Incontri coi popoli

Incontri coi popoli
Incontri coi popoli

Balcani 2011


3.796 Km in 12 giorni, 75 ore di guida fra 6 Stati e 2 capitali
(clicca sulla cartina per ingrandire)




           Balcani in foto   (clicca qui)


                                            Balcani in foto 2   (foto di Giorgio Antoci, clicca qui)


Prologo
Si parte! Finalmente anche quest’anno le tanto sospirate ferie sono arrivate. Sembrano sempre più lontane, irraggiungibili. Ogni anno che passa, le senti sempre più necessarie al corpo e allo spirito. Mah, forse iniziamo ad invecchiare….
E ancora il fascino dell’est, anzi, del sud-est. Destinazione finale: nord dell’Albania, passando per la Croazia e il Montenegro (e toccando anche un pezzetto di Bosnia Erzegovina, passaggio obbligato per chi si dirige a Dubrovnik). Meta scelta all’ultimo momento, anche perché quest’anno il viaggio da noi programmato era decisamente ambizioso: Eurasia Tour, viaggio che avrebbe compreso: Serbia, Bulgaria, Romania, Turchia, Ucraina, Mar Nero e Mar d’Azov, stavolta da soli. Poi, anche questa volta una serie di intoppi (e qualche “gufata”) hanno fatto saltare tutto e ci siamo ritrovati, ai primi di agosto, a non avere ancora un piano B per le tanto sospirate ferie. Certo, l’est Europa offre spunti infiniti, ma forse stavolta avevamo bisogno di un est un po’ diverso; il sud-est, appunto. E così ecco che appare un annuncio per un viaggio in off-road nel nord dell’Albania. Detto, fatto. Ci accordiamo con l’organizzatore, e finalmente le ferie prendono forma. Ritrovo il 18 settembre al porto di Durazzo con tutti gli altri partecipanti al raid. Nel frattempo, noi saremmo scesi (come al solito) direttamente in auto da casa e, nel far ciò, avremmo approfittato per visitare la parte finale della costa dalmata, che ci mancava, e di scoprire il fascino del Montenegro.

*****

Slovenia – Croazia, europei (ma non troppo).
Finalmente salpiamo un lunedì mattina di metà settembre. Di buon’ora siamo già seduti in macchina a riscaldare il motore, la giornata è leggermente velata, e la temperatura è ottima per partire. La prima parte del percorso la conosciamo già a memoria, è la stessa strada che spessissime volte ci ha portato sul Monte Snežnik, quindi, senza esitazioni, puntiamo diritti in direzione Rijeka. Nel percorrere la strada, ci eravamo messi d’accordo che non aveva senso perdere tempo nello scendere lungo la tortuosa strada costiera, fino a raggiungere Zara, perché già anni fa l’avevamo fatta d’estate. E quindi, per recuperare un po’ di tempo, decidiamo di prendere l’autostrada a Rijeka e uscire proprio a Zara, e quindi poi costeggiare tutto l’Adriatico fino alla meta. Arrivati nella bella e sempre suggestiva città croata, forse in preda all’entusiasmo della partenza, forse un po’ colpa del traffico caotico di una giornata lavorativa, o forse (più probabile) per una mia svista, non prendiamo la direzione Crikvenica, Senj, insomma quel pezzo di autostrada che scorre abbastanza parallela al mare, ma imbocchiamo la “nuova” autostrada che ci porterà fino a Vrbovsko. Decidiamo perciò di uscire dall’autostrada e “tagliare” in direzione di Ogulin attraverso una stradina definita in gergo automobilistico “veloce”, con saliscendi continui, con pendenze comprese fa il 10 e il 12%, testando così i freni appena sostituiti. Arrivati in città, osserviamo che continuare su queste strade è praticamente impossibile, quindi prendiamo nuovamente l’autostrada che ci porterà a ricongiungerci con l’altra autostrada, quella diretta, all’interno di Senj. In parole povere abbiamo aggirato abbondantemente il parco delle Bijele Stijene nel comprensorio della Velika Kapela, allungando il nostro giro di ben 66 km! Pazienza, per consolarci, diciamo che abbiamo comunque visitato un pezzo nuovo della Croazia a noi sconosciuto…
Attraversiamo le Kraijne con una leggera foschia che rende lattiginosa l’atmosfera. Evidentemente, qualcuno ci vuole male, perché la foschia non ci abbandonerà più fino all’Albania….. Il paesaggio si srotola attraverso lande e brughiere, ogni tanto qualche rilievo calcareo spezza la monotonia. Si intravvedono i primi colori autunnali, mortificati da un cielo color siero di latte. Vabbè, potrebbe andare peggio. Tipo… potrebbe piovere! Ci fermiamo in uno degli innumerevoli parcheggi autostradali adibiti a ristoro, un tanto per sgranchirci un po’ le gambe e la schiena e per fare una colazione più seria di quella fatta a casa stamattina alle 05,30. Fra barrette di cioccolata, snacks, succhi di frutta, si fa anche il punto della situazione. Di tanto in tanto buttiamo lo sguardo verso le frotte di pullman carichi di gente, sicuramente appena partiti dai vicini laghi di Plitvička jezera, ritornare verso casa, segno inequivocabile che le ferie sono volte al termine, mentre le nostre sono appena all’inizio, e li osserviamo passare con una certa qual soddisfazione… D’un tratto sentiamo un rumorino anomalo provenire da lì vicino, ma non riusciamo a focalizzare esattamente dove. Laura si alza dalla panca e si avvia verso il rumore, intuisce che proviene dal contenitore delle immondizie: gettando lo sguardo attraverso il sacco di nylon giallo, fortunatamente quasi vuoto, riesce a scorgere un minuscolo topolino rimasto prigioniero all’interno dello stesso. Il poverino, evidentemente attratto da qualche odore particolare, si sarà arrampicato sul contenitore, per poi scivolare al suo interno rimanendone intrappolato. Ovviamente fra il nostro stupore, e l’ilarità, non c’è voluto molto che tagliando l’angolo basso del sacco con una taglierina, lui scappasse velocissimo in una tana sotto un masso lì vicino, senza nemmeno ringraziare!
Avrebbe fatto davvero, se non ci fossimo accorti per tempo, la classica fine del topo, quando sarebbe intervenuto il camion dell’immondizia. Fieri e contenti di noi stessi per aver fatto la buona azione quotidiana, riprendiamo il viaggio.
Questa è zona di molti parchi protetti e, da qui in avanti, ne incontreremo diversi; uno su tutti il grande parco del Velebit che comprende, molto più a sud , il parco della Paklenica. Intanto i km si susseguono veloci, città come Otočac, Gospić ce le lasciamo alle nostre spalle, e dopo un ennesimo traforo, sbuchiamo fra il Novigradsko more e il Novsko ždrilo, ancora pochi km e saremo a Zara (Zadar). Infatti usciamo da questa lunga, a volte comoda, ma sicuramente noiosissima, striscia d’asfalto che ha tagliato valli e parchi, per rituffarci nella caotica marina di Zara. La giornata prosegue calda e assolata.
Ecco il mare. In giornate di Bora, lo spettacolo della costa dalmata, delle isole Incoronate, sarebbe stato assicurato (leggi: cielo blu terso e mare color cobalto, costa bianca abbacinante). Ma con questa brezza da sud-sud-ovest, pregna di umidità e forse anche della sabbia di qualche deserto africano, tutto risulta sciapo e uniforme. Una cappa caliginosa avvolge ogni singola isola e già scorgere la costa risulta problematico. Grande sconforto di Laura, pensando alle pessime foto che una simile foschia produce.
Dopo qualche rotonda, qualche stradone rettilineo, e diversi semafori dopo, usciamo da questo groviglio che poco ha d’umano, e imbocchiamo la vecchia strada costiera che ci porterà dopo più di 70 km a Sebenico (Sibenik). Ecco la zona nuova per me, mai visitata, la famosa Jadranska Magistrala presa da dopo Zara. Qui, finalmente, inizia per me il vero viaggio. La strada percorsa fino ad ora la considero solo trasferimento. Minuscoli paesetti in riva al mare, un susseguirsi di casette, di “sobe” (le camere in affitto per i turisti) di ristoranti grandi e piccoli, e quel profumo familiare, che mi riporta indietro di tanti anni, alla mia gioventù nella ex Jugoslavia, il profumo della porchetta arrostita, che invade la strada e per centinaia di metri ti avvolge e ti entra in macchina, e ti invoglia a fermarti. Ma sai benissimo che fra pochi km ne incontrerai un altro e poi un altro ancora, non è tempo ancora di fermarsi, di pranzare. Arriviamo a Sebenico che sono le 12,30, non senza aver fotografato, qualche km prima, il famoso e suggestivo ponte sul fiume Krka. La strada corre veloce, non c’è molto traffico, forse perché siamo in un periodo in cui il grosso del turismo è già quasi finito, quindi decidiamo di proseguire fino a Spalato (Split) prima di fermarci per il pranzo. Arriviamo dunque a Podorljak, dove l’ennesimo profumo di porchetta ben arrostita ha avvolto l’interno del Nissan; non resistiamo a questa ennesima tentazione, inchiodiamo le ruote nei pressi di un bel localino alla sinistra della strada. La cameriera capisce al volo che siamo assetati, e in un attimo ci porta 2 belle birre da mezzo litro … anche se con la guida, l’alcol non va molto d’accordo. Prendiamo poi due belle porzioni di porchetta appena fatta, insalata e un piatto di patatine. All’ombra, sotto un’ampia pergola, ripassiamo mentalmente, in attesa delle portate, la lunga strada fino adesso percorsa, e i ricordi si susseguono. Il topolino intrappolato nel sacco dell’immondizia, la particolare brughiera rossastra dell’inconsueto paesaggio della Velika e Mala Kapela, un particolare mosaico di lande e boschi, tutte quelle isole e isolette, nuove alla mia vista. Anche se questa strada non permette troppe distrazioni, è un susseguirsi di curve continue, quindi più che viste, sarebbe meglio dire intraviste. Con calma, e senza nessuna fretta addosso, verso le due e mezza, decidiamo di ripartire. Fra poco arriveremo a Split. Mai ci eravamo spinti sinora fin quaggiù, lungo questa costa. E’ tutto nuovo quello che vedo. E come attraverso gli occhi di un bambino, rimango affascinato di quello che scopro curva dopo curva. Per Laura è diverso, la Dalmazia l’aveva già fatta fino a Sebenico e poi l’aveva “vissuta” attraverso i reportages di una delle sue sorelle, quindi per lei niente di nuovo. Appena superata Split, il mare si “restringe” formando un canale, che prenderà il nome dell’omonima isola. Ed ecco davanti a noi, grandissima, l’isola di Brač (Brazza), sarà la prima isola davvero grande che vedremo dall’inizio del viaggio. Non faccio in tempo a stupirmi, che ecco incontrare la lunghissima isola di Hvar, e subito dopo quella di Pelješac. Quest’ultima poi, nasconde la vista a un’altra famosa isola, quella di Korčula (Curzola), è davvero un susseguirsi di emozioni. Tuttavia scopro anche che mi immaginavo diverso lo scenario costiero di questi posti, non so, c’è qualcosa che non mi prende come dovrebbe. Sicuramente la poca distrazione che viene offerta dalla guida per poter ammirare queste bellezze naturali, non paga il vero valore che esse donano al viaggiatore. Peccato, sono un po’ deluso. Laura mi consola, spiegandomi che la Dalmazia che avevo in mente, fatta di isolotti persi come gocce di quarzo nel mare blu, è quella delle isole Incoronate, paesaggio che non è possibile scorgere dalla costa.
Nella luce del pomeriggio, la Jadranska Magistrala si srotola pigra sul costone a strapiombo; niente carcasse arrugginite di auto precipitate nei decenni, come eravamo abituati a vedere più a nord, negli anni scorsi. O gli automobilisti si sono fatti più accorti, oppure la strada è stata veramente migliorata e resa più sicura. Qua e là scorci di minuscoli paradisi, composti da una caletta con acqua smeraldo, scoglio con quattro pini poco più al largo, un battello che prende il mare per la pesca con le lampare. Dalmazia sempre uguale a sé stessa nello spirito, sempre più votata al turismo d’elite per tutto il resto. Non riusciamo a trovare un punto dove fermarci a fare un tuffo: gli unici posti dove si può parcheggiare o sono privati o appartengono a camping e mega alberghi, con ingresso a pagamento. Peggio della Basilicata.
Mi riprendo immediatamente, quando ad un certo punto, incontriamo il cartello con la dicitura "Carina 1 km" Cavolo! È vero, c’è un confine da superare fra le "due Croazie", e chi se lo ricordava più? C’è un pezzettino di Bosnia Erzegovina da attraversare, una strada costiera lunga sei-sette chilometri.

Bosnia Erzegovina, questione di principio.
Microscopico accesso al mare di questo ennesimo Stato nato dalla dissolta Federazione Jugoslava, una volta di più a simboleggiare la stupidità umana. Quante vite massacrate? E come risarcimento, un porto del tutto inutile? Non c’è fila, nessun poliziotto ci degna di uno sguardo, ci lasciano passare tranquillamente. Uff, un confine forse superfluo per noi, indispensabile per loro. Comunque passano in un attimo questi settemila metri, ed eccoci rituffarci nuovamente in Croazia. Mah!

Croazia, di mare e di roccia.
Non faccio in tempo a farne altrettanti di chilometri, che mi accorgo che l’isola di Pelješac, non è una vera isola, è attaccata alla terraferma, è una penisola. Ho percorso più di 70 km convinto dell’esatto contrario!!
Il continuo passare, nel senso di marcia opposto al mio, di decine e decine di pullman uno dietro l’altro, mi fa suggerire che non dovremmo essere lontanissimi da Dubrovnik, il che mi fa pensare un’idea che alla fine si rivelerà azzeccata. Cercare un posto dove dormire non in centro, per evitare il traffico enorme e il peregrinare continuo da un albergo all’altro per trovare un posto libero, ma fermarci un po’ fuori città. Dubrovnik la visiteremo domattina con tutta calma e con la luce giusta. Nei pressi di Zaton, troviamo alloggio da un’affittacamere in una casa antica, in mezzo ad una pergolata di kiwi. Il caldo è umido, soffocante. Fortunatamente c’è il condizionatore in camera, e costa poco. Decidiamo di fermarci qui. Sono quasi le 19,00, sbrigate le formalità di registrazione e portate le valige in camera, dopo venti minuti siamo già seduti in un localino all’aperto, a pochi passi dal mare e con due birre fresche e spumeggianti sul tavolo. Il posto è bello, la marina di Zaton è situata in una tranquilla insenatura, il locale è incastonato in mezzo alla piazzetta principale, sovrastato da due enormi Cycas. Turisti in giro ce ne sono ancora, ma riusciamo agevolmente a cenare senza aspettare, con prosciutto dalmato, risotto ai frutti di mare, birra a volontà, e le due enormi palme che si fanno cullare le fronde da una lieve brezza. Un luogo d’incanto, ma osservando le due palme che fanno tanto tropico non possiamo evitare che la mente ritorni indietro di un anno, alla medesima brezza che però accarezzava fronde di betulla molto, mooolto più a Nord. E tra le palme e le betulle... preferiamo inevitabilmente le seconde.
Fra un sorso e una riflessione, mi chiama al telefono Giorgio, il capogita di questo viaggio in Albania, mi chiede come va, e dove siamo, lo rassicuro sul fatto che siamo vicini a Dubrovnik. Lui, e gli altri partecipanti al viaggio, s’imbarcheranno fra pochi giorni, in tarda serata, da Bari per raggiungere la mattina successiva Durazzo, dove il gruppo al completo si riunirà.
La mattina successiva, di buon’ora, salutiamo la titolare della villa e ci dirigiamo speranzosi verso Dubrovnik, la veneziana Ragusa, splendida città-fortezza. La giornata è molto bella, e la foschia sembra sparita.
Dopo una ventina di chilometri, fra curve, salite e discese, e dopo numerosi pullman carichi di turisti, che anche quest’oggi partono, finalmente attraversiamo il ponte che ci condurrà direttamente in città. E’ una città moderna, grande e luminosa, è incassata fra il mare e le alture sovrastanti, il traffico consistente ma scorrevole.
Puntiamo decisamente verso la città vecchia, quella più conosciuta, più famosa.
Le nostre speranze di visitare questa perla dell’Adriatico si infrangono contro lo spaventoso traffico che ci si para dinnanzi: non sono nemmeno le 10,00 del mattino che un formicaio di auto, bus, pullman, taxi, moto, ci imbottiglia in un traffico colossale, facendoci compiere diversi giri a vuoto alla vana ricerca di un parcheggio. Qualsiasi buco, gratis o a pagamento, è strapieno, per non parlare dei divieti di sosta, sistemati ovunque. Facciamo un giro completo delle mura, altissime e possenti, alte fino anche a 25 mt. ed ammiriamo qualche torre difensiva. Io, deciso a non scoraggiarmi e scaltro come una volpe, dopo anni di viaggi ed esperienze accumulate in ogni settore, decido di parcheggiare nella parte alta della città, e di scendere poi a piedi. Inizio ad imboccare strette stradine che portano tutte a delle deliziose ville, ma sono tutte senza uscita, quindi arretrando piano piano ridiscendiamo e decidiamo di rifare per la terza volta la ormai conosciuta strada delle mura, convinto che nel frattempo qualcuno abbia lasciato un posto libero. Dopo tre volte che facciamo il giro sotto la fortezza, ormai conosciamo le mura a menadito. Ma nemmeno questa volta siamo fortunati. Dopo quasi due ore di giri a vuoto, decidiamo a malincuore di allontanarci da questo groviglio di auto-pullman-persone che si riversa in questa zona, risaliamo sulla strada costiera e ci accontentiamo di scattare la classica immagine di Dubrovnik ripresa dall’alto del punto panoramico. Rimaniamo impressionati dalla cinta muraria, è veramente una perla dell’Adriatico, com’è soprannominata, uno dei tesori dell’Unesco. Ovviamente parte una raffica di foto da parte di Laura, che nemmeno John Wesley Hardin, sarebbe riuscito a stargli dietro. Ci ripromettiamo di tornare a visitarla, vista la discreta vicinanza da casa nostra. Magari per trascorre un lungo fine settimana in inverno, mese decisamente poco propizio agli spostamenti di massa di turisti.
Talmente tanto presi da cotanta bellezza, ammirando pure uno yacht non proprio invisibile ormeggiato al largo dell’isola di Lokrum, non ci accorgiamo di essere avvicinati da due ragazzi polacchi scesi da un pullman che ci chiedono un passaggio in Montenegro. Declinando la loro richiesta per ovvi motivi tecnici, decidiamo di continuare la nostra avventura.
Proseguiamo, la foschia nelle ore centrali si dirada, il sole picchia duro quando ci avviciniamo al confine con il Montenegro, prossima tappa del nostro viaggio. In giro non c’è anima viva.
Mi accorgo di avere ancora un po’ di kune, e vorrei spenderle prima di oltrepassare la frontiera. Detto fatto, deviamo a destra dalla strada principale verso uno degli ultimi paesi croati, Molunat.
Piccola sosta in questo buco di paesino, incastrato nella costiera, c’è ancora tanta gente che fa il bagno.
Un paese davvero di quattro case e un’unica strada che va al porticciolo, infatti, a un certo punto, è addirittura a senso unico talmente è stretta. E ci portano pure i turisti coi pullman, ma come fanno? A noi interessa spendere questi pochi soldi, ma di cartoline nemmeno l’ombra, di souvenir, neppure. Ci scambiamo un’occhiata d’intesa, e birra sia! Seduti al tavolino probabilmente nell’unico bar del paese, ma con annessa spiaggetta privata, sotto l’ombrellone della birra Ožujsko, già pregustandola col palato, il barista col muso duro ci porta invece due Lasko. E’ il solito dilemma: ce l’ha con gli italiani o è proprio costume locale? Nell’ultimo avamposto di terra croata, siamo costretti a bere una misera Lasko in bottiglia! (con tutto il rispetto per la birreria Lasko, ma il confronto con le ottime birre croate è scontato). Rinfrancati da tanta cortesia, ce ne andiamo con la speranza di trovare nel vicino Montenegro un’aria meno ostile. Fra un paio di chilometri, inizierà l’avventura vera!
Arrivare fin qui, non ha prodotto particolari emozioni. Dopo aver macinato quasi 800 km e aver attraversato la lunghissima Croazia con la sua “pericolosa” strada, non mi ha ancora fatto partire quell’adrenalina che hai quando viaggi. Per Laura il viaggio sulla costa si rivela più “sofferto”, visto che i paesaggi marini non sono proprio i suoi preferiti, avendo più affinità con orizzonti boschivi, freddi e nordici!
Ritorniamo sulla via principale, un po’ più sobri, in vista anche del confine. E’ emozionante arrivarci, anche perchè bisogna fare un pezzo di strada bianca, la strada nuova la costruiranno da lì a poco. Siamo quasi in mezzo a un bosco, il Patrol solleva il solito nuvolone di polvere; questa è la sua vera strada. Lo sterrato si restringe, alla mia sinistra c’è la montagna e alla mia destra, oltre a una lunghissima e alta rete con il filo spinato, c’è lo strapiombo col mare sotto. Nemmeno una inversione ad U sarebbe possibile senza non lunghe manovre, sembra quasi un sentiero di montagna utilizzato da contrabbandieri d’ogni risma.
Ormai siamo nelle vicinanze del confine, strade deserte, come deserto è il paesaggio, montagne di terra gialla, smossa e con scavatrici e tubi di cemento dappertutto. E’ la strada nuova che porta alla dogana. Difatti, dopo qualche suggestivo tornante, ci appare la dogana croata; ci fanno passare senza nemmeno guardarci, penso che non ci deve essere molto traffico su questo confine; facciamo più di un chilometro nella terra di nessuno, con questa rete metallica alla mia destra, e mi fa una strana sensazione. Un altro tornante ed ecco la dogana montenegrina.

Montenegro, una massiccia sorpresa.
Arriviamo finalmente al confine del Montenegro. Il confine è misero, una piccola costruzione dove un poliziotto e un doganiere ci aspettano. Il primo mi si fa subito incontro, mi chiede gentilmente i passaporti e sparisce dentro il minuscolo ufficio, il secondo individuo invece, inizia a girare attorno alla macchina, mi chiede di aprire il baule, da solamente un’occhiata annoiata dentro e mi fa richiudere, controlla i passaruota, sbircia l’interno della macchina, dietro i sedili. Il poliziotto intanto sta uscendo con i nostri documenti alla mano, i due confabulano un po’ e li ritrovo davanti al muso della jeep a sorridere di qualcosa, anche lui si avvicina ai passaruota a controllare qualcosa, incuriosito, mi avvicino anch’io, e scopro il motivo di tanta curiosità. E’ la bombola di regolazione degli ammortizzatori ad attirare la loro attenzione. Mi chiedono se nasce già così alta di fabbrica, mi fanno i complimenti per come l’ho accessoriata, e, intanto, il doganiere mi fa presente che devo pagare una “tassa ecologica” per poter circolare sul suolo montenegrino. Il nostro fuoristrada, alto com’è, sembra piuttosto una piccola corriera. E infatti, tra sorrisi e quattro parole in quattro lingue diverse, invece di farci pagare i previsti 10 euro per la tassa ecologica (come tassa d’ingresso) ce ne fa pagare 30. Come una piccola corriera, appunto. Ma prontamente mi rassicura, con un sorriso smagliante: dura un anno intero però! Pago, e mi rilascino un talloncino da applicare al parabrezza della macchina; ci restituiscono i passaporti, ci danno il benvenuto nel loro paese, e siamo liberi di partire. Iniziamo bene a farci fregare penso, innesto la prima e parto… Ci lasciamo alle spalle i faceti doganieri con un po’ di disappunto (ci sentiamo come rapinati, ma come fai a discutere con quelli là?) e scendiamo nuovamente verso il mare.
Siamo all’imboccatura del fiordo di Cattaro (Kotor). Sapevamo che era splendido, ma dal vivo è un spettacolo. Il Montenegro ora si svela per quello che è: una terra dove il mare conta poco, la vera forza sono le sue montagne che si ergono come un muraglione direttamente a strapiombo sul fiordo. E’di una bellezza per me travolgente, eppure non ho fatto che poche decine di metri in terra montenegrina; il mare e la costa sono quelli della Croazia penso, tuttavia percepisco qualcosa di magico, di molto più bello. Me lo diceva anche Laura, tempo fa, vedrai, ti piacerà. Già il fatto poi di pagare in euro e senza bisogno di effettuare cambi è un sollievo. Mi è già simpatica questa nazione.
Mentre la strada scende verso il mare nei pressi di Sutorina, davanti a noi si apre uno spettacolo mozzafiato, (ma ancora non sappiamo cosa ci aspetterà da li a pochi chilometri); un grande e magnifico promontorio apre le porte a quello che viene definito il più meridionale dei fiordi europei.
Murate così te le immagini in Norvegia, ma non qui, alla stessa latitudine di Bari! Verso l’ora di pranzo la foschia riprende forza e le cime già non si vedono quasi più. Un vero peccato, tanta bellezza opacizzata da un velo che non vuole mollare. Ci fermiamo in uno spiazzo sul mare, dal quale possiamo godere il gioco di chiaroscuri delle falesie a picco sull’acqua e di un’automobile attrezzata a mercatino di souvenir montenegrini doc. Rimaniamo rapiti dalla semplice bellezza di due isolotti che sorgono proprio in mezzo al golfo, sormonti uno da una chiesetta e l’altro dal cimitero; anime che riposano cullate dalle onde. Ci soffermiamo poi un istante ad osservare quanto offre l’artigianato montenegrino: un intero corredo di lana, dai cappelli alle babbucce, roba molto rustica e anche un po’ naïf, di stampo tipicamente jugoslavo, ottima per il freddo di queste parti. La memoria corre veloce all’artigianato russo, ucraino e polacco, che di freddo se ne intende; non ci sono paragoni…
Immediatamente il paesaggio muta, Da Igalo, Castelnuovo, Zelenika, fino a Kamenari, la strada costeggia man mano tutto il perimetro di questa bellezza naturale. E’ proprio in quest’ultimo paese, che le bocche di Cattaro, formano il loro più stretto e più scenografico passaggio. I 46 km che da Igalo vanno sino a Kotor, hanno regalato in me una delle più belle emozioni da quando faccio viaggi. Non è possibile raccontare cosa si prova vedendo certe bellezze. Bisogna davvero viverle in prima persona. Solo che giunti alla fine del fiordo, proprio a Cattaro, non mi aspettavo di trovare una cittadina stile Grado o Lignano Sabbiadoro in pieno agosto. Migliaia di turisti ammassati sui stretti marciapiedi, centinaia di negozietti aperti che vendono i soliti souvenirs identici di ogni località famosa. Alla fine, sono riuscito a capire il perché del grande movimento di persone, questa massa enorme e compatta che copre al suo passaggio ogni cosa. Una nave da crociera! Ha sversato sulla costa migliaia di persone, tutte con telecamerina o macchina fotografica rigorosamente in mano, pronte ad immortalare qualsiasi cosa si muova. Da notare, in questa cittadina, una splendida fortezza le cui fondamenta sono immerse nel mare, ma non siamo riusciti né a fermarci per una foto, nè tantomeno guardarcelo un po’, la stessa ressa come a Dubrovnik ha impedito una pur minima visita a questa graziosa cittadina. Inizio a pensare seriamente, che in questa vacanza, vedremo ben poco.
Fortezza, montagne, sembra un paesaggio familiare… sembra il nostro amato Abruzzo.
Sono quasi le due del pomeriggio, ed è ora di pranzo, abbiamo una fame da lupi. E, vista la località, oggi si mangia pesce! Per 43 euro, ci facciamo una pasta allo scoglio, due ottimi branzini, (fatti divinamente), contorno di insalata e patate, birre, gelato e amaro. Regalano a questo ristorantino sul mare, nei pressi di Muo, con tanto di persone che fanno il bagno sotto di noi, e in lontananza, la nave da crociera, un quadretto davvero difficile da scordare. Osserviamo con una lacrimuccia questo magnifico covo di pirati, circondato da palme, cipressi, pini e melograni selvatici. Fantastichiamo su come doveva essere questo luogo non molti anni fa, ai tempi della Jugoslavia: turistico sì, ma sicuramente non sventrato da orrendi palazzoni che chiamarli ecomostri sarebbe far loro un complimento. Al nostro rientro a casa, per giunta, ci è capitata per le mani una fotografia di Cattaro scattata alla fine dell’800, quando queste coste erano sotto il dominio austro-ungarico: veramente sembrava il covo del pirata Barbanera!
Per digerire il pranzo, Laura mi trova subito una strada davvero molto impegnativa e, alla fine della stessa, dirò anche pericolosa, che sale in verticale sulla parete montana, scenografica e adatta però a ben altri bolidi di gare in salita, non ad un dinosauro lento e pesante oltre le 2,5 tonn. Per far 41 km, ci metto un’ora di tempo. E’ un continuo tornante senza protezione laterale sul precipizio, dove si incrociano camion e corriere di linea, e si procede a passo d’uomo, non senza toccarsi almeno gli specchietti laterali (questo ovviamente fra due mezzi molto grossi). Le ruote poi, sono costantemente sul bordo dell’asfalto. Un brivido continuo.
Su, su, su, la vista è mozzafiato, Cattaro si affaccia alla fine del fiordo, che sembra un catino, infossato com’è tra massicce montagne. Qui apriamo una piccola parentesi. Prima si accennava all’Abruzzo, da noi tanto amato. Ebbene, il Montenegro e l’Abruzzo, in lontane ere geologiche, facevano parte dello stesso nucleo di terre emerse; quella che poi è diventata la penisola italiana ancora non si era staccata dalle coste balcaniche. Geologicamente, dunque, Montenegro e Abruzzo sono identici, e molto simile è rimasta la flora e la fauna. Le montagne montenegrine sembrano una Maiella elevata al cubo! Ma, a differenza delle abruzzesi, più stondate e meno tormentate, le cime montenegrine sono aspre, verticali e decisamente più selvagge. Una simile orogenesi ha fatto sì che il Montenegro (Crna Gora) sia stata l’unica terra balcanica a non aver mai subito invasioni ottomane. Ovvio, chi si sarebbe arrischiato a portare le sue armate in gole simili? Un ultimo sguardo alla perla Cattaro, ripromettendoci di tornare un’altra volta, magari lontano dai mesi estivi, in modo da poterla visitare con comodo assieme a Dubrovnik.
Sbuchiamo da una galleria scavata nella viva roccia ed eccoci sull’altipiano. E’ incredibile, ma dal clima mediterraneo che abbiamo trovato fino a Cattaro, ci ritroviamo in un clima montano-continentale. Spariscono cipressi e melograni, avanti con pini, abeti e faggi. Ci addentriamo e proseguiamo verso Nord, alla volta del parco del Durmitor. Finalmente l’afa è sparita, si respira un’aria fresca e più secca, l’ideale per la stagionatura dei prosciutti, vanto nazionale. Difatti troviamo cosciotti appesi quasi su ogni casa, “domaci prsut” che ci fanno venire l’acquolina e la voglia di portarcene uno a casa, ma solo l’idea di viaggiare per tutto il Montenegro e mezza Albania con una coscia in baule ci fa desistere. Ma se fossimo venuti qui d’inverno….
Il refrigerio dura poco, perché dalle alture costiere scendiamo di nuovo a valle, fino alla conca di Podgorica, la capitale. Ed ecco il vero clima continentale, con le sue estati torride. Il caldo ci schiaccia, si superano abbondantemente i 30° (niente a che vedere con gli oltre 40° toccati da queste parti a luglio e agosto, fortunatamente!). Percorrendo questa scenografica strada, oltre ad aver accorciato di numerosi chilometri, abbiamo sfiorato il grande parco nazionale di Lovćen; ci ritroviamo ben presto a Cetinje e sulla strada principale, che ci porterà nella capitale Podgorica. In meno di mezz’ora, siamo avvolti dal traffico non troppo caotico di questa grande città moderna.
Ci lasciamo la capitale alle spalle, proseguiamo sempre verso Nord, facciamo gasolio in una moderna pompa di rifornimento, e il costo al litro (non proprio da paese balcanico) risulta essere maggiore di 4 centesimi di euro addirittura della Slovenia, comunque ben al di sotto del nostro gasolio nazionale.
Non sono ancora le 17,00, c’è ancora molta luce, ma l’esperienza ci dice di andar a cercare un posto dove trascorrere la notte. Risaliamo ancora, cambio d’altitudine, siamo in zona di pascolo. Una landa desolata ci accoglie, e nuovamente riviviamo l’Abruzzo, i pascoli di Campo Imperatore. Quante analogie! Questa terra ci sta proprio simpatica. Proseguendo su questa strada, prima o poi arriveremo in un altro parco nazionale famosissimo, il parco del Durmitor. Percorriamo 22 km prima di arrivare a Danilovgrad sulla E762 (strada che collega Podgorica a Sarajevo) senza trovare nessuna indicazione su dove poter dormire. Ovviamente allunghiamo la strada fino a Nikšić, altri 30 km senza incontrare nulla. Oltrepassiamo Niksič, (località che produce un’ottima birra pils, giusto per non farci mancare nulla…!).
Ma come, siamo a 50 km fuori dalla capitale del Montenegro, sulla strada principale, e non riusciamo a trovare nulla dove passare la notte? Proviamo a proseguire ancora un po’ fino al primo bivio che incontreremo; finalmente, a Jasenovo Polje deviamo verso destra in una strada secondaria alla ricerca di un albergo di montagna indicato dai cartelli stradali.
Sono già le 18,45, proviamo a cercare questo ipotetico albergo. Imbocchiamo una strada col beneficio del dubbio, che ci dovrebbe portare ad una stazione sciistica sul monte Vučje. Ci separano una trentina di chilometri scarsi, do’ un’occhiata al livello di gasolio nel serbatoio e decidiamo di provare. Se dovesse andar male la ricerca, torneremo nella capitale. Incontriamo un paesaggio a noi molto familiare. Sembra di essere su qualche altura della Majella. E’ tutto uguale, la strada, i contorni delle alture circostanti, la vegetazione. Prendo coraggio, e mi avvio verso questo albergo convincendomi che lo troveremo chiuso. Un albergo prettamente invernale, che da ospitalità agli appassionati della neve, non può essere aperto in settembre… Invece, con nostro grande stupore, l’ultimo chilometro di strada, è illuminato a giorno da tutti e due i lati dell’asfalto con potenti lampioni che ci accompagnano sino alla porta d’ingresso del Motel Zimi. L’albergo è aperto, e siamo i soli ospiti. Inglese scarso, qualche parola di croato e di italiano, e ci sistemano in una specie di piccolo appartamento, al costo di euro 44,50 per mezza pensione. Tutto intorno solo foresta, stile Overlook Hotel…. Ci riprendiamo facendoci portare, su un tavolino all’esterno, due belle birre da 33 cl.! Unico formato di birre che troveremo quasi dappertutto in Montenegro. Degno di nota è il cameriere onnipresente, con una gran voglia d’imparare l’italiano, annota e ripete in continuazione le parole appena ascoltate, e una egual voglia di comperare il nostro Patrol dopo averlo ammirato, studiato, e fotografato non so quante volte.
A cena gustiamo un rinomato vino rosso locale, secco e asprigno come il nostro Refosco carsolino; cevapčiči (che qui si chiamano čevapi e sono di vitello anziché di maiale), cipolla a volontà, uova, patate. Ci guardiamo attorno, l’arredamento tutto in legno tradisce lo stile tipico dei Balcani ex-jugoslavi: forme squadrate tagliate con l’accetta, tappeti-kilim alle pareti, grande camino in blocchi di pietra tagliata a vivo. Quanti ricordi, e dopo qualche bicchiere di vino che scivola volentieri, ecco che riaffiora la jugo-nostàlgija…
La mattina successiva, di mercoledì, ci portano una robusta colazione a base di uova. Che offre la casa? Ah, palačinke (omelettes) con prosciutto, o prosciutto e formaggio, o solo formaggio, o senza niente… Optiamo per una palačinka senza niente e una con formaggio, una crema tipica locale, sembra smetana. Il tutto naviga in un litro d’olio di semi. Trangugiamo il tutto con abbondante čaj (tè) e partiamo alla volta del parco Durmitor. E’, questo, un parco nazionale di grande bellezza, soprattutto per le sue foreste di abeti e per le cime dei suoi monti, i più alti del Montenegro.
Quindi imbocchiamo la strada in direzione di Zabljak. L’ingresso al Parco ci costa 3 euro a testa compreso il parcheggio del mezzo.
Purtroppo non abbiamo molto tempo a disposizione e ci accontentiamo di visitare il Črno Jezero (Lago Nero), che fa onore al suo nome, tanto sono scure e profonde le sue acque. La natura stessa qui è scura, gli abeti rossi che incorniciano le sue sponde e i contrafforti montani incupiscono il paesaggio, rischiarato soltanto da qualche rara latifoglia e dalle rigogliose bacche rosse dei sorbi.
La camminata nel bel e pulito sentiero ci porta in poco meno di 15 min. davanti a un bel lago glaciale (siamo oltre i 1.400 mt.). Leggiamo la didascalia della storia del lago, e veniamo a scoprire che in estate quando si inaridisce un canale di collegamento, forma due laghetti separati, il Veliko Jezero, e il Malo Jezero.
Per il giro a piedi dei due laghetti impieghiamo circa quattro ore, in quasi totale solitudine, e ci godiamo la bellezza e la tranquillità di questo posto. Le acque sono piene di pesci, e la foresta attorno è popolata da tanti folletti, ghiandaie e scoiattoli su tutti. Dopo tanto smog respirato per arrivare fin qui, ci riempiamo i polmoni di aria pura e balsamica.
La giornata è molto bella, e invita a percorrerli in tutta la loro circonferenza, così mi faccio convincere da Laura, e alla fine dopo i 3,5 km di percorso, devo constatare in effetti tutta la loro bellezza. In più di qualche punto, ci è scappata la voglia di fare un tuffo nelle loro acque, profonde e pulite.
Dopo aver compiuto il periplo dei laghi, arriviamo all’ingresso del parco, giusto in tempo per evitare di essere travolti da una torma vociante di turisti in bermuda e ciabatte sbarcati da due pullman… Stavolta siamo stati fortunati e ci siamo goduti questa bellezza in totale solitudine!
Ovviamente per riprenderci dal grande sforzo atletico, due birre da 33 cl. ce le facciamo servire in un bar di Zabljak. Pronti, via, siamo di nuovo in macchina alla volta di Bijelo Polje, dopo due ore di strada, dovremmo esserci. Una ventina di chilometri fuori Zabljak, costeggiamo il canyon del fiume Tara, dicono il più profondo d’Europa e secondo solo al Grand Canyon! Sarà, ma a noi questi record dicono ben poco. Attraversiamo a piedi un lungo ponte stradale a cinque arcate sospeso a picco sul canyon: si tratta del famoso e altissimo Most na Djurdjevica Tari, il ponte sul fiume Tara, lungo 365 mt. e alto 172 mt. sopra il fiume, e anche qui rimaniamo incantati da tanta bellezza: il fiume Tara (“lacrima d’Europa”) si insinua sul fondo di una ricca foresta mista di latifoglie e conifere dalle mille sfumature di verde, incuneandosi tra rocce che la luce del tramonto colora di un rosa intenso. Qua e là qualche casupola, paesaggio idilliaco in una natura dai contorni severi.
Un impressionante dislivello dove oggi i più arditi si cimentano con il bungee jumping, ovviamente chiama le classiche foto di rito. Anche perché è un lungo canyon di 82 km e arriva fino a 1.300 mt. di profondità.
All’inizio del ponte, qualche bancarella di prodotti locali, tra i quali miele esclusivamente di fiori d’abete. Una rarità, piuttosto caro anche se sicuramente genuino (tutti i vasetti esposti erano circondati da api furibonde per il furto del loro lavoro) e persino la venditrice che ci mostra il dito con un pungiglione conficcato. Decidiamo di rimandare i nostri acquisti altrove, troveremo ancora miele, no? No, questo si è dimostrato il viaggio degli acquisti mancati. Troppo ben abituati nel Nord-Est europeo, dove trovi bancarelle improvvisate per ogni dove! Qui o si approfitta del luogo turistico, oppure non ti porti a casa niente…
Proseguiamo, scendiamo ancora verso sud, e incontriamo una piccola moschea col suo minareto, appuntito come una matita. Purtroppo è chiuso e nessuno dei locali sembra intenzionato ad aprirlo per noi “infedeli”. Strada facendo, però, troviamo un minuscolo monastero circondato da un cimitero. E’ aperto. Varcata la soglia, siamo stupefatti dai meravigliosi affreschi quattrocenteschi, che ricoprono interamente le pareti e i soffitti della cappella. Laura si prepara a scattare, quando udiamo delle voci femminili, salmodianti. Sono due monache, intente a recitare i vespri. Le due ci fanno cenno di saluto, continuando a pregare all’unisono, nella penombra della cappella, rischiarata da fioche lampadine e diverse candele. Gli affreschi sono veramente meravigliosi, gotico balcanico da togliere il respiro. Laura non se la sente di disturbarle con la sua Nikon mentre stanno pregando per la salvezza del mondo intero (e forse anche delle nostre anime…), perciò ci accontentiamo, veramente a malincuore, di registrare tanta meraviglia con i nostri occhi. Ci fermiamo per un attimo di raccoglimento, in ricordo dei nostri cari; a volte basta così poco per trovarsi fuori dal tempo e dal mondo; avremmo potuto essere nel Medioevo, o in pieno Ottocento, o in tempo di guerra o anche in un futuro prossimo: certi gesti, certi luoghi, sono e rimarranno eterni. Continuiamo la nostra avventura verso Bijelo Polje.
Per tagliare un pezzo di strada, tentiamo di fare la strada in off-road. Tentiamo, appunto, però nonostante cartine e navigatore, ci dobbiamo per forza arrendere nel mezzo di uno sterrato di campagna, lontano da tutto. Troviamo una casupola, e chiediamo informazioni ad una ragazza, in inglese. Ma poi la ragazza si rende conto che siamo italiani e ci aiuta nella lingua di Dante, che conosce alla perfezione! Ci spiega come raggiungere la meta, ma tra noi e Bjelo Polje c’è qualche bivio di troppo e così alla fine ritorniamo sull’asfalto.
Arriviamo giusti giusti all’ora di cena, troviamo un albergo carino sulla strada, munito di bel porticato con rustici tavoli in legno. Parcheggiamo la jeep infangatissima davanti all’ingresso principale, al fianco di lussuosissime Bmw, Mercedes, e suv lustrate a specchio. Però che figurone fa! Insomma, cena all’aperto e … birre da mezzo litro! Incredibile, da non lasciare più questo posto.
Giovedì mattina partiamo in direzione di Podgorica e il grande lago di Scutari. 120 km da fare in 2 ore. La strada è veloce, nessun intoppo. La prima parte del tragitto è anche noiosa, i successivi 45 km saranno invece di una bellezza unica. Si passano paesi come Mijoska, Monastir Morača, Međuriječje, Sviba, Bioće. Tutte paesi più o meno grandi inghiottiti da profonde gole nella montagna. Si passano sotto lunghe gallerie scavate nella dura roccia. Il paesaggio è affascinante, e la strada si insinua in una gola spettacolare. Pensiamo alle orde turche: bisognava essere pazzi per tentare di conquistare un Paese simile, dove si è costretti a passare in gole, fiordi e fenditure ben difese e sorvegliate dall’alto. La forza del Montenegro sta tutta qui.
Quando mancano 5 km per arrivare nella capitale, vengo fermato da una pattuglia di poliziotti con tanto di radar. Mi si avvicina uno dei due, mi chiede i documenti, e mi chiede di seguirlo dall’altro suo collega seduto in macchina. Si parlicchia un po’ in un buon italiano, mi chiede da dove vengo, dove voglio andare, capisco che cerca un dialogo, corro in macchina, prendo la cartina, e gli spiego di dove sono, cosa ho visto sinora, gli dico che il suo paese è magnifico, lui mi consiglia di visitare altri posti, insomma me la cavo con una stretta di mano e con una raccomandazione di andare un po’ più piano. Sarà la prima e l’ultima volta che la polizia ci fermerà. Arriviamo nuovamente a Podgorica, veloce passaggio, e via, in direzione Cetinje a cercar un castello antico nei pressi di Rijeka Crnojevića per poi proseguire verso Virpazar.
Ormai siamo in prossimità della costa e della parte montenegrina del lago di Scutari, ci lasciamo i bastioni alle spalle e proseguiamo in pianura. Torna l’afa. Verso il paese di Rijeka Crnojevica ci imbattiamo nella vista spettacolare del fiume Morača, che scorre lento e sinuoso e con le sue anse forma una specie di ferro di cavallo attorno alle colline sottostanti; barchini solcano pigramente le acque blu, la vegetazione è tutta un mix di montano e mediterraneo, pini, cipressi e melograni si contendono lo spazio con abeti ed eriche. La maledetta foschia non dà tregua, Laura scatta foto a raffica sperando di ricavarci qualcosa. Il Montenegro è una sorpresa continua, e questo fiume dalle sembianze cinesi ci dà l’impressione di trovarci lontano, molto lontano da casa. E pensare che, all’orizzonte, c’è la Puglia..!
Piccola sosta a Rijeka Crnojevića, minuscolo villaggio incastonato tra alti contrafforti rocciosi. Suggestivo, con un bel ponte a sella d’asino a doppia arcata, ma la vera sorpresa è la cella del santo, cioè un San Pietro locale. In quella che è stata la sua dimora, si celano altri meravigliosi affreschi antichi, tra i quali tutta una serie di santi ortodossi, un Cristo Pantocratore e una Deposizione veramente suggestiva. L’ingresso è libero e non c’è nessuno che sorveglia, si possono lasciare delle offerte e, volendo, acquistare dei souvenir (miele, candele di cera d’api, santini e chincaglierie).
Proseguiamo nel caldo, e facciamo un’altra sosta a Virpazar, birra di rito nella piazzetta principale, dove i turisti di diversi pullman vengono sbarcati in massa. Micro giro nelle baracche di souvenir, dove il prodotto che va per la maggiore è il miele, alternato da qualche collanina e orecchini. Ascoltando i consigli del poliziotto di Podgorica, proseguiamo verso Ulcinj non prima di aver oltrepassato un tunnel nei pressi di Sutomore. Siamo nuovamente sulla costa adriatica. Ci dirigiamo verso Bar, è già pomeriggio, fa caldo e la costa è invitante. Riusciamo a trovare un buco dove parcheggiare, e finalmente facciamo un bagno in un’acqua che sembra brodo, tanto è calda. Bar è poco lontana, ne vediamo i grattacieli dagli scogli.
A malapena rinfrescati, in meno di 30 km siamo nel sud del Montenegro, a Ulcinj. E’ una classica cittadina turistica di mare. Alberghi zeppi dappertutto, struscio nella via principale, dove il traffico dei passanti si mescola con quello delle auto. Usciamo il prima possibile da questa bolgia, e cartina alla mano, decidiamo di anticipare l’entrata in Albania già da stasera. In poco più di 40 km e un’ora di strada, stasera ceneremo nella città dell’antico castello di Rozafa, Scutari (Shkoder). Imbocchiamo una stretta e mal illuminata strada che ci porterà al confine di Sukobin. Lasciamo il Montenegro con gli occhi pieni di bellissimi ricordi, varrà sicuramente la pena di ritornarci.

Albania, il Paese di fronte.
Sbrigate le ormai note faccende doganali, in poco meno di 10 minuti, varchiamo il confine delle aquile. Dopo pochi metri, sulla sinistra, in un piccolo parcheggio, troviamo gli uffici delle varie agenzie di assicurazione, perché la nostra carta verde non copre questa nazione, e quindi bisogna munirsi di assicurazione temporanea. Il gentile funzionario, parlando un buon italiano, ci chiede se è la prima volta che veniamo qui, ci racconta un po’ com’è la vita in Albania, si informa dei migliori Hotel per noi tramite un moderno telefonino collegato in rete. Il tutto mentre il suo collega compila il modulo assicurativo. 27 euro per 15 giorni di transito. Il tutto si svolge in pochi minuti, e quando ripartiamo è già buio. La luce è totalmente inesistente sulle strade, e per di più, il manto stradale, assorbe i fari della jeep. E’ molto pericoloso viaggiare col buio in quelle strade, incontri di tutto: animali anche di grossa stazza che rientrano nelle fattorie da soli, qualche volta accompagnati dal pastorello, vecchi motorini, con più persone a bordo che transitano quasi sempre senza un neppur minimo faro acceso, e quasi sempre li incontri contromano…! Macchine stesse, quasi sempre scure, e quasi sempre Mercedes, a fari spenti, o debolissimi, oppure rotti e contromano. I 14 km che ci separano da Scutari ce li ricorderemo a lungo. Comunque, in qualche maniera ci arriviamo… ed è la bolgia più assoluta. La città è grande, direi anche abbastanza moderna, nel percorrerla in cerca di un albergo dove finalmente riposarci, incontro moltissime rotonde, e lì ho scoperto quanto siano pericolose attraversarle, perché ci passa di tutto, uomini, animali, carretti, biciclette, auto, camion, corriere, ed ognuno ci passa a modo suo, ed è una pura fortuna uscirne illesi; credo di aver sudato non poco, ma qualche centinaia di metri più avanti, ne incontro un’altra, e i sudori ricominciano. Arriviamo in centro città, e scorgiamo dai cartelli pubblicitari, un buon albergo a 5 stelle, è uno di quelli che il funzionario dell’assicurazione ci aveva consigliato. Decidiamo di cercarlo, ma… non è così facile e immediato come sembra. Andiamo e ritorniamo non so quante volte sulla medesima strada, convinti di averlo mancato, ma, nulla. Non lo troviamo proprio. Ci fermiamo nei pressi di un autolavaggio (ne troveremo molti in questa vacanza) e chiediamo informazioni al gestore, e proprio in quel mentre, ci parcheggia di fianco una Bmw x3 nera. Scende un omone grande, e parlottando in tre, in italiano, gentilmente ci fa strada per arrivare all’albergo. Scopriamo il perché non riuscivamo a trovarlo, stavano facendo dei lavori di pavimentazione e quindi le vie erano chiuse. Scopriamo inoltre che l’omone, è il nipote del proprietario dell’albergo, ecco spiegato il Suv da 40.000 euro e passa, del tutto stridente con i catorci che ci sfrecciano accanto. Troviamo una camera libera, una camera davvero all’altezza delle 5 stelle affisse fuori all’ingresso, e dopo una bella doccia, siamo nel giardino per la cena. E qui si, finalmente si beve in boccali da mezzo litro. La cena è ottima ed abbondante, ad un prezzo che in Italia definiremmo ridicolo. Nemmeno in pizzeria riesci a spendere di meno. La stanchezza poi, ci fa crollare in un soffice letto. All’alba, veniamo svegliati dal canto del muezzin, che dalla moschea che dista da noi un centinaio di metri ci culla in questa cantilena magica. Dura poco la preghiera, e ci riaddormentiamo. Oggi (venerdì) dedichiamo una giornata intera a visitare con calma e a piedi questa città. Non è proprio il nostro primo paese islamico: un assaggio di Islam (all’acqua di rose) l’avevamo avuto nella repubblichetta del Tatarstan, in Russia; ma qui si respira un’aria musulmana più rilassata che in Tatarstan, che evidentemente deve fare i conti con un’onnipresente ortodossia cristiana e il pugno di ferro (in guanto di velluto) di Mosca….
E’ una città indescrivibile, apparentemente diversa dalle nostre; ovviamente ci sono negozi, botteghe, scuole, bar, chiese cattoliche e ortodosse, e ovviamente moschee, ma si percepisce una diversità netta, vagamente lontana dagli standard delle nostre terre. Immaginiamo e paragoniamo questi luoghi a città ben più ad est, dove le persone sono il fulcro di ogni attività. E’ bello ogni tanto scendere dal mezzo e perdersi a piedi fra le genti, sentire odori diversi, vedere un’altra realtà che da noi non esiste più da almeno 50 anni. Entriamo in una moschea, siamo soli, si trova solo l’addetto delle pulizie che con l’aspirapolvere batte tutti i tappeti. Noi ammiriamo i colori, i versetti del Corano scritti con delle calligrafie incredibili, e i mosaici. Da infedeli in quanto occidentali (e cattolici), siamo però decisamente soddisfatti della nostra visita, e usciamo da questo luogo sacro. Continuiamo la nostra passeggiata e ci addentriamo in una sorta di zona pedonale ad ammirare questi negozietti particolari, dove tutta la merce è esposta sui marciapiedi, a volte anche direttamente a terra… Ci gustiamo una birra nella carina e pedonalissima via Kol Idromeno, una sorta di via Monte Napoleone di Milano, o di ulitsa Arbat di Mosca. Tante volte, si impara molto degli usi e costumi di un popolo semplicemente restandosene un po’ seduti ad un tavolino all’aperto. Abbiamo modo di osservare quanto dolce sia la lingua albanese, idioma che sembra avere origine da antichissimi ceppi di lingue indoeuropee, ormai estinte. Notiamo anche parecchie analogie con parole italiane, il che ci fa supporre che certe parole manchino di una traduzione vera e propria e che quindi il neologismo venga adattato alla lingua parlata. Non riusciamo a trattenere un sorriso ogni qual volta ci imbattiamo in sgarrupatissimi “lavazh” (autolavaggi)….!
Sabato mattina con calma, partiamo alla volta di Durazzo, domani arrivano i nostri compagni di viaggio e dobbiamo farci trovare pronti. I 108 km che separano queste due città, li copriamo in un’ora e mezza. Lungo la strada, vediamo in lontananza un enorme monumento in bronzo, con dei massicci guerrieri difensori della patria. A dimostrazione di quanto la storia patria sia sentita dalle nuove generazioni e da chi le governa, il pur notevole monumento è situato in una vera e propria discarica, la strada per arrivarci un tempo era asfaltata e ora è ridotta ad uno sterrato. Immondizia dappertutto, ma visitiamo ugualmente questo lascito, dedicato ai caduti nella II Guerra Mondiale. Una lapide attira la nostra attenzione, perché qui è sepolto un tale che di cognome faceva Gramshi. Chissà, qualche origine in comune?
Arriviamo a Durazzo; la città non ci piace, da’ l’impressione dell’abbandono totale. Decine di alberghetti di tutti i tipi affollano il lungomare; ne scegliamo uno a caso, tanto pretenzioso fuori, ma dentro fa proprio pena! Prendiamo la suite, sperando che sia messa meglio delle altre stanze, e ci sbagliamo. In compenso però è sulla spiaggia, e noi come ospiti, abbiamo accesso gratuito; approfittiamo immediatamente, siamo soli in spiaggia, ma sono anche le 19,00, tra un po’ il sole tramonta. Ci viene incontro l’addetto alla pulizia della spiaggia, ci apre un ombrellone, ci pulisce due brandine, ritorna indaffarato a pulire la spiaggia anche dai cocci di bottiglie rotte. Ci immergiamo nelle acque poco profonde e sabbiose a due passi dal porto. Che tristezza, sembra un mix tra la spiaggia di Grado e il vallone di Muggia!
Alle 07,45 della domenica siamo puntuali davanti al porto di Durazzo, fra poco conosceremo i nostri nuovi compagni di viaggio. Ci viene incontro, a piedi, un giovane, che si presenta come Toni; con un buon italiano ci chiede se facciamo parte del viaggio organizzato da Giorgio. In attesa dei nostri compagni, chiacchieriamo un po’ di tante cose. Sembra molto ben disposto al dialogo, e nonostante la sua giovane età, è molto ben preparato anche sulle faccende politiche che hanno scosso il suo paese tra il 1991 e il 1997 e noi ne approfittiamo per conoscerle anche così. Tra una spiegazione ed un aneddoto, intanto, tentiamo di respingere i continui assalti di due zingarelli piagnucolosi e parecchio fastidiosi.
La nave è puntuale, ma lo sbarco si rivela un po’ macchinoso. Alle 9,30 sono fuori dal porto. Ci ritroviamo in 6 macchine e 10 persone in totale, proveniamo un po’ da varie parti d’Italia, chi dal Piemonte, dalla Liguria, dal Friuli Venezia Giulia, dalla Puglia e dalla Sicilia, più la guida albanese. Com’è strano alle volte che persone così lontane fra loro, abbiano la stessa curiosità. Dopo i convenevoli di rito, perdiamo un po’ di tempo fuori dal porto per cercar di cambiare la nostra moneta con i lek. Operazione non riuscita, e quindi decidiamo di andare verso la capitale dove saremo più fortunati. Troviamo un centro commerciale modernissimo, sembra di entrare a Fantasilandia, entriamo a cercare un po’ di fresco e quasi tutti si dirigono verso un bancone della telefonia per cercar di acquistare una scheda telefonica locale dove poter risparmiare con le telefonate verso casa. Perderemo più di un’ora alla ricerca, alle spiegazioni e alle tariffe personalizzate. Finalmente partiamo in direzione Peshkopi, attraverso una strada subito fuori Tirana che ci porterà nel paese di Dajt, dove troveremo un ristorante con tanto di pergola esterna e dove ci fermeremo a pranzare. Dopo tanti anni passati a viaggiare praticamente da soli, ci rendiamo conto di cosa vuol dire muoverci con una “carovana” di mezzi. Percepiamo subito la lentezza sia nel metterci in marcia sia per accomodarci tutti a tavola. Tutti devono trovare parcheggio, tutti hanno gusti diversi e ognuno ha le sue esigenze. Se in due, e con un’auto sola, il viaggio procede spedito, trovarci con 6 mezzi e 10 persone diventa tutto più complicato, e a volte le ore passano senza aver risolto un granchè…. D’altra parte, viaggiare in gruppo ha i suoi pro e i suoi contro. Comunque, la bella giornata mette fame, e ci accomodiamo tutti attorno al bellissimo tavolo predisposto per noi sotto alla pergola. Primo impatto con la cucina albanese: forte, robusta come da tradizione balcanica, ma anche insospettabilmente delicata: assaggiamo pure uno sciroppo di corniole, tanto delizioso da sembrare cibo degli dei. All’ombra dei platani selvatici, ci godiamo un ottimo pranzo e approfondiamo la reciproca conoscenza. Piacevolmente sazi, ci inerpichiamo verso la città di Bulqizë, direzione Peshkopi, su uno sterrato particolarmente panoramico: da una parte il fianco del monte, sul lato opposto la scarpata! La valle di Tirana si intravvede appena nella foschia, molto più in basso. Il paesaggio è decisamente suggestivo, tante pietraie ma anche tanta acqua. L’Albania, ci spiega Toni, è ricchissima d’acqua, e nel corso di questo viaggio incontreremo decine di cascate, laghetti alpini, invasi, un vero paradiso! Lungo la strada sterrata, incrociamo diversi bunker costruiti dal passato regime, uno spreco di cemento giustificato solo dalla follia del dittatore. Foto di rito con tutta la compagnia e proseguiamo, nel verde e nelle rocce che cambiano continuamente colore. In serata, eccoci a Peshkopi, poco lontano dal confine macedone, in un albergo tanto pretenzioso quanto scomodo (per esempio, i sanitari del bagno erano sistemati un po’ alla rinfusa…). La cena, però, è ottima e abbondante, con parecchi piatti di carne e verdure grigliate, latticini, birra, vino e dolcetti gentilmente offerti dalla coppia piemontese, Carlo ed Ester.
Il mattino seguente, ci avviamo di buon’ora verso Kukës, sempre attraverso strade sterrate. Dopo pochi km, la guida Toni ci fa fermare in un tipico villaggio albanese, composto da quattro case, una moschea, una scuola. Tocchiamo veramente con mano l’arretratezza di questo paese, al di fuori del caos dei grandi centri abitati. Stradine in terra battuta, niente fogne, animali al pascolo brado, però tanta gentilezza e curiosità nei nostri confronti. Parcheggiamo nella “piazza” del paese, e subito una scolaresca, in attesa del maestro, ci viene incontro. I volti dei bambini sono il ritratto della curiosità, ci circondano e si fanno volentieri fotografare. Laura regala loro, per ringraziarli delle fotografie, del materiale di cancelleria, regalo molto apprezzato. Grandi sorrisi e grandi saluti al momento della partenza. La giornata è splendida e non troppo calda, lasciamo il villaggio con i nostri mezzi che a stento passano fra le case. Tanti visi curiosi spuntano da dietro le imposte e le porte socchiuse. Dopo qualche km, il paesaggio cambia radicalmente e ci troviamo in una pista di terra rossa. Pensiamo subito alle piste del bush australiano, non ci stupiremmo se più avanti si affacciasse anche l’Ayers Rock! Imbocchiamo un canalone e lì tutta la compagnia si scatena in passaggi arditi, con piena soddisfazione di piloti e fotografi! L’Albania è anche un paradiso geologico: infatti il canalone australiano dura poco, perchè subito dopo il terreno cambia nuovamente colore e, dall’Australia, ci troviamo di colpo in Marocco, circondati da argille gialle, dove piccoli invasi ospitano greggi di capre all’abbeverata. Ci scappano un paio di scatti veramente notevoli, la tavolozza di colori incontrati finora ci entusiasma moltissimo. Di nuovo in marcia, con piccola sosta nei pressi di un antico mulino ad acqua con la struttura in pietre e con una particolarità: la ruota non girava sull’asse verticale bensì orizzontale, in un tripudio di muschi e felci. Poco più a monte, una minuscola ma suggestiva cascata naturale rendeva il tutto estremamente incantevole. La giornata secca e calda invoglia a fare un tuffo nelle sue acque chiare e freschissime! Le sorprese in questa giornata non sono ancora finite. Toni ci conduce attraverso un altro sterrato fino ad un microscopico villaggio arroccato sul monte, dove abita una famiglia di suoi conoscenti, che si sarebbero offesi moltissimo se non fosse passato a salutarli. Detto fatto, parcheggiamo i mezzi ed entriamo in una specie di cortile con rampa di scale sconnessa e, tra rovi e galline, varchiamo un muro di cinta attraverso un pesante portone in legno. Subito ci troviamo dinnanzi ad una tipica casa albanese a due piani, con l’aia, l’orto e una bassa casupola dall’oscuro significato. Rispettiamo l’usanza musulmana, ci togliamo tutti le scarpe ed entriamo a conoscere gli amici di Toni. Lui, faccia dura da montanaro di mezza età, consumato dal sole e dal vento, parla piano e comunica autorevolezza in ogni gesto; lei, la moglie, alta, robusta, capelli neri e due occhi azzurro fiordaliso ed un sorriso aperto e sincero; diversi bambini che ogni tanto fanno capolino nei vari ambienti della casa. Ci fanno accomodare nel salotto, e ci offrono caffè turco e uno strepitoso latte fermentato. Con questo caldo, è proprio la bevanda ideale, perché disseta e nutre. Toni fa da interprete, e ci spiega che il suo amico è anche l’imam del paese, infatti subito dopo ci fanno salire al piano di sopra, dove una stanza disadorna ma arredata con pelli di pecora e diversi tappeti funge da moschea. Laura chiede se può fare delle foto, permesso accordato. Foto ricordo con l’imam e poi giù, in cortile, a visitare la misteriosa casupola: scopriamo così che è il cimitero privato della famiglia. La gentile famiglia vorrebbe che rimanessimo pure a pranzo ma il tempo corre e proprio non possiamo fermarci. Apprezziamo la gentilezza e il garbo di questa gente e ci rimettiamo in marcia verso Kukës, attraverso una strada in costruzione. E’ già molto tardi, ci fermiamo a comprare carne d’agnello per il pranzo al sacco, sotto un cielo che non promette nulla di buono. In aperta campagna, ci fermiamo sotto a degli alberi per preparare la brace per arrostire l’agnello. Giorgio è attrezzatissimo e, mentre la carne cuoce, nel bagagliaio del suo Discovery prepara pure un cous-cous alle verdure come contorno! Purtroppo si mette a piovere, ma dato che siamo tutti “gente di mondo”, niente panico e, in cinque minuti, prepariamo una tettoia con un telo legato agli alberi, sotto lo sguardo divertito e curioso di due ragazzini sporchissimi ed affamati, ma talmente timidi e riguardosi da spiluccare appena quanto veniva loro offerto. Carlo ed Ester si occupano del caffè e, ormai a pomeriggio inoltrato, sbaracchiamo tutto per dirigerci a Kukës. Giusto il tempo per depositare il bagaglio in albergo e subito in marcia, perché stasera si mangia kosovaro! Arriviamo all’imbrunire al confine con il Kosovo, neo-stato nato dalla dissolta Repubblica Federativa di Jugoslavia, non riconosciuto da molti Stati ed in perenne conflitto con la vicina Repubblica di Serbia, che ne rivendica la sovranità. Paghiamo la tassa assicurativa (30 euro per 15 giorni!) e ci mettiamo in coda per il minuzioso controllo dei bagagliai. Toni ci fa notare che i controlli per gli stranieri che entrano in Kosovo sono più intensi ora di quando invece esisteva la Yugoslavia! Finalmente, ci danno l’ok per l’ingresso e, dopo 18 km arriviamo a Prizren, deliziosa cittadina del sud del Kosovo. Passare dall’Albania al Kosovo, è come uscire dal Terzo mondo per entrare nel Primo. Al confronto con le disastrate strade albanesi, le strade acciottolate di Prizren sembrano la Svizzera. Tutto pulito, in ordine, illuminato…. Passeggiamo nel centro storico, rapiti dal fascino di due moschee molto antiche, addirittura una con annesso bagno turco, ora adibita a museo. La voce del muezzin ci accompagna nella visita. Tracce di architettura austroungarica nelle belle viuzze, e pure un gettonatissimo negozietto di frutta secca con in vetrina ogni tipo di granaglie. Anche qui, i contrasti: monumento ai caduti nella recente guerra con la Serbia e ovunque sentimenti antiserbi, ma poi sulle strade nessuno ha trovato i fondi per sostituire i chiusini in ferro con ancora le scritte in serbo… Cena abbondante in piazza condita da ottime birre kosovare e poi rientro in Albania per la notte.
La mattina dopo partiamo alla volta di Tropojë. Ha piovuto tutta la notte, e stamattina ancora pioviggina. Lungo la strada, costeggiamo il lago di Fierzë, formato da una delle tante dighe. E’ uno spettacolo; purtroppo non riusciamo ad intravvedere la vecchia città sommersa. Arriviamo finalmente alla destinazione. Parcheggiamo e ci guardiamo attorno un po’ perplessi, perché il posto non è proprio un bijoux…. Sporcizia e degrado dappertutto, e il ristorante-albergo nuovissimo contrasta sfacciatamente con tanto squallore. Fortunatamente (!) ci dicono che non c’è posto per tutti. Ci dirigiamo perciò verso una località in montagna, denominata Valbonë. Lungo la strada in costruzione, incrociamo una bellissima cascata che sembra sgorgare direttamente dal bosco. L’aria si fa più frizzante e purtroppo il tempo si guasta ulteriormente e riprende a piovere. Dopo poco più di un’ora di strada, arriviamo in una stazione montana, proprio ai piedi delle Alpi Albanesi, in mezzo a bellissime foreste. Il complesso turistico (nuovo) è formato da numerosi chalet in legno e ospita un allevamento di trote. Blerim e suo padre non si lasciano scappare l’occasione per pescarne qualcuna per il pranzo! Fa piuttosto freddo, però ci accomodiamo ugualmente all’aperto, sotto al porticato in legno, dove ci servono un pranzo con parecchie portate, tutte molto gustose ed abbondanti, e le gustosissime trote pescate dal padre di Blerim! Da bere birra kosovara e acqua di sorgente, che sgorga proprio nelle vicinanze del ristorante. Dopo mangiato, però, si pone il problema del fuoristrada dell’altro partecipante Massimo. Urge meccanico, altrimenti non avrebbe più potuto proseguire il viaggio. Perciò, è sceso di nuovo in paese accompagnato da Toni e Giorgio per rimediare al problema. Il rimanente gruppo decide di fare invece un po’ di off-road nel letto del fiume, in attesa del loro ritorno. Ci divertiamo parecchio a fare diversi guadi più o meno profondi e gustarci la meravigliosa natura delle Alpi Albanesi, pur sotto una pioggia insistente. In serata, ritorno di Massimo con Toni e Giorgio: fortunatamente, hanno trovato un meccanico che è riuscito a rimettere in sesto il Toyota. Ceniamo e subito dopo ce ne andiamo ognuno nel proprio chalet, purtroppo senza riscaldamento (nonostante le nostre preghiere al gestore) e anche senza luce! L’indomani levataccia per la grande avventura: ci imbarcheremo con tutti i fuoristrada su un battello che ci condurrà da Fierzë, navigando nel fiordo denominato Komanit, fino a Koman.
Levataccia sul serio, perché al freddo e al buio totale delle 4,00 del mattino…. Con le pile di fortuna, ci dirigiamo verso il buio della sala ristorante, dove facciamo colazione con merendine e succhi di frutta, in quanto non funzionava la macchina per il caffè…. Alle 5,00 siamo in macchina e, dopo un’ora di strada, siamo all’imbarcadero del fiordo. Provvidenziali Carlo ed Ester, che nell’attesa di imbarcarci, preparano il caffè per tutti! Poco dopo le 6,30 iniziano le operazioni d’imbarco, e saliamo con i fuoristrada su una specie di bagnarola denominata “traghetto”, noi con altre persone e persino un furgone con le pecore e due camion carichi di pietre in precario equilibrio. Varia umanità che preferisce imbarcarsi piuttosto che percorrere la pericolosa strada che porta a fino a Scutari. La Jezerca X, molla gli ormeggi alle 7,30 e inizia il suo lento movimento fra le anse di questo lungo e tortuoso lago. Il cielo è carico di nuvoloni e tira una certa arietta. Siamo tutti in coperta ad ammirare l’inizio di queste fantastiche gole, il lungo viaggio si rivelerà spettacolare. Più o meno tutto il gruppo, si organizza come meglio crede, chi ammira il paesaggio, chi parlotta del più e del meno, e di questi giorni trascorsi assieme, chi fotografa estasiato e chi… si mette a dormire sugli scomodi e duri sedili del traghetto. Intanto, al piano di sotto, vediamo una compagnia di persone che, sapendo sicuramente già in anticipo la durata della traversata, si mette persino sotto la macchina ad aggiustare il tubo dello scarico.
Il sole, pian piano, prende il sopravvento e oltre a scaldare la natura circostante, scalda anche i nostri corpi un po’ infreddoliti e affamati. Navigando a 19 nodi, ansa dopo ansa, ci si schiude un mondo meraviglioso, a tratti pare un autentico fiordo “nordico” ma alla stessa latitudine della Puglia! Vegetazione rigogliosa ovunque fino all’acqua, scorci impensabili tanto simili a ghiacciai in scioglimento, soltanto un barchino con due locali a bordo che naviga in senso inverso, splendidi aironi, cormorani e perfino una lontanissima aquila a dare quel tocco in più di “wilderness”. Ogni tanto il paesaggio cambia e sembra che si passi dalla Norvegia alla Scozia in un batter d’occhio, manca solo di intravvedere il mostro di Loch-Ness! Nel silenzio di queste gole, interrotto soltanto dal borbottio del traghetto, osserviamo incantati le innumerevoli cascate che si gettano da alte rupi calcaree, un paesaggio primordiale.
Alle 9,30 attracchiamo alla diga, nel minuscolo imbarcadero, già strapieno di vetture pronte a salpare. Attraversiamo una strettissima galleria scavata nella viva roccia e sbuchiamo a Koman. Ancora un paio di scatti veramente strepitosi sul lago Vault të Dejës, ancora una volta pare di essere in tutt’altro posto del Mondo…! Sosta in un luogo caratteristico nei pressi del Lago di Scutari, in un locale circolare costruito con rami, paglia e canne, ad imitazione delle antiche case dei pescatori lacustri. Brindisi con una tremenda rakija e poi di nuovo in macchina verso Scutari. Purtroppo, anche stavolta la tabella di marcia non è stata rispettata, perché dovevamo, una volta sbarcati, dirigerci direttamente nella valle di Theth e da lì, successivamente, raggiungere Scutari. Così invece abbiamo allungato fino a Shirokë, pranzato (ottimo pesce di lago) e verso le 14,00 (con tutta calma…) siamo ripartiti alla volta di Theth. Ci aspettano parecchi km di strada asfaltata più altri 140 km in off road, ma a nostro avviso non dovevamo venire fino sul lago a pranzare perché così si sono perse ore preziose di luce (senza considerare la stanchezza per la levataccia…). Dopo una breve deviazione per allentare un po’ la tensione, e sfogarci in un guado, riprendiamo la marcia e finalmente cominciamo ad arrampicarci nella strette gole di Theth. Altro paesaggio molto mistico, con la luce del pomeriggio che si insinua tra le vette regalandoci scorci da valle tibetana; addirittura vediamo dei minuscoli villaggi con le colture a terrazzamento, una vera sorpresa che non credevamo di trovare in questi luoghi. Il percorso si snoda attraverso sterrati circondati da possenti castagni carichi di frutti. Purtroppo comincia a farsi scuro, la stanchezza aumenta e il nervosismo pure, e la colonna si allunga troppo; qualcuno corre, qualcun altro resta indietro, ormai è buio pesto e per orientarci dobbiamo aguzzare la vista e cercare di scorgere la luce dei fari di chi ci precede. Come se non bastasse, incappiamo continuamente in bivi che richiedono costantemente via radio la conferma della strada da prendere. Lo sconvolgimento del programma ha determinato un allungamento spropositato dei km e delle ore di guida, snervandoci tutti. Finalmente, verso le 20,45, col buio totale, arriviamo in questo chalet. Data l’oscurità, non comprendiamo immediatamente il luogo nel quale ci troviamo (comunque in mezzo ai monti). Parcheggiamo tutti davanti allo chalet, e subito veniamo circondati da diversi bambini curiosi. Ci rendiamo subito conto che non si tratta di uno chalet come scritto sul programma, cioè non è una casa in legno come quella di Valbonë, ma un vecchissimo e malandato rifugio di montagna in muratura; per strada, siamo venuti a conoscenza del fatto che noi due avremmo dovuto dividere la camera; va da sé che, essendo Carlo ed Ester l’unica altra coppia del gruppo, l’avremmo divisa con loro. Quello che non sapevamo era che il rifugio era abitato anche dai gestori con le loro famiglie e UN bagno in comune con tutti! Noi, con Carlo ed Ester, ci sistemiamo al piano terra, in una stanza fredda, umida, con le mura scrostate e finestre consumate dal tempo e piene di spifferi. E’ veramente troppo, siamo esasperati per la lunga strada pericolosetta e percorsa a metà col buio pesto, ovviamente stanchissimi, ci aspettavamo uno chalet dove riposarsi ognuno per proprio conto e ci ritroviamo invece in una specie di stalla. La cena, purtroppo, non è delle migliori: una minestra, carne lessa, tutto quasi freddo perché i gestori ci aspettavano almeno un’ora prima del nostro arrivo. Come se non bastasse, non esistono chiavi per chiudere la porta della nostra camera. Considerato il tipo di bagaglio (il nostro, composto praticamente da strumenti elettronici), e visti i bambini che giravano per la casa, ad un certo punto della cena Laura ha preferito seguire Ester in camera, almeno per stare un po’ tranquille. Un’altra notte disagiata, con la luce che andava e veniva, niente acqua calda e poi niente acqua del tutto…. Insomma, non pretendevamo il grand hotel, ma un minimo di confort sì! Dormiamo più per la stanchezza nervosa che per la lunga strada e la levataccia.
Il mattino dopo, giornata radiosa. Uscendo dal rifugio, ci si parano davanti le meravigliose Alpi Albanesi, che, a dirla tutta, somigliano tanto alla nostra Val Resia! Tanti alberi di sorbo, pini e abeti, animali al pascolo e un’arietta frizzantina che mette, stavolta sì, di buon umore. Purtroppo, ancora una volta il capo gita perde tempo a chiacchierare in giardino, così ci mettiamo in marcia appena dopo le 9,30! Ci dirigiamo verso il parco Kombetar Theth: una splendida zona calcarea, ricca d’acqua e di faggi. Osserviamo pure una antica casa-torre, una specie di fortezza usata in passato per dirimere beghe di parentado; per evitare faide, i contendenti venivano rinchiusi all’interno, in attesa delle decisioni dei “saggi” del villaggio. Si sa di faide che sono continuate per decenni… Ci rimettiamo in marcia, per dirigerci verso un luogo stupendo, fatto di roccia rosa, acqua cristallina, tanta vegetazione, pecore, e capre… Chiediamo a Toni se in questa zona è possibile fare delle escursioni: ci risponde di sì, che proprio dove abbiamo parcheggiato inizia un bellissimo sentiero che poi si arrampica fino alle montagne, seguendo il corso del torrente. Peccato, ad avere un giorno in più si sarebbe potuto fare una splendida escursione, anche perché tutto il gruppo sentiva bisogno di muoversi per sgranchirsi le gambe, dopo tante ore di guida. Riprendiamo la strada dell’andata e purtroppo, dopo qualche km, ci dobbiamo fermare. Un camion si trova in estrema difficoltà; non entrandogli le marce, non riusciva a superare una piccola salita. Tutto il gruppo valuta il da farsi, e si decide che non resta altro da fare che aiutare il camion, trainandolo per fargli superare la salita, cosicchè la carovana possa proseguire nel viaggio. Per tutta l’operazione ci si impiega un’ora, con l’uso di verricelli e strops. Inspiegabilmente, il capo gita italiano decide che l’operazione non lo riguarda, e così lo vediamo allontanarsi, senza prestare nessun tipo di aiuto. Francamente, ci troviamo tutti sorpresi e anche un po’ infastiditi da questa mancanza di “spirito di gruppo”.
Finalmente, ci rimettiamo in marcia, verso le cime delle Alpi Albanesi. Il tempo ci assiste, il clima è splendido e saliamo fino ad arrivare al punto più alto toccato dal nostro tour, una specie di spartiacque tra Albania e Montenegro; la zona è quella della catena montuosa Bieshkët e Namuna, altitudine compresa tra i 2.300 e i 2.700 mt. slm. Cambio di vegetazione, ora la flora alpina la fa da padrona e sorpresa, in questa zona vivono pure i rari pini loricati, una specie botanica poco frequente, dalla caratteristica corteccia a corazza (lorica). Foto di rito, prima di intraprendere una suggestiva discesa. Durante il tragitto, a Francesco, improvvisamente, comincia a fumare paurosamente lo scarico, intossicando non poco chi si trovava dietro a lui. Si tratta di gasolio incombusto, un inconveniente che però verrà presto risolto grazie all’impiego di un liquido pulitore per iniettori.
La strada per il ritorno alla civiltà è ancora molto lunga, siamo tutti affamati e ci chiediamo dove e quando andremo a mangiare, non ottenendo risposte esaurienti da Giorgio. Siamo di nuovo tutti un po’ spazientiti, Giorgio è sempre evasivo e da Toni non riusciamo a capire la tempistica (“presto arriviamo, ci vuole ancora un’ora, tra un po’ ci siamo…”). Alla fine, Blerim chiude pure la radio, tanto, dice, che senso ha tenerla accesa se poi non si ottiene nessuna risposta?
Se Dio vuole, finalmente parcheggiamo al di fuori di una trattoria, ma essendo già le 15,00, hanno già chiuso la cucina e quindi li troviamo impreparati ad accoglierci. Ci portano le solite pietanze che mangiamo ormai da 5 giorni, e Giorgio decide che si potrebbe anche fare una spaghettata nella loro cucina. Come se non bastasse, i formaggi serviti sono pure andati a male, quindi ripieghiamo su della carne riscaldata e gli spaghetti.
Come da programma, saremmo dovuti scendere nuovamente verso Scutari per visitare il castello Rozafa e la casa più antica della città, invece ormai è talmente tardi che al castello di Scutari arriviamo alle 18,00, giusto per due scatti all’imbrunire, e la casa antica ce la scordiamo… Il castello era vittima di una maledizione: edificato, crollava ogni volta. Fu murata una donna perché finalmente la maledizione cessasse!
Nuovamente in marcia, ormai è sera, e dobbiamo dirigerci a Shëngjin, dove pernotteremo. Stavolta la sistemazione è lussuosa, hotel President 4 stelle con spiaggia privata, acqua calda, luce a volontà…. Finalmente, una doccia! Si cena con pesce, carne, verdure, qualcuno sceglie di non cenare affatto, stufo della monotona cucina albanese. Ennesimo giro di grappe e rakja, brindisi finali.
Il mattino dopo, ci aspetta una abbondante colazione a buffet, l’ideale per riprenderci un po’. Subito in marcia per un giro nella (sporchissima) laguna di Shëngjin, foto di gruppo con i fuoristrada disposti proprio sulla sabbia della laguna, in mezzo a conchiglie e granchietti.
Ripartiamo per Krujë, patria dell’eroe nazionale Scanderbeg, l’unico posto in Albania dove si sarebbe potuto acquistare qualche ricordo. Con una simpatica guida parlante italiano, facciamo visita ad un’antica casa nobiliare, ora adibita a museo, e così veniamo a sapere usi e costumi del popolo albanese. La casa è splendida, pur nella sua rusticità, e rimaniamo incantati dalle meravigliose grate che sembrano di ferro battuto, ed invece sono completamente in legno scolpito! Tappeti, pellicce d’agnello e tessuti per ogni dove, assieme agli strumenti della vita quotidiana. Molto bello e interessante. Dovevamo pure visitare il castello della famiglia Scanderbeg, ma stanti le numerose scolaresche, decidiamo all’unisono di lasciar perdere e dedicarci piuttosto al bazar.
Il nostro primo bazar! Piccolo e raccolto attorno ad un unico viottolo, con numerosissime botteghe artigiane di tappeti e tessuti; molte delle lavoranti, gentilissime, parlavano anche italiano; anche qui, si sarebbe potuto comprare di tutto, ma come in ogni viaggio, poi ci si pone sempre la stessa domanda: “e poi, dove lo mettiamo?”. Ci limitiamo a delle tovagliette, per poi rimetterci in marcia verso Tirana.
Fa nuovamente caldo, il bel clima fresco dei monti è solo un ricordo. Tirana, ovviamente, è un caos, traffico disordinato e guida fai-da-te ovunque.
Giorgio e Toni decidono di portarci a mangiare un pranzo come si deve: ci accomodiamo in un ristorante italiano, uno dei migliori di Tirana, talmente gettonato da non trovare assolutamente posto per parcheggiare. Ci abbuffiamo di datteri di mare (ormai proibitissimi in mezza Europa!) e con uno straordinario dentice di 5 kg con patate al forno, brindando alle avventure trascorse assieme.
Sazi, ci spostiamo verso Durazzo, per i saluti e per imbarcarci verso casa.
Un ultimo brindisi sulla terrazza di un bar del centro e poi ci salutiamo tutti, il traghetto ci aspetta.
Ci imbarchiamo attorno alle 22,00 sul “Riviera Adriatica”. Alle 23,00, puntuali, si sciolgono gli ormeggi e salutiamo la terra albanese, ricca di acqua, foreste e tante sorprese. Le luci di Durazzo si fanno sempre più piccole, nella quiete di una notte settembrina e col mare che sembra una tavola. Alla fine, ci accomodiamo nelle minuscole cabine e sprofondiamo in un sonno cullato dalle onde.

Sbarco in Italia.
Alle 6,00 del giorno dopo, le sirene della nave ci avvisano che ci stiamo avvicinando alla costa pugliese; ecco Bari. Alle 7,00 attracchiamo e dopo un pò sbarchiamo e ci dirigiamo a far colazione in un bar. E’ il momento di altri saluti: Massimo e Francesco sono già a casa, Giorgio fa rotta verso sud-ovest per raggiungere la Calabria e prendere il traghetto per la Sicilia, noi quattro “nordici” ci dirigiamo appunto verso Nord, percorrendo buona parte dell’Adriatica assieme. A Roseto degli Abruzzi ci salutiamo definitivamente: noi ci fermiamo ancora una notte fuori L’Aquila, nell’agriturismo di vecchi amici, loro proseguono fino a casa in Piemonte. Ultimi saluti fra cb, e un grazie a tutti!!
Strada facendo, elaboriamo quanto visto e vissuto in questo angolo d’Europa, tra poche ricchezze e molte miserie, natura splendida e per certi versi quasi intatta, a contraltare di un degrado a volte spaventoso.
A L’Aquila ci sentiamo come a casa. Ma sarà un colpo al cuore vederla ridotta a macerie. Nell’agriturismo di Tempera veniamo a sapere di tante storie dolorose, che ci toccano molto da vicino, considerato l’impatto che l’Abruzzo ha avuto su di noi, tanti anni fa. Alla “Morgia” ci infiliamo nella “nostra” camera, un pranzo veloce con strepitosi prodotti locali, un po’ di riposo in un vero letto.
Nel pomeriggio, non resistiamo, vogliamo vedere con i nostri occhi i danni del terremoto. I 10 km che separano Tempera al capoluogo sono un triste squarcio di realtà: fanno impressione le case crollate, lesionate, i moduli abitativi, ma soprattutto la gente: incupita, indurita, depressa, depredata del futuro e della voglia di vivere.
Parcheggiamo in zona castello, poca gente in giro, anche se è sabato pomeriggio. In altri tempi, trovare un posto qua attorno era impossibile, così come passeggiare per il corso, un vero viavai di gente di tutte le età. Oggi, fa impressione. Dopo il giro di una piazza deserta, ci avviamo verso il Corso Vittorio Emanuele. La sensazione angosciosa di trovarci in una città fantasma, da film di fantascienza. Di tutti i negozi e la gente che affollava questa via, oggi non ce n’è traccia. Tutte le case inchiavardate e puntellate con travi d’acciaio, per tutta la loro altezza e lunghezza, quasi una gabbia di legno e metallo. Gli archi e le finestre consolidati con travi di legno o murature in mattoni. Quanto visto alla televisione è niente in confronto alla sensazione di spaesamento e inquietudine che si prova a vederli con i propri occhi. Non c’è rimasto aperto nessuno delle botteghe e dei negozi che frequentavamo ogni volta che capitavamo qui. Ma la cosa più assurda è che le case sono rimaste tutte in piedi, magari con qualche crepa, ma di muri crollati non ne abbiamo visti, e forse è questo il paradosso: una gabbia per contenere case vuote e tenerne lontani i suoi occupanti. Uniche presenze, gruppi di forze dell’ordine, assurdamente armate. Qua e là sprazzi di resistenza: il tendone del “popolo delle carriole” in piazza duomo, una pasticceria, qualche bar; del nostro salumaio di fiducia non c’è più traccia; in seguito abbiamo saputo che, causa il terremoto, ha avuto un malore e da allora ha dismesso la pur fiorente attività. Un altro pezzo storico dell’Aquila perso per sempre. In corso Federico II c’è chi combatte contro la burocrazia, la stupidità, la rassegnazione: uno spaccio di prodotti tipici sembra un’oasi in questo deserto di tristezza. Facciamo scorta di profumi e sapori da portare a casa, assieme a tanta malinconia.
Ormai si è fatto buio e ce torniamo verso la macchina. Di sera, è ancora peggio. Il centro è tutto buio, le case sembrano tanti teschi silenziosi, che ci osservano con orbite vuote e scure. Nessuna traccia di vita, pure il cinema è chiuso. Nemmeno i cani randagi ci sono più. Passiamo accanto alla zona rossa, un blindato degli alpini a fare da guardia, una sensazione di ostilità si fa sentire, pesantemente. Orribile, ci sentiamo anche noi feriti, e non possiamo che essere dalla parte di questa gente, depredata di tutto, futuro compreso. L’Aquila non merita di essere trattata così!
A cena, riflettiamo su quanto visto qui, e quanto visto in Albania. Per certi versi, non c’è differenza. Macerie là, macerie qua. Metaforiche e non. Lì lo Stato non c’è, ma qui neppure.
Il mattino successivo, domenica, salutiamo tutta la famiglia, comunque contenta di averci rivisto, contenti noi per averli trovati tutti assieme, combattivi e con tanta voglia di fare.
Gli ultimi 800 km che ci separano da casa sembrano infiniti. Dopo tanti anni di ferie trascorse su strade più o meno disastrate, trovarci sulla piattezza monotona di un’autostrada per tanti chilometri… ci crea sconforto! La noia prende il sopravvento, e pur trovandoci a passare fra i luoghi forse più belli d’Italia, il tempo sembra non passare mai!
Per rompere un po’ la monotonia (e riempire uno stomaco che brontola) ci fermiamo nella splendida Orvieto per un pranzo veloce. Tanti ricordi (Orvieto fu la prima tappa del nostro viaggio di nozze, sempre in viaggio in auto!), tante emozioni.
Col buio siamo a casa, stanchi, felici per la bella avventura balcanica, tristi per aver visto la nostra amata L’Aquila ferita, distrutta. Anche quest’anno un carico di esperienze, facce e cose nuove che andranno ad arricchire il nostro bagaglio di ricordi. E già con nuova voglia di partire per altre avventure.

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Note:
Settembre 2011

Gasolio al litro in Slovenia:                         1,238€  Valuta: Euro
Gasolio al litro in Croazia :       9,10 Kune (1,244€)Valuta: Kuna   Cambio: 7,31
Tassa ingresso Montenegro per 365 giorni: 30€
Gasolio al litro in Montenegro:                   1,280€  Valuta: Euro
Assicurazione per l’Albania per 15 giorni: 27€
Gasolio al litro in Albania :       170 Lek    (1,211€) Valuta: Lek     Cambio: 140
Assicurazione per il Kosovo per 15 giorni: 30€
Costo del traghetto Fierze – Koman 1 auto+2 persone: 4.400 Lek(31,355€) ˜ 2h.
Costo del traghetto Durazzo – Bari 1 auto+2 persone+1 cabina interna: 187,40€ ˜ 8h.

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1 commento:

Toni ha detto...

Ciao Massimo e Laura! Spero che vi sia piaciuto il viaggio in Albania. E credo che avete fatto anche delle bellissime foto! Non vedo l'ora di vedere le foto, per poter rivivere ancora quei momenti che abbiamo passati tutti insieme.
Con rispetto, Toni.