’unione di coppia che già era salda prima di iniziare questa lunga, folle avventura non ancora terminata!

ROMANIA
  
Era l’agosto del 2008 quando cominciammo il nostro primo viaggio in Russia col quale avremmo poi inaugurato questo blog. La fascinazione per il Far East, già presente nel nostro DNA, si consolidò così, portandoci a visitare non solo una frazione dell’immensa e sterminata Russia fino a raggiungere la Siberia, ma a proseguire poi con la Polonia, l’Ucraina, la Slovacchia, la Cechia, l'Ungheria, l’Albania, la Bulgaria, e poi quasi tutta la ex-Jugoslavia, la Grecia, le Repubbliche Baltiche e perfino un pezzetto di Turchia, fascinazione condita poi da excursus in Austria, Germania, Danimarca, Svezia, Norvegia, Finlandia. In tutto questo meraviglioso girovagare, la domanda ci sorgeva spontanea: “Ma quando andremo in Romania?” Già: dici “Romania” e subito gli stereotipi prendono il sopravvento. E così, mentre immagini “Romania” immediatamente il pensiero corre a Dracula, ai vampiri, ad un passato regime dittatoriale, e, purtroppo, anche alla miseria, agli zingari, alle disavventure subite da altri viaggiatori, agli emigrati di poca specchiata virtù. Se da parte di Max si palesava una certa riluttanza (pensieri circa l’appetibilità del Nissan, in primis), da parte mia l’eco di oscure e meravigliose leggende contribuiva ad alimentare la curiosità verso questo Paese così misterioso eppure così vicino a noi per storia e linguaggio. Gli stereotipi sono durissimi a morire… e forse anche a causa di questi, continuavamo a rimandare… tuttavia, la curiosità per il Mito, per la Natura, per la Storia e la Geografia, instillava in noi gocce di curiosità, e goccia dopo goccia… complice anche l’invito di un ex collega di Max, Stan, rumeno, che dopo 10 anni di lavoro in Italia ha fatto definitivo ritorno in patria, invitandoci, a 3 mesi dalla sua partenza da Trieste, a venirlo a trovare nella sua casa di Bucarest. E così, alla fine ci siamo decisi. Stavolta non avremmo fatto i viaggiatori avventurosi e solitari, bensì i semplici turisti con tanto di itinerario già predisposto dall’amico Stan.
Proprio per quest’aura di mito, per le leggende e per i misteri che il nome “Romania” evoca, il racconto di questo viaggio sarà atipico: non una cronaca giorno per giorno, ma il riportare la nostra esperienza diretta sotto l’ottica della suggestione, della percezione, dell’emozione. Una sorpresa chiamata Romania.

SLOVENIA ED UNGHERIA, TOCCATA E FUGA

Per far coincidere il nostro periodo di vacanza con quello dell’amico Stan e della sua deliziosa moglie Luzi, partiamo col caldo micidiale del pieno agosto triestino per dirigerci verso un luogo ancora più caldo: la pianura pannonica! Il viaggio di avvicinamento alla Romania è facile, perché il nostro itinerario si svolge unicamente in Slovenia ed in Ungheria.
La Slovenia, dopo tanti anni di attraversamento autostradale e non, ormai ci dice poco o nulla, confermandosi comunque una tra le più verdi regioni d’Europa; l’Ungheria, Paese già attraversato più volte nei nostri viaggi, ci regala scorci inusuali e decisamente originali: di strada ne hanno fatta tanta da quando ci siamo stati la prima volta nel 1993, le strade sono migliorate, l’accoglienza ha fatto grossi passi in avanti anche se ormai sembrano un po’ tutti ormai sazi e con la pancia piena… difficoltà a trovare un cambia valute aperto, per esempio… Sosta lungo il lago Balaton, con le sue rive di canne e sabbia fangosa che ricordano tanto certe spiagge friulane e venete, gente che cammina per centinaia di metri nell’acqua per ritrovarsi sempre con l’acqua alla vita e perfino una specie di csarda (trattoria) denominata Jesolo, tanto per richiamare la rinomata località balneare che condivide col Balaton sabbia ed acqua non propriamente cristallina… I primi due giorni li passiamo a bighellonare e riposarci un po’ lungo la strada che ci porterà al confine rumeno; incappiamo in un simpatico museo dei trenini all’aperto, poi ci dirigiamo nella simpatica cittadina di Pecs, una vera sorpresa con le sue architetture ardite, i murales spiritosi, un signorile e suggestivo centro storico ricco di reminiscenze ottomane ed asburgiche, impreziosito e rinfrescato da semplici ma efficacissimi giochi d’acqua a fil di strada che ristorano piacevolmente in questa caldissima estate magiara. Un elegante Caffè che dà sul corso principale pedonale e su originali fontanili, ci invoglia a sederci a goderci la frescura ed i giochi dei bambini che si rincorrono tra le fontane in una sarabanda di spruzzi e scherzi; lo spettacolo di un’infanzia allegra e spensierata che corre ad inzupparsi in questa torrida estate continentale è allietato da due boccali spumeggianti di ottima birra locale (la Pecs, of course) che ci rinfrancano dall’arsura e dalla stanchezza del viaggio. Invidiamo la spontaneità dei bambini che praticamente si fanno la doccia in piazza! Prima di avviarci verso la Romania, facciamo un salto per un po’ di shopping in un negozio sportivo di una famosa catena europea. Meraviglia delle lingue europee e del ceppo degli ugro finnici: due anni fa eravamo in Finlandia e sembrava di stare in Ungheria; ora siamo in Ungheria e par di stare in Finlandia; identico ceppo linguistico, medesimo silenzio claustrale in un negozio strapieno, con gente che parla a 0,2 decibel e bambini che NON gridano. Una specie di enclave paradisiaca incistata tra il caotico universo panslavo che circonda l’Ungheria, con la Slovacchia a nord ovest, l’Ucraina a nord-est, la Serbia e la Croazia a sud-sud-ovest e la lingua neoromanza della Romania a sud-est. Che cosa è cambiato, nella gente ungherese, rispetto al 1993? Non molto: i visi, le facce, sono sempre molto belle ed interessanti, alcune persone sono davvero bellissime ma… anche qui il benessere conquistato dalla caduta della Cortina di Ferro si è fatto sentire soprattutto sulle nuove generazioni, vittime di un’obesità dilagante… un vero peccato. Spostandoci verso sud, costeggiamo una zona confinaria tra Ungheria, Croazia e Serbia, dove la lingua di Goethe spadroneggia a scapito di un inglese ancora sparuto ed i cartelli stradali sono in tedesco, ungherese e serbo; il crogiuolo di lingue è entusiasmante ed arricchisce quest’angolo sperduto d’Europa.

“IN ROMANIA NON C’E’ NIENTE DA VEDERE”

Lasciamo la piattissima e benestante Ungheria per approdare, in una calura poco sopportabile, al confine nord-occidentale rumeno. Nonostante la Romania faccia parte a pieno titolo della UE dal 2006, non è ancora compresa nell’unione doganale di area Schengen, perciò dobbiamo sottoporci a controlli, obbligatori quanto inesistenti. Intanto che siamo in fila per il controllo dei passaporti, vediamo un cartello enorme che recita, in comprensibilissimo rumeno: “Basta corruzione alla frontiera! Reclusione da 6 mesi ad un anno per tentativi di corruzione di ufficiali di frontiera.”. Insomma, veniamo resi edotti che i Rumeni sono gente onesta e rispettosa delle leggi! Pochissima fila, e le formalità doganali  si sbrigano in un attimo: visto il fuoristrada, ci chiedono se andiamo a caccia e, ricevuto il nostro fermo diniego, ci augurano un buon viaggio… in italiano! Anche se sarà il “Drum bun!” il mantra che ci accompagnerà durante tutto il nostro soggiorno nell’antica Dacia, “Drum bun! Buon viaggio!” è scritto per ogni dove.  Ci lasciamo la dogana alle spalle e troviamo i dintorni del tutto puliti, il baracchino per la “Rovinieta” (cioè la vignetta romena) è a portata di mano, niente rifiuti in giro e, udite udite, un asfalto a tavolo da biliardo, roba che la civilissima, nordicissima, ed europeissima Lituania se lo sogna la notte. Tutte le strade verso le città principali hanno un asfalto ottimo e senza buche, poi ci sono anche dei rifiuti in giro ma sempre meno di quelli visti in Serbia che, purtroppo, era una discarica a cielo aperto. Certo, poi diverse strade secondarie sembrano essere rimaste ancora ai tempi del “Conducator” cioè con asfalto rappezzato alla bell’e meglio, ma almeno la prima impressione è del tutto positiva. La lingua rumena alla lettura, per un occhio italiano, è facilmente comprensibile, mentre all’orecchio, all’ascolto, è difficile da comprendere perché la fonetica non rispetta le regole della parola scritta come nell’italiano. E, altra sorpresa, numerose sono le influenze slave nella lingua rumena: per esempio la parola “vetro” in rumeno è “staklo”, uguale al serbocroato e tanto simile allo sloveno “steklo”, per dire “sì” dicono “da” (come in russo, bulgaro, serbo, croato) e per dire “no” dicono “nu”… vabbè, dai, ci faremo un po’ di pratica! Nel primo pomeriggio sbarchiamo a Timişoara, culla delle proteste del 1989, ma evidentemente gli abitanti di questa bellissima città devono essere dei bellicosi di natura, visto che anche in questa occasione non mancano striscioni e cartelli di protesta contro il governo anche da parte delle comunità di lingua tedesca. Timişoara, capoluogo della regione del Banato, è una cittadina pulita, ben tenuta, tranquilla e ordinata, e l’italiano è compreso e parlato. Troviamo una camera per la notte in un alberghetto in centro, dove il gentile concierge ci informa che in teoria dovremmo pagare il parcheggio antistante, ma siccome la nostra auto ha la targa italiana ed il pagamento del pedaggio si effettua solo tramite SMS da numero telefonico rumeno, ci consiglia, in caso di multa, di far finta di niente… ed evitare di prenderne altre, perché dopo la 3^ multa scatta la segnalazione. Ci ristoriamo dalla fatica del viaggio sedendoci in un bar in piazza Victoriei; due ottime “bere” (birre) Timişoreana ci riportano a nuova vita! Visitiamo una stupenda chiesa ortodossa rumena, la Cattedrale Metropolitana sorta nella prima metà del ‘900, talmente bella e singolare da farci rimanere stupefatti: è il primo incontro con l’architettura tradizionale del nord della Romania, una commistione di generi: il rigore tedesco in salsa rumena della struttura esterna si fonde con le preziosità ottomane, enormi e stupendi lampadari che sembrano essere stati sottratti ad una sinagoga si inseriscono perfettamente in un ambiente dal sapore mediorientale tappezzato da splendide icone bizantine. Le candeline sono sistemate in due piccoli locali appositi all’ingresso: a sinistra le candeline per i “vii” (i vivi), a destra quelle per i “morţii” (i morti). Siamo a digiuno da stamattina, e all’ora di cena ci accomodiamo, all’aperto, in un suggestivo ristorante Jugendstil, il “Lloyd”, una vera perla di stucchi, specchi e decori, e così ci gustiamo una prelibata cena con contorno di proteste condite da striscioni, cartelli e megafoni, giusto per ribadire il concetto che “siamo a Timişoara”. Proteste a parte, Timişoara offre un centro storico dinamico e ricco di installazioni d’arte contemporanea più o meno stabili: dalle decine di multicolori ombrelli appesi lungo un corso pedonale, alle discutibili quanto inquietanti e post-atomiche sculture metalliche note come Artuborg 2003, al dolce parco fluviale in centro città.

SUL BEL DANUBIO, NON TANTO BLU…

La mattina dopo proseguiamo nel nostro viaggio verso Bucarest; costeggiamo lo splendido Danubio color caffellatte. E pensare che 5 anni fa eravamo esattamente sulla sponda opposta, in Serbia! Però dalla sponda serba il Danubio era sempre blu, dalla sponda rumena assume un colore che va dal verdastro fango al latte macchiato. Costeggiando la suggestiva riva rumena, ci imbattiamo in un sorprendente tratto in prossimità delle cosiddette “Porte di Ferro”, dove il corso del fiume si restringe fino a creare una quasi strozzatura tra Serbia e Romania: questa è la provincia della Dacia Romana, dove nel 2001 è stata completata una colossale scultura a ricordare Decebalo, l’ultimo re dei Daci, sconfitto dalle legioni di Traiano nel 105 d.C. La scultura, davvero imponente e suggestiva, è alta 55 metri ed è l’opera scultorea scavata nella viva roccia più grande d’Europa; sulla sponda opposta, in Serbia, si trova invece la Tabula Traiana, una sorprendente iscrizione scolpita anch’essa nella roccia nuda che celebra le vittorie di Traiano e coeva dello stesso imperatore. Tutte e due le sculture sono attrazioni turistiche e non mancano i taxi-boat che provvedono a traghettare i turisti alla scoperta di questo angolo di Danubio davvero insolito e affascinante.
Prime impressioni sulla Romania: un Paese in movimento. Diceva quel burlone di Bismarck: “I Romeni non sono una nazione: sono una professione”. La frase, che in angoscianti tempi di politicamente corretto appare quantomeno ingiusta se non sprezzante, contiene però, a tutt’oggi, un fondo di verità: la “professione romena” si palesa in opportunismo e senso degli affari ed i Rumeni non se ne stanno con le mani in mano; tra le tante attività, più o meno regolari, spopolano dappertutto i negozietti “second hand”, che vendono soprattutto mobili e suppellettili tedeschi.
Lasciamo momentaneamente il Danubio per spostarci verso sud. Trovare da dormire è un’impresa, perché anche in Romania agosto è mese di ferie comandate e pertanto sono tutti in vacanza. C’è tantissimo turismo (interno, soprattutto) ma anche tanti stranieri e  tantissimi italiani (in moto, auto o camper) in cerca come noi di avventure e sorprese. Tentiamo un approccio alla località termale di Băile Herculane (dove la leggenda narra che addirittura Ercole in persona venisse a bagnarsi in queste acque curative) ma gli alberghi sono strapieni come strapiena di gente (e di traffico mostruoso) è la piccola cittadina termale, perciò rinunciamo e ci dirigiamo in periferia di Drobeta Turnu Severin, in una zona spoglia, rural-industriale piuttosto insignificante. Quattro francesi entrati un secondo prima di noi in un simpatico motel con invitante piscina all’aperto ci fregano le ultime due camere rimaste, perciò, complice anche la notevole stanchezza, non ci resta che ripiegare in un motel per camionisti (Perla), un 3 stelle solo sulla carta, 20 euro a notte con colazione e personale che parla esclusivamente rumeno. La nostra camera è tutto un programma: le plafoniere con lampadina da 2 candele sono tutte sbrecciate, manca la lampadina sullo specchio in bagno, alla doccia in plastica manca la porta con rischio di allagamento del bagno, il flessibile perde, niente frigo, niente tavolo o seggiola per cui per scrivere al pc bisogna sedersi a cavalcioni su una specie di tavolino che fa da scarpiera, al condizionatore, nel mezzo della notte, coglie una crisi di enfisema e, attorno alle 2, la condensa comincia a gocciolare sulla moquette fradicia in uno stillicidio che dà sui nervi fin all’inverosimile, c’era un ragno sul letto quando siamo entrati ed uno enorme, di quelli che mordono, dentro ai miei sandali quando siamo partiti… Un’esperienza davvero elettrizzante! A compensare questo delirio ci pensa un incantevole gattino bianco tigrato di circa tre mesi con l’argento vivo addosso ed una fame atavica, che dopo un giorno di permanenza al Perla ci elegge genitori adottivi correndoci incontro appena ci vede, ci dorme in grembo mentre ceniamo e ci riempie di bacetti affettuosi…
Cerchiamo di dimenticare queste disavventure alberghiere andandocene a zonzo per i dintorni: al centro visite del Parco Nazionale Domogled-Valea Cernei scopriamo  che nelle grotte esistenti in questo Parco vivono ben 10 specie diverse di vamp… ehm, di pipistrelli. D’altra parte, ormai ci stiamo avvicinando alla Valacchia ed alla Transilvania, e l’equazione pipistrello=vampiro=Dracula è inevitabile! Logicamente, lungo le strade, intraprendenti contadine vendono lunghe trecce d’aglio con banchetti per ogni dove… e poi dicono che non bisogna ragionare per stereotipi! Nel nostro girovagare, andiamo a visitare il museo delle Portile du Fjer, cioè le Porte di Ferro, nome dato sia alla gola del Danubio che in questo punto si restringe, sia alla diga per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica, frutto di una collaborazione ingegneristica tra i governi dell’allora Romania di Ceausescu e della Jugoslavia di Tito, iniziata nel 1960 ed inaugurata nel 1972 proprio dal presidente Tito e dal presidente del parlamento rumeno di allora, che ha visto la collaborazione di consulenti, la sovvenzione economica, e la partecipazione e fornitura di materiali e maestranze provenienti da mezzo mondo, USA e URSS compresi, gigantesca opera che fa anche da confine con la sponda della Serbia di oggi, sfruttando appunto la strozzatura tra le due sponde ed un’isola in mezzo al fiume. Il museo dedicato offre una panoramica sulla storia dei lavori di scavo e realizzazione dell’opera nonché sulle testimonianze storiche della zona, spaziando dai resti dei Daci e dei Romani fino alle arti, cultura e tradizioni rumene ed ottomane. Alla biglietteria del museo ci dicono che la visita all’impianto idroelettrico dura mezz’ora, invece la visita è durata solamente 1/4 d’ora (con guida parlante rumeno) e niente foto alle 4 turbine (attualmente, una sola è in funzione, a seconda della richiesta di approvvigionamento di energia elettrica), il che fa piuttosto sorridere, considerato la quantità di satelliti e droni che sorvolano gli impianti strategici di tutto il mondo fotografando qualsiasi installazione con risoluzioni al centimetro… Il Danubio color mechés, dall’acqua tiepida, è comunque uno spettacolo, soprattutto quando arrivano le chiatte direttamente dalla Germania per navigare fino al mar Nero, far rifornimento di legname e materiali vari e tornarsene in Germania. Le cicogne, tantissime, ci allietano la giornata calda ma per fortuna ventilata. Il caldo ci ammazza, e noi ammazziamo il tempo andando a rinfrancarci in un ristorante di una catena serba che si chiama Taverna Sărbului. Stavolta niente carne, ma due trote specialissime guarnite da fette di polenta gialla che in rumeno si chiama “mamaliga”, ottima birra Ursus alla spina, acqua minerale e gelato strepitoso. Il tutto sulla sponda rumena del Danubio, in un ristorante serbo, a guardare la sponda serba con chiatte e traghetti e crociere che vanno su e giù e le sterne che si tuffano come missili nell’acqua color caffellatte… e musiche di Goran Bregović a manetta. Ma che vogliamo di più? E pure bagni immacolati, per un locale che può ospitare anche 200 persone (ed era strapieno). Da ricordare! Come da ricordare è la tanta, tantissima polizia di frontiera che sbuca da ogni dove a caccia di clandestini che sciamano dalla Serbia e dalla Bulgaria, via Turchia. Domani partenza per avvicinarci a Bucarest (ci aspettano circa 300 km) alla ricerca di un alloggio decente dove riposarci un paio di notti senza rischiare di venir morsi da un ragno famelico o passare la notte in bianco causa gocciolamento del condizionatore con l’enfisema.

ARRIVO NELLA CAPITALE

E’ Ferragosto, il caldo è veramente insistente ed il termometro non si schioda dai 30-32 gradi col sole che picchia implacabile. Siccome siamo stufi di soluzioni autopunitive, andiamo a cercare un albergo decente. Trovato! Hotel Giuliano, 4 stelle effettive, mega stanza silenziosissima con ingresso con cabine armadio che fanno da anticamera, mega lettone, mega bagno con mega doccia, terrazzino con balaustra in ferro simil-rococò completo di tavolino e seggioline per fumatori e, parcheggiato sotto, il pullman dello Steaua Bucarest (formazione under 20). Beh, se anche una Società blasonata come questa sceglie questo albergo per far riposare i suoi talenti, allora c’è speranza che le lampadine funzionino, l’acqua sia corrente e non alternata, il condizionatore non goccioli e senza ragni nel letto o nelle scarpe. Il concierge, un quintale e venti di gentilezza, parla un italiano perfetto imparato solamente con la tv italiana (sceneggiati, telefilm, telenovele). Esattamente come ci hanno raccontato in Albania. Noi, ascoltando e vedendo sporadicamente la tv slovena, non andiamo al di là degli slogan e dei jingle pubblicitari… Vabbè, lo sloveno è ostico, diciamolo (per autoassolverci). Il Gigante Buono ci racconta che la lingua rumena è la variante antica del latino, dato che la lingua rumena nasce dalla dominazione romana della Dacia. Il nome stesso “Romania” deriva dall’aggettivo latino romanus. Latino, quale lingua universale che ha dato origine praticamente a tutte le lingue romanze ed influenzato buona parte di altre lingue europee. Nel tempo speso al check-in, tra le righe, il gentilissimo impiegato osserva che ad oggi potevamo parlare tutti in latino, piuttosto che inglese… e come dargli torto?

LA SORPRESA BUCAREST

Il nome Bucarest, stando all’etimologia, deriva dal romeno “bucura” cioè essere contenti; peccato che l’ingresso nella capitale della Romania non rispecchi più di tanto il senso di gioia e contentezza, quanto piuttosto un clima di crisi e degrado, anche se l’immediata periferia è in pesante rimessaggio con case e centri commerciali che spuntano come funghi; il cartello appeso in alto sulla strada principale d’ingresso in città con la scritta Bucarest è in lamierino zincato tenuto su a stento da un groviglio di fili di ferro, rifiuti un po’ ovunque… ma tutto ciò passa in secondo piano, quando finalmente ci incontriamo con l’amico Stan e sua moglie nella loro bellissima casetta da loro costruita nella tranquilla periferia, frutto di tanti sacrifici all’estero.
Passata una piacevolissima serata con tanto di cenetta all’aperto nel loro giardino, il giorno dopo è dedicato alla visita delle attrattive principali della capitale: il colossale Palazzo del Parlamento, secondo più grande palazzo amministrativo al mondo dopo il Pentagono (!!), inaugurato nel 1984, che rispecchia la mania di grandezza e delirio di onnipotenza del “Conducator”; ci impressionano non solamente le dimensioni ciclopiche del palazzo, ma anche l’imponenza della sede viaria sottostante, un rettilineo di 6 corsie, un gigantesco asse stradale fatto apposta per le parate e sfilate di partito da tenersi in un Paese comunista che, come importanza e rilievo internazionale, non era certo ai livelli dell’URSS o della Cina di Mao; la Piazza della Rivoluzione, dove il 21.12.89 Nicolae Ceausescu, dalla sede del Comitato centrale del Partito Comunista (oggi ospita il Senato) tenne per l’ultima volta un discorso pubblico prima della fuga in elicottero, della cattura e della successiva condanna a morte; svetta verso il cielo il Memoriale della Rinascita, un monumento in pietra e metallo alto 25 metri che ricorda quei tragici giorni di disfatta e morte di una Nazione. Suggestive sono anche altre installazioni d’arte contemporanea a suggello della memoria. Nei pressi della Piazza della Rivoluzione, trova posto il bellissimo palazzo del Museo Nazionale d’Arte; il centro storico, un groviglio di stradine che nel 1400 ospitava centinaia di botteghe artigiane e di commerci vari e più o meno nascoste case di tolleranza (proprietà delle comunità zingare!), dopo tanti anni di abbandono ospita ora gallerie d’arte ed un’infinità di caffetterie-cattura-turisti, sì da dare l’impressione di girare per un enorme e gigantesco salotto, tanti sono i divani e poltrone con ventilatori spruzza acqua che “ornano” i vicoli! Ma quello che più ci sorprende della breve scoperta della capitale è il Museo del Villaggio, che sorge sulla riva del lago Herastrau col parco che ne prende il nome. Inaugurato nel 1936, raccoglie oltre 350 abitazioni e costruzioni tradizionali che sono state smontate e ricostruite qui da tutte le regioni del Paese, offrendo uno spaccato di vita contadina e rurale romena tra il ‘600 e gli inizi del ‘900. Ci si impiegherebbe una giornata intera solamente a visitarlo tutto approfonditamente! Dopo quasi tre ore di visita, accusiamo la stanchezza, il caldo ci strema e perciò facciamo una pausa concedendoci uno spuntino in uno dei posti di ristoro all’aperto situati all’interno della cinta museale; ci rinfranchiamo con una bella birra Ciuc; e noi ci mettiamo a ridere, e spieghiamo all’amico Stan il motivo della nostra ilarità: perché “ciuc” in dialetto triestino significa “ciucco, alticcio”… insomma, una birra… “nomen, omen”! Nella stessa giornata, visitiamo anche l’altro esempio di delirio del Conducator, il Palatul Primaverii, o “Casa Ceausescu”, cioè la residenza privata del dittatore e della sua famiglia, che sorge in Bulevardul Primaverii, edificata negli anni ’60 e che venne da loro abitata dal 1965 al 1989. Dopo 27 anni di chiusura, finalmente nel 2016 è stata aperta al pubblico, offrendo uno squarcio sul kitsch e sulla megalomania di questi personaggi: uno sfoggio di sfarzo e opulenza che contrastava pesantemente con la miseria nella quale versava invece il resto del Paese. In tutto sono 80 le stanze che compongono questa dimora a dir poco principesca, dove fanno bella mostra di sé preziosi arazzi, mosaici multicolori, tappeti iraniani da Mille e una Notte (molti dono di capi di Stato come la Regina Elisabetta, il presidente De Gaulle e lo Scià di Persia) lampadari in vetro di Murano, porcellane cinesi e francesi, marmi di Carrara, e dove troviamo persino una piscina interna, un giardino d’inverno, una spa personale che sa tanto di sanatorio (o struttura manicomiale, a giudicare da certe attrezzature asseritamente adibite alla cura del corpo) e pure un cinema privato (che però non abbiamo visto). Siamo sorpresi, stupiti, anche indignati per tutto questo ben di Dio ad uso e consumo esclusivamente privato per una sola famiglia; a poco serve sapere che questo sfarzoso palazzo era destinato anche alla ricezione di Capi di Stato e ad eventi diplomatici; che nulla di quanto abbiamo visto apparteneva personalmente alla famiglia Ceausescu ma era di proprietà del Partito; fior di quattrini (denaro pubblico!) scialacquati per una personale Versailles quando potevano essere spesi per ben altro e rendere le condizioni di vita della popolazione rumena leggermente migliori di quelle che erano in realtà. Non abbiamo bisogno di chiedere spiegazioni e traduzioni all’amico Stan che ci accompagna e che vede pure lui tutto questo sfarzo per la prima volta: ci basta leggere le espressioni dipinte sul suo volto per capire quanto lui e moltissimi altri suoi connazionali abbiano sopportato in termini di sacrifici, miseria, difficoltà, il tutto all’ombra di Palatul Primaverii e dei suoi arazzi preziosi, mosaici coloratissimi, armi e cristalli scintillanti da corte del Re Sole.
Col caldo ancora pesante (34° in tardo pomeriggio), torniamo verso casa, dove tra un brindisi ed una grigliata, facciamo la conoscenza di altri due simpaticissimi compagni di viaggio, Florint ed Elena, coniugi pensionati, che ci accompagneranno alla scoperta di altre meraviglie rumene nei successivi quattro giorni.

VAMPIRISTAN

Meglio conosciuta come Transilvania, questa regione montuosa ricoperta da oscure foreste, inglobata nell’odierna Romania solamente nel 1918, è una terra ricchissima di fascino e mistero, peculiarità che si sono accresciute da quando lo scrittore irlandese Bram Stoker decise di ambientare in questi luoghi il suo ormai immortale romanzo “Dracula”. Non serve un grosso sforzo di fantasia per immaginarsi chissà quali racconti e leggende altalenanti tra realtà e fantasia abbiano avuto origine da questi luoghi: basta solamente avvicinarsi al fiabesco castello di Peleş per essere catapultati in un mondo magico ed altamente suggestivo. Il maniero, una meraviglia di guglie aguzze, candide mura impreziosite da strutture lignee in puro stile bavarese, è stato inaugurato in epoca relativamente recente (1883) da Carlo I di Romania, ed è composto da ben 160 stanze, dove diversi stili convivono uniformemente senza dare l’impressione di posticcio o terribilmente kitsch come la Casa Ceausescu. Si passa così dal barocco, allo stile neorinascimentale tedesco, inglese, italiano, al vezzosissimo rococò, in un tripudio di velluti, legni scolpiti, incredibili sale da musica, bagni di una modernità sorprendente che si inseriscono perfettamente tra una sala cinese tutta legni, porcellane e draghi ed una sala delle armi e dei trofei, tra la sala fiorentina trionfante di marmi e stucchi rinascimentali, alla ricercatezza della sala imperiale, alla esotica suggestione della sala turca, tra il teatro con gli affreschi di Gustav Klimt alle boiserie talmente elaborate da togliere il fiato, per poi proseguire tra stufe in maiolica finemente decorata e finestre dalle vetrate racconta-storie, struggenti dipinti dei Preraffaelliti e pesanti ed austeri arredi a tutto legno delle sale inglesi e tedesche, principeschi armadi che fanno gli armadi ed armadi che al posto del vestiario celano passaggi segreti, pareti di specchi che rispecchiano altri specchi, dove tutto è meraviglia, sorpresa, stupore che viaggia felpato nei corridoi ricoperti da sontuose corsie e tappeti soffici e preziosi. Il Castello di Peleş vale davvero la visita, e pazienza se siamo in compagnia di migliaia di altri visitatori scalpitanti e gli ingressi sono scaglionati: un simile gioiello racchiuso come in uno scrigno dalle suggestive montagne circostanti merita davvero di essere visto e goduto, dove tutto, dalle tappezzerie alle maniglie è un’opera d’arte che rispecchia l’intelligenza e l’amore per il bello ed il gusto di Carlo I e di sua moglie Elisabetta di Wied, che ha seguito personalmente i lavori dei 400 artigiani giunti qui da tutt’Europa, lasciando scritte le sue memorie sull’incredibile babele di usi, costumi, lingue ed usanze dei mastri artigiani.

TRANSILVANIA, VALACCHIA e TRANSFĂGĂRĂŞAN

Nonostante si faccia di tutto per allontanare la mente dallo stereotipo Transilvania-Valacchia=Vampiri, girare per queste incantevoli regioni non fa altro che rafforzare l’aura di leggenda che aleggia per ogni dove, e non siamo nemmeno nelle vicinanze del luogo che ha dato i natali a “Dracula”! Ma le bancarelle d’aglio per le strade, le fiabesche architetture sassoni, i borghi fortificati, le selve oscure, i Carpazi selvaggi e raccolte di pali di legno dalla punta acuminata sparse un po’ dappertutto ci fanno sorridere… ed arrenderci all’evidenza. Il Mito viaggia con noi e noi viaggiamo nel Mito, felici. Con l’allegra compagnia, tra carretti trainati da cavalli e prati falciati ancora a mano, scopriamo un’altra sorprendente sorpresa: la strada Transfăgărăşan! Superato il bacino artificiale del lago Vidraru, invaso completato nel 1966 per far funzionare la centrale idroelettrica, ci si inerpica per una strada sinuosa e serpentina che è stata fatta costruire da Ceausescu agli inizi degli anni ’70 (all’indomani dell’invasione sovietica della Cecoslovacchia) come via di fuga in caso di invasione delle truppe di Mosca. Il diluvio che ci accompagna mentre ci inerpichiamo lungo tortuosissimi e spettacolari tornanti non fa altro che rafforzare la suggestione e la sorpresa. Dopo ben 90 km di stupore e spettacolo (rocce appuntite, torrenti impetuosi, cascatelle imbrigliabili, scenari primordiali) si arriva così a quota 2034 metri, dove in un laghetto naturale si specchiano le guglie rocciose circostanti, percorse da greggi di pecore alquanto spericolate! La strada Transfăgărăşan è accessibile solamente d’estate, dai primi di luglio alla fine di ottobre (neve permettendo), il resto dell’anno rimane interdetta causa le forti nevicate che la rendono pericolosissima. Pertanto, essendo un luogo turistico a “fruibilità limitata” è preso d’assalto non soltanto da decine di pullman strapieni di gitanti, ma pure da sfegatati motociclisti venuti fin qua da ogni dove per godersi il brivido dei tornanti infiniti. Ovviamente, abbondano le bancarelle che vendono ogni sorta di souvenir: tra una pelliccia di volpe ed una camiciola ricamata, troviamo anche dei salumi e dei formaggi profumati e gustosissimi, che andranno a rimpinguare la già pingue colazione che ci aspetta ogni mattina.

DALLE FIABE GOTICHE ALLE FOLLIE GITANE

Sibiu, Sighishoara, Sanschiz, le chiese fortificate della Transilvania (tutte sotto egida Unesco), i villaggi sassoni… tutto contribuisce a rafforzare in noi il senso di meraviglia, sorpresa e stupore di questo viaggio in Romania.
Sibiu (in tedesco Hermannstadt), fondata nel 1190, è unica: ovunque si vada, si ha come l’impressione di essere osservati. La sensazione è dovuta ai numerosi tetti delle abitazioni, punteggiati da tanti “occhi”, che altro non sono che lucernari che servono all’aerazione delle case, conferendo a tutta la cittadina un non so che di… “sospettoso”. Scherzi a parte, forse proprio Sibiu è la meno rumena e la più tedesca delle cittadine sassoni (che sono sette, in tutto): il bilinguismo è percepibile ed apprezzabile, ci sono le librerie tedesche, gli abitanti parlano tedesco, e la grande cattedrale evangelica, del XIV secolo, dal suggestivo tetto colorato e la torre alta ben 73 metri (!!) conferiscono al centro abitato un’aura fiabesca da racconto gotico dei fratelli Grimm. Non dimentichiamoci che in queste piazze era d’uso, in epoca medievale, mandare le streghe al rogo o qualcuno sulla ghigliottina… La cittadina ha visto tra i suoi illustri abitanti anche Paul Wiener, che fu un pastore evangelico nativo della Slovenia (Kranj o Lubiana, non è chiaro) e che qui morì di peste nel 1554, mentre ricopriva la carica di primo vescovo protestante della Transilvania. Una bella targa scolpita, scritta in sloveno, romeno e tedesco, lo ricorda. Passeggiare per questa suggestiva cittadina è un vero piacere, per la pulizia, l’ordine, la calma e la tranquillità teutoniche.
Saschiz è una delle cittadine che offre al visitatore la possibilità di visitare una delle chiese fortificate che ora sono sotto tutela Unesco. La chiesa che visitiamo noi è la chiesa dedicata a Santo Stefano, edificata, sulle rovine di una basilica romana, attorno al 1493 in stile tardogotico. Il rigore, la frugalità e l’atmosfera spartana, tipiche di molte delle chiese luterane, si evincono dalle mura bianche e spoglie e dagli arredi essenziali. Riusciamo anche a salire sulla torre campanaria in un intrico di cavi, tiranti e strutture lignee che reggono l’intera struttura, e da quassù godiamo della vista sulla campagna circostante, con i suoi villaggi dall’atmosfera antica che hanno affascinato perfino Carlo d’Inghilterra, il quale, per evitare che tutto questo patrimonio rurale andasse perduto (ci aveva già provato Ceausescu con l’industrializzazione forzata, poi lo spopolamento post-rivoluzione sembrava voler dare la mazzata finale) ha creato un’apposita organizzazione allo scopo di preservare, restaurare e conservare per i posteri questi bellissimi villaggi, alcuni dalla cinta muraria fortificata, che sembrano tanto una replica dei villaggi di Asterix che resistono ora e sempre “all’invasore”. Per il momento, l’unico “invasore” sembra essere il turismo, fortunatamente non ancora “di massa”.
Viscri è un altro di questi villaggi stupendi, abitato sassone che si avviluppa attorno all’imponente chiesa fortificata sorta nel 1225, dove d’estate è piacevolissimo passeggiare tra le ripide viuzze di ciottoli e, alla fine della salita, arrivati alla fortezza, ci si può ristorare con un fragrante e profumatissimo pane appena sfornato ed ancora annerito dalle braci!
Spostandoci da un luogo all’altro, passiamo attraverso i villaggi abitati dalle comunità zingare che conservano ancora molte delle loro attività e costumi tradizionali: abilissimi ramai, lavorano il rame per creare non solamente stoviglie e vasellame, ma anche stupendi alambicchi atti alla produzione dei liquori, e non di rado vengono commissionati anche dalle aziende vitivinicole del Nord Italia dedicate alla produzione di grappa. Proprio una di queste bancarelle a bordo strada ci incuriosisce. Le stoviglie appese brillano come oro rosso alla luce del sole. L’amico Stan, assieme a Florint, Elena e Luzi scendono dall’auto e si dirigono verso l’artigiano intento a lavorare il rame, ma non appena l’artigiano si accorge che assieme a loro è giunta una macchina con targa italiana dalla quale scende una coppia munita di macchina fotografica, scatta subito l’operazione simpatia e quindi non solo si prodiga ad illustrarci le meraviglie della sua manifattura e tentare di venderci un bellissimo mastello a prezzi esagerati ma, per far più colpo su di noi, fa pure uscire la figlioletta di casa, agghindata con un costume tradizionale gitano. La bimba è davvero stupenda nelle sue variopinte stoffe e dalle lunghissime trecce abbellite da nastri rossi, ma… ragazzi, siete troppo esosi!! Rinunciamo al mastello ed alle stoviglie, non prima di aver scattato qualche foto ai loro prodotti, alla bellissima bambina folk ed ad una ennesima “cattedrale nel deserto”, cioè una casa superbamente kitsch ma ancora da completare (e che probabilmente non lo sarà mai) a dar dimostrazione della potenza economica della famiglia che l’ha edificata…
Sighişoara: che dire? E’ stupenda! Non solamente per l’aura da leggenda che la circonda, dato che “zio Vlad” (Ţepes, cioè Dracula) è nato qui, ma anche perché l’intrico dei suoi vicoli e delle viuzze acciottolate è quanto di più magico ci si potesse aspettare dalla meravigliosa Transilvania: è un vero gioiello di architettura medievale, dove la torre dell’Orologio spicca per maestosità e foggia architettonica. L’orologio è munito di carillon animato, ma purtroppo, durante la nostra visita, non era funzionante… che peccato! Le bancarelle di artigianato offrono quanto di meglio si possa trovare: dalle stupende camicie ricamate (ma nei negozi sono di qualità superiore rispetto alle bancarelle), alle uova pasquali dipinte o scolpite (straordinarie per complessità di intaglio), alla paccottiglia kitsch per turisti frettolosi  e superficiali (come dappertutto). Non possiamo mancare di visitare la casa natale di Vlad Ţepes, dove nacque e visse fino all’età di tre anni. La casa che diede i natali a quello che tutt’ora viene considerato eroe nazionale e degno di grande rispetto, è stata trasformata, purtroppo, in un ristorante (al piano terra) ed in una specie di sala d’arme al primo piano… peccato che la Storia qui vada a farsi benedire, a favore di un’esposizione baracconesca e kitsch con tanto di morto che resuscita nella bara, ragno gigante che ti piove in testa ed altre amenità. La fiabesca Sighişoara si riscatta con uno strepitoso festival interculturale che si tiene qui in agosto, un festival dove si esibiscono gruppi folkloristici rumeni ma appartenenti alle diverse culture ed etnie che compongono questa strabiliante terra. E’ d’obbligo farne un elenco: oltre ai rumeni, si esibiscono albanesi, armeni, tedeschi, greci, bulgari, italiani, polacchi, rom, slovacchi, tatari, turchi, ucraini, macedoni, serbi, cechi, ungheresi, croati, ebrei, ruteni e lipoveni, queste ultime due vere minoranze “in via di estinzione” in quanto genti parlanti antichi idiomi slavi, stabilitisi i primi nella zona che confina con la Transcarpazia ucraina, i secondi quale gruppo di “vecchi credenti ortodossi”, rifugiatisi nella zona del delta del Danubio alla fine del 1600 per sfuggire alle persecuzioni della chiesa ortodossa russa in quanto ritenuti “eretici”. Ed ognuno di questi gruppi porta con sé i loro costumi e le loro danze, in un mosaico che ha davvero dell’incredibile per varietà di fogge, canti, danze, balli, musiche, dove ogni gruppo folkloristico alla fine della propria rappresentazione scende dal palco per coinvolgere in uno sfrenato bis anche il pubblico presente in piazza! Ci sarebbe piaciuto assistere a tutte e due le giornate del festival, ma purtroppo le cose da vedere sono ancora tante, la stanchezza avanza e pertanto ci godiamo solamente i polacchi ed i macedoni, bellissimi nei loro costumi tipici, che con danze tradizionali e melodiche canzoni ci affascinano per intensità e bravura d’esecuzione, mentre il gruppo ebraico, composto da sole donne vestite con una sorta di tunichetta bianca e azzurra, danzanti (male) su una musica dance-turbo-klezmer sparata a 10.000 decibel stile discoteca di Tel Aviv e che di folk e tradizione non ha proprio nulla, finisce per lasciare tutto il pubblico tra l’interdetto ed il perplesso…

LE MINIERE DI TURDA

Turda è una simpatica cittadina che ha utilizzato bene i fondi europei, restaurando il centro storico e rendendolo un “salotto buono” cittadino, ma la vera attrazione sono le miniere di salgemma, incredibili cavità scavate nel sale, che sono state utilizzate dal 1271 fino al 1932, anno della chiusura, e recentemente aperte al pubblico quale attrazione non solo turistica, ma anche sanitaria, in quanto sono presenti diverse zone dove le persone sofferenti di problemi respiratori (allergie, asma) possono passare qualche ora o anche tutta la giornata in un ambiente dedicato. Sono quattro le miniere che compongono il complesso, tutte di profondità variabile tra gli 80 e gli 87 metri; alla miniera Rudolf, ad esempio, profonda 80 metri, ci si accede mediante un simpatico ascensore tutto in vetro, dal quale si gode un panorama quasi extraterrestre, che la suggestiva, semplice ma efficacissima illuminazione a tubi in neon amplifica ed entusiasma! In certi momenti sembra davvero di essere finiti in una qualche colonia spaziale!! Sul fondo della miniera Terezia si è formato, nel corso dei secoli, un laghetto di acqua salata che ha una profondità di ben 8 metri, e sulla cui superficie galleggiano piccoli “gusci di noce”, cioè le barchette affittate ai turisti per una incredibile quanto fantastica esperienza sensoriale di navigazione nel quasi buio e (quasi) silenzio. Le sorprese non finiscono qui, perché tutta la zona intorno a Turda è ricca di affioramenti di fanghi curativi a cielo aperto, alcuni addirittura a bordo strada, e sulla strada del ritorno verso la nostra pensione, ci imbattiamo in parecchie persone completamente ricoperte da una sorta di bitume nerastro che si crogiolano sguazzanti nel fango terapeutico, godendosi la pace, il sole e l’aria aperta, in compagnia delle avocette e di altri bellissimi uccelli limicoli.

IL RUMENO CHE CI PIACE
   
E’ quel tipo che dopo 17 anni da emigrante in Spagna ed Inghilterra (tipo Lucian, simpatico e gagliardo quarantenne di Turda), e dopo aver messo da parte un cospicuo gruzzolo, torna a casa sua, in Romania, per farsi una famiglia ed aprire due case di appartamenti bellissimi (“Casa Smile”) con gigantesca cucina in comune (grande frigo con congelatore, tavolone da 8 o più commensali, tutto l’occorrente per cucinare, tv a colori e divano in comune), e con strepitoso (a dir poco!!) gazebo in legno massiccio all’esterno fornito di griglia e forno a legna, lavandino inox, stoviglie e pentole, detersivi, spugne e panni, carta da cucina, e tutto quanto occorre per cucinare (pepe, sale, olio, aceto, spezie), con posto per almeno una trentina di coperti, dove si possono far grigliate, pizza, polenta, quel che si vuole e, cosa che gli ha fatto guadagnare parecchi punti sulla tabella accoglienza nonché un posticino speciale nei nostri cuori, una spina della birra (Ursus) ad uso e consumo degli ospiti. Stanze ed uso cucina/griglia hanno un prezzo, la birra si paga a parte… come? Per ogni boccale spillato, si mettono i soldi direttamente in un bicchiere posato sulla finestra alle spalle della spina, tanto nessuno li porta via. E, se proprio uno non vuole farsi da mangiare, è disponibile un servizio di ristorazione  a domicilio, con tanto di menù fast, da ordinare al telefono. E, notizia ancora più stratosferica, d’inverno Lucian prepara una piscina all’aperto con acqua calda, dove, contornato dalla natura innevata, uno può starsene tranquillamente a mollo sorseggiando comodamente un boccale di Ursus alla spina… cioè, non so se rendiamo l’idea!! Il confort in questa struttura è assoluto, ma di aria condizionata… nisba. Per fortuna di notte fa fresco e quindi riusciamo a dormire con le finestre spalancate in un apprezzabile silenzio, nonostante la struttura sia contornata da altre abitazioni della prima periferia.

MARAMUREŞ, OVVERO COME PASSARE INDENNI ATTRAVERSO GLI SCONVOLGIMENTI DELLA STORIA

A Turda, con l’ultima cena assieme nella Casa Smile, lasciamo con una lacrima e tanti calorosi abbracci e promesse di rivederci i carissimi amici Stan (campione nazionale in carica di grigliata), Luzi (pilota, cuoca super e dalla risata contagiosa), Florint (l’uomo amianto che maneggia pentole bollenti e manici incandescenti a mani nude senza batter ciglio) ed Elena, dolce compagna di viaggio e Cordon-Bleu delle peperonate. Ora proseguiremo da soli nel nostro viaggio di ritorno verso casa.
Grazie ai buoni uffici di Stan, che ci ha prenotato una camera in una pensioncina quasi introvabile in zona Săpânţa, ci dirigiamo nella mitica ed incredibile regione del Maramureş, dove settant’anni di comunismo prima, modernizzazione forzata durante e occidentalizzazione forsennata poi, non hanno intaccato di un millimetro la pace, la calma, la tranquillità e lo stile di vita di questa regione rurale tra le più belle, misteriose e significative d’Europa. Qui la vita, e non è un eufemismo, è davvero “a misura d’uomo”. Ne avevamo avuto sentore nel 2010, quando siamo transitati a circa 10 km da qui, in Ucraina, visitando un angolo di est Europa rimasto fermo, per certi versi, all’800. Ora, ad otto anni di distanza, la magia si rinnova e forse con ancora più vigore in quanto gli anni sono passati ed il progresso ha macinato chilometri e distanze più in fretta di noi. Abbiamo ancora due tappe obbligate: il Memoriale alle vittime del comunismo ed il “cimitero allegro”.

SIGHETU MARMAŢIEI, PER NON DIMENTICARE

Tappa obbligata se si vuole comprendere che cosa è stato il comunismo in Romania, l’ex carcere di massima sicurezza di Sighetu Marmaţiei è un’esperienza visiva ed emozionale unica ed intensa. In questa struttura opprimente è stato creato, nel 1993, il Memoriale alle vittime del comunismo e per la Resistenza, del quale nel 2018 si celebra il giubileo dei suoi primi 25 anni dalla creazione, al cui interno è ospitato anche il Centro Internazionale sugli Studi sul Comunismo. Non ci sono parole per descrivere quanto vediamo: ogni singola cella è un contenitore di oggetti, libri, ritagli di giornale, fotografie, che ricordano gli internati, le loro pene, il sistema carcerario e tutto quanto concerneva il sistema di carcerazione e punizione all’epoca del regime comunista, a partire dalla sua instaurazione nella Romania del Dopoguerra. Ci vorrebbe davvero una giornata intera per visitarlo tutto con calma, perché il materiale audio-visivo esposto è gigantesco; ottima la sala del Centro Internazionale Studi sul Comunismo, dove una serie di pannelli ospita fotografie e cartine descrittive dell’epopea comunista in tutto il mondo, e dove anche l’Italia, coi suoi Anni di Piombo, trova un posticino nella storia dell’ideologia. Visitare questi luoghi sinistri ed angoscianti mette davvero i brividi, questo è stato un carcere vero e la sensazione di solitudine, reclusione e privazione della libertà ci attanaglia e ci opprime. Non da meno è il “Cortile dei Sacrificati”, spazio esterno racchiuso dalla cinta carceraria che veniva adibito a fucilazioni, dove una significativa scultura in bronzo raffigurante 18 individui disperati che si avviano senza speranza verso un muro in mattoni aggiunge, se possibile, ancora più angoscia e significato a questo Memoriale che vale davvero la pena di vedere, soprattutto per non dimenticare.

SĂPÂNŢA, DOVE LA VITA FINISCE IN UN’ALLEGRA RISATA

Altra tappa obbligatissima per chi passa da questi luoghi: il “Cimitero Allegro” di Săpânţa, o “Cimitero ridicolo” come lo chiama il nostro amico Stan. E’ un cimitero vero e proprio, ma quello che lo contraddistingue da tutti gli altri sono le strabilianti croci di legno dipinte di blu che ornano le tombe: ognuna è scolpita con l’immagine del defunto ed una breve descrizione umoristica ricorda le gesta della persona lì sepolta. Questo cimitero, come recita la particolareggiata descrizione multilingue addossata all’esterno della chiesa, costituisce l’opera di tutta una vita di un famoso scultore locale, Stan Ioan Patras, che negli anni ’30 del Novecento pensò che ci fosse anche un altro modo per “celebrare” la dipartita di una persona, dato che il contadino rumeno non ha paura della morte, che rappresenta invece il passaggio verso una vita eterna. Difatti, per annunciare la morte di qualcuno, non si usava la parola “morto” bensì la parola “vixit”, cioè “è vissuto”. E per ricordare degnamente chi è vissuto ed ora è passato ad una vita migliore, Stan Ioan Patras pensò bene di ricordare il “vixit” con simpatici epitaffi scolpiti nel legno di quercia delle croci. Ogni tomba è ornata da una croce di legno blu (blu come colore di speranza e serenità, da allora definito “blu di Săpânţa”) scolpita con l’immagine del defunto ed una breve descrizione che ne ricorda le gesta in vita, o con un aforisma solitamente scritto in versi, anche umoristici, ecco perché il cimitero è stato definito “cimitero allegro”. Alla morte dello scultore, la tradizione è stata portata avanti dall’allievo Dumitru Pop. Passeggiare tra queste lapidi colorate e piene di didascalie come fumetti a strisce è particolarmente sorprendente e straniante. Troviamo chi in vita allevava cavalli, o produceva vino, la donna che tesseva tappeti seduta al telaio, il barista, il boscaiolo, il minatore, chi è morto per mano altrui (con truculenta rappresentazione di sgozzamento)… purtroppo anche tanti bambini morti in tenera età, ai quali lo scultore ha dedicato dolci versi e delicate immagini. E, quando è giunto il suo momento, anche l’originale artista ha lasciato come ricordo di sé una lapide che lo rappresenta a mezzo busto ed una descrizione accurata. La sua tomba è giusto di fronte alla chiesa ed è numerata col n. 22. La piccola cittadina è anche un suggestivo mercato a cielo aperto dove trovare il meglio dell’artigianato del Maramures, con tappeti, cinture e camicie ricamate di altissima qualità, nonché anche pezzi unici di tessuti antichi. La vita qui gira lenta e scorre tranquilla al ritmo del carro trainato dai cavalli. Per la notte, l’amico Stan ci ha prenotato una camera in una pensioncina strepitosa nei dintorni del paesino, ma in un luogo così suggestivo che sembra sperduto e dimenticato dal resto del mondo, ma dove si trova gente che parla italiano e il wi-fi perfettamente funzionante. Poco lontano dall’abitato di Săpânţa, visitiamo un altro strabiliante esempio dell'ingegno dei mastri falegnami del Maramures: una chiesa ed un convento costruiti interamente in legno senza uso di chiodi ed incastrando tra loro pesantissime tavole di legno; i tetti a minutissime scandole danno l’impressione di essere stati ricoperti da scaglie di pigne, per tanto sono piccole e fitte! La chiesa, purtroppo, è visitabile ma non è possibile fotografarla all’interno. Ci accontentiamo delle foto della struttura esterna, riposando lo spirito, respirando aria pulitissima, godendo di queste ultime ore in tutta calma e tranquillità.

DRUM BUN

Ormai è ora di fare rientro a casa. Sulla strada del ritorno, pensiamo alla notevole quantità di emozioni ed esperienze visive vissute sia da soli sia assieme ai nostri amici rumeni. Ci stupiamo per tutto quanto la Romania offre ed ancora ha da offrire nelle zone da noi non ancora visitate (pensiamo al Mar Nero, alla regione di Moldavia ecc), alle impressioni che questa bellissima e sorprendente vacanza ci ha regalato: la Romania è comunque Est Europa e quindi la gente guida come se non esistesse il codice stradale e la polizia che chiude uno se non due occhi davanti a palesi infrazioni; attenzione ai carretti con cavallo dappertutto, ai pedoni col telefonino in mano che si fiondano incuranti davanti al cofano di auto in arrivo, agli zingarelli organizzati e molesti nei luoghi altamente turistici come Shighişoara, ma anche alle impensabili sorprese, come nella città di Baia Mare, dove hanno sistemato attrezzi ginnici da palestra moderna ad uso e consumo gratuito nel parco pubblico; e poi piste ciclabili, riciclaggio rifiuti, cura del verde anche in posti poco turistici… La carne che si acquista è gustosissima, sia di maiale, che di manzo e pollo, super verdure e peperoni digeribilissimi, birre gustose e beverine (Ciuc, Ciucas, Timisoreana, Ursus, ecc), prezzi decenti e popolari per mangiare e dormire, nessuno che ti frega sul cambio né sul conto, il gasolio ad 1,24 euro, strade decenti o addirittura ottime (ma in periferia estrema, ovvio, esistono buche come piscine). Il Paese ha tanto e molto da dare, forse avrebbe bisogno di più persone in gamba come Lucian per creare tante “case Smile”. L’intraprendenza non manca, mancano i fondi, e la burocrazia è ancora tanta e farraginosa, e forse manca un po’ di forza di volontà… ma non disperiamo, perché i Romeni sono gentili, pazienti e simpatici, tantissimi parlano italiano facilitando i contatti turistici ed economici e siamo sicuri che molti Romeni che hanno lavorato in Italia, come i nostri amici, sapranno portare qualche buona idea ed iniziativa per mandare avanti il loro bellissimo Paese.
Ancora qualche notizia random: per quanto riguarda l’alloggio, l’amico Stan aveva già da tempo prenotato le varie sistemazioni, per essere sicuri di trovare da dormire per 6 persone in altissima stagione, portandoci anche in posti sconosciuti perfino agli stessi rumeni e trovati solamente col passaparola (come il fantastico chalet tra i Carpazi, che non è segnalato nemmeno in strada). Per colazioni, pranzi e cene, eravamo sempre autosufficienti: con capienti borse frigo, ci siamo portati dietro la carne per le grigliate, i formaggi e le verdure per pranzi, cene e colazioni; ci siamo saziati con le croccanti e gustosissime verdure dell’orto coltivate da Luzi, con pomodori e peperoni strepitosissimi! La colazione tipica rumena è per stomaci robusti: formaggi, pomodori, peperoni, pancetta, per pranzo idem, per cena le stratosferiche grigliate con maiale talmente grasso che è d’obbligo innaffiare con bicchierini di grappa locale per sgrassare lo stomaco! Abbiamo ricambiato con una cena “all’italiana”, cioè una spaghettata con sugo di pomodoro con capperi, acciughe ed olive, fatto  da noi sul momento in una delle fornitissime cucine (nella pensione Julia, nei pressi di Turda), suscitando la sorpresa di Luzi ed Elena che si stupivano per la mancanza di tonno o carne nel pomodoro, sembrando loro quasi inconcepibile una salsa di pomodoro senza carne! E tante, tante altre cose che avremmo potuto vedere e raccontare, se non fosse per il fatto che, esattamente nella seconda serata a Bucarest, ho avuto un infortunio ad un piede, e causa il dolore ingravescente abbiamo dovuto rinunciare alla gita al castello di Bran, le salite e discese sui sanpietrini erano un supplizio e le nostre passeggiate erano giocoforza ridotte causa infortunio, sulla gravità del quale non eravamo ben consapevoli… Provvidenziale, per ridurre il gonfiore, è stato il rimedio casalingo di fasciatura con foglie di cavolo cappuccio, che hanno lenito il dolore. Solamente al nostro ritorno a Trieste, effettuate immediatamente le radiografie, ci siamo resi conto che per sette giorni avevo camminato e fatto fotografie con un piede fratturato… ma ciò non ci ha impedito di divertirci e sorprenderci, perché tutto quanto visto ha fatto passare in secondo piano infortunio e disagi associati!
Un grandissimo grazie ai nostri amici Stan, Luzi, Florint ed Elena, che con la loro preziosissima guida e simpaticissima compagnia ci hanno fatto trascorrere momenti davvero indimenticabili, facendoci scoprire una terra incredibile, magica e davvero sorprendente sotto ogni aspetto, un Paese vivo, in movimento, in equilibrio tra progresso e modernità ma tenacemente attaccato e fiero delle proprie abitudini, tradizioni, cultura, spiritualità. Una sorpresa chiamata Romania. Torneremo? Certo che sì, anche per visitare ciò che ci siamo persi causa infortunio. Perciò… Romania, portaci via!! Alla prossima!





4 commenti:

Anonimo ha detto...

Come sempre, anche questo resoconto del vostro viaggio in Romania è esaustivo, ricco di informazioni, affascinante e mi ha permesso di viaggiare insieme a voi. La stanza d'albergo con il condizionatore con l'enfisema è descritta in modo così reale che sembra di esserci. Vedere luoghi stupendi grazie alle vostre foto, come la Transilvania o i contadini che falciano ancora a mano i loro prati, scoprire una parte di mondo, come la Romania, che mi era del tutto sconosciuto è stato intellettualmente appagante. Ho scoperto usi e costumi di un popolo di cui conosco solo ciò che ci viene raccontato attraverso i media. Le trecce d'aglio vendute per difendersi dai vampiri è stata una scoperta che non avrei mai immaginato. La Transilvania per me era un luogo oscuro, dove ci vive pochissima gente e fatta solo di boschi sinistri. Invece è piena di bellissimi villaggi, così diversi gli uni dagli altri tanto che non ci si annoia mai. Infine quello che voi siete in grado di percepire e raccontare, mostra un mondo visto con occhio umano, amorevole, pieno di curiosità e senza pregiudizi. Grazie Laura e Max per permettere a me e a tutti i vostri lettori di viaggiare e conoscere il mondo con occhi nuovi. Vi saluto e aspetto il prossimo viaggio.

max ha detto...

Caro Anonimo,
quanto ci scrivi per noi è una medaglia al valore! In questi beceri tempi di politicamente corretto, non è facile scrivere qualcosa senza urtare la sensibilità o, peggio, la permalosità di qualcuno. Noi tentiamo di farlo con un occhio obiettivo, neutro e sincero, come lo sono le nostre fotografie, che non conoscono Photoshop. Ciò che vediamo, ciò fotografiamo, ciò riportiamo, filtrato dalla nostra sincerità di reporter per caso. Con questo blog, tentiamo di sfatare dei pregiudizi senza però edulcorare la realtà, facendo conoscere, nel nostro piccolo, scorci e scampoli di un'Europa misconosciuta, nascosta, qualche volta lontana dalle classiche mete turistiche. Grazie ancora per la fedeltà con cui ci segui, sperando di sorprenderti ancora con le prossime mete!

Elisa ha detto...

"...ma sono riuscita a finire di leggere il racconto del vostro viaggio! Sai che quasi quasi mi hai fatto venire voglia di vedere dal vivo tutto quello che hai descritto? La miniera di sale è davvero affascinante e poi è immensa e dalle foto sembra ancora più grande! I paesini, le rive del Danubio, la scultura megalitica! Insomma è stato proprio un bel viaggio! Peccato per il tuo piede! Le foto, comunque, sono bellissime, hanno una luce straordinaria! Bello, Bello , Bello!!!"
Elisa

max ha detto...

Vista la relativa vicinanza dei posti da noi visitati, nulla ti vieta di vedere tutto ciò con i tuoi occhi. In Ungheria ci torniamo sempre volentieri; la Romania, come avrai letto, si è rivelata un’autentica sorpresa. Forse anche perché la vedevamo con gli occhi “easy” del turista che si fa scarrozzare e non con quelli “impegnati” del viaggiatore che deve organizzarsi tutto il viaggio e le tappe da sé. La miniera di sale offre davvero un’esperienza “spaziale” che potrebbe diventare surreale e metafisica nei momenti nei quali è meno affollata di turisti vocianti; ed il Danubio, da qualsiasi sponda lo si guardi, può essere affascinante o deludente, a seconda degli scorci e delle anse incontrate. E la luce straordinaria delle fotografie… quella sì che è un vero miracolo, visto il periodo e le ore non esattamente favorevoli per catturare immagini epiche, ma siamo ugualmente soddisfatti del risultato!