2.572 Km in 17 giorni, 71,20 ore di guida fra 4 Stati, 3 capitali.
rilevazioni effettuate con il navigatore cartografico GARMIN GPSMAP 60CS
rilevazioni effettuate con il navigatore cartografico GARMIN GPSMAP 60CS
SERBIA 2017
TRA LUCI ED OMBRE
Capita. Qualche volta succede che un
progetto pianificato, accarezzato e sognato, non vada in porto. Che nonostante
la lunga e meticolosa preparazione, lungo la strada che porta al compimento del
progetto, appaiano piccoli segnali che mettano sull’avviso che quel progetto,
forse, è meglio accantonarlo, in attesa di tempi migliori. Sulla carta, l’impresa
era ambiziosa, molto. I giorni, come sempre, pochini (17), i chilometri da
macinare tanti (8.000), la meta entusiasmante (Mar Caspio!). Per rimanere
nell’orbita di quei 17 giorni e riuscire a portare a compimento l’ardua
impresa, giocoforza avremmo dovuto viaggiare su una specie di linea
retta, andata e ritorno, per riuscire ad incastrare tutto quanto avremmo voluto
visitare, assieme alle preventivate file alle dogane, imprevisti vari, piccoli
contrattempi perditempo. Già gli imprevisti capitano da soli, figurarsi
andarseli a cercare… Ma a due mesi dalla partenza, ecco apparire quei segnali
che ci stavano mettendo sull’avviso che questo viaggio… non s’ha da fare. Noi,
imperterriti, continuiamo nella pianificazione del raid. Ma evidentemente, il
destino, il karma, Saturno contro, un chakra messo di traverso, chiamatelo come
volete, insomma qualcosa si è messo in mezzo ed ha ben pensato di mandarci un
segnale più potente degli altri: una mattina, ad un mese dalla partenza, la
nostra auto ci pianta in asso, nel bel mezzo della strada, fortunatamente
vicino a casa. E lì, finalmente, ci rendiamo conto che… (sfiga a parte),
dobbiamo arrenderci al destino, alzare le braccia e dire: “ok, ok, abbiamo
capito”. Intanto che il Nissan è dall’elettrauto, (sostituzione
dell’alternatore), ci ritroviamo davanti alla solita carta geografica appesa in
corridoio, ad osservare l’itinerario calcolato al centimetro ed al minuto,
riflettendo su che cosa, nell’aria, è andato storto. Riflettiamo e rimuginiamo.
E poi, Max ha un’intuizione! I nostri viaggi sono sempre stati concepiti “ad
anello”, una sorta di circuito chiuso; partenza e ritorno sempre da casa, ma
seguendo un itinerario grosso modo circolare; questo, invece, per risparmiare
il più possibile sul tempo, è stato concepito come una linea, più o meno retta.
Una bella riga a tagliare in due l’Europa centro-orientale, da Trieste al
Caspio. Una riga, appunto; senza inizio e senza fine ma solo un andare da “A” a
“B” in linea retta e ritorno. Un taglio, una ferita, nel cuore d’Europa, come
se ce ne fosse bisogno attualmente di aggiungerne altre, di ferite, in queste
zone. E, davanti ad un’Europa segata da un tratto di pennarello, realizziamo
che forse, il viaggio, ce lo siamo sabotato da soli. La vita è circolare, non è
una riga tracciata così, solo per andare da qua a là. Pertanto… ci siamo
arresi. Anche e soprattutto per non transitare in determinate zone non
propriamente tranquille e per non pagare costosi visti dalla durata ridicola.
Insistere, a nostro avviso, sarebbe stato da stupidi, o da sprovveduti, o da
incoscienti. Ci si può credere o meno nel destino, nel fato… Forse, anche per
scaramanzia, abbiamo interpretato segnali e sensazioni che ci suggerivano di
lasciar perdere, per il momento, in questo senso. E come se non bastasse, non
abbiamo fatto i conti con un altro aspetto: non avevamo un piano “B”! A dire il
vero, non lo abbiamo mai avuto, perché non ci è mai servito un piano “B”. Ad un
mese dalla partenza, con la testa già in modalità dogane, confini, modulistica,
alfabeti diversi, tempistica da rispettare rigorosamente… ci siamo ritrovati a
guardarci negli occhi e chiederci: “E adesso?”. Non è la prima volta che un
viaggio ci “salta” (vedi 2010), però almeno il tempo per rimediare c’era. Ma
stavolta, non solo la vacanza salta a trenta giorni dalla partenza, ma tutto il
meticoloso lavoro a monte per recuperare preziose informazioni su un fatto
storico, vero motivo del nostro viaggio, nonché la programmazione al minuto
delle tappe giornaliere, va a finire nel cosiddetto “archivio rotondo” (cioè il
cestino). Lo scoramento è notevole, soprattutto per l’immane lavoro
“storiografico” compiuto da Max. E così, ritornando nuovamente davanti alla
carta geografica, facciamo un pò il punto della situazione. Dove potremmo
andare? Bè… dovevamo calpestare nuovamente una terra ortodossa… dove la
scrittura è cirillica… ed ecco che la Serbia ci balza agli occhi, paese da noi
solamente attraversato 4 anni fa per raggiungere la Bulgaria. Serbia come meta
del viaggio? Perché no? E Serbia fu.
CALDO CONTINENTAL
Il nostro viaggio di ripiego inizia
venerdì 2 giugno; procediamo spediti verso est, ed il caldo, tipico delle
pianure continentali, comincia a farsi afoso già in prossimità del confine
serbo; la piana alluvionale che abbraccia la regione della Vojvodina ci regala
un’afa epica; tra campi di girasoli, grano quasi maturo e pozzi di gas, ci
destreggiamo tra le confluenze dei fiumi Sava, Drava e, più in là, il Danubio.
Sospettavamo di trovare già il caldo, ma non così soffocante! Al confine Croazia-Serbia
impieghiamo 40 minuti in fila per il controllo dei passaporti; la dogana croata
scannerizza nuovamente i documenti di tutti, però nessuno ci controlla il
bagagliaio. Arrivato il nostro turno, il simpatico doganiere serbo, ammirando
il nostro mezzo, ci domanda dove siamo diretti; “Fruška Gora!” rispondo,
mostrandogli sulla cartina la meta della giornata (con somma delizia dei tizi
dietro a noi, in fila sotto al sole cocente); il doganiere risponde che lui è
nato proprio là, che la zona è stupenda e ci congeda con un “sretan put” (buon
viaggio). Ripartiamo alla volta di quello che è l’unico contrafforte montano
della Vojvodina, la cui altezza massima si colloca attorno ai 500 metri. Meglio
di niente! Il sacro monte della Fruška Gora, chiamato così perché ospita
parecchi antichi monasteri, si staglia verdissimo e boscoso alla nostra
sinistra. Puntiamo in quella direzione, nella speranza di trovare un po’ di
refrigerio. Alle 17.00, complice la fame, ci fermiamo al ristorante
“Aleksandar”, in aperta campagna; hanno l’aria condizionata, ma perché
rinchiuderci tra quattro mura proprio il primo giorno di vacanza estiva? Il
solertissimo cameriere arriva pronto a portarci birra in bottiglia per
accompagnare i saporiti piatti della cucina serba: razniči (spiedini di carne
di maiale), pljeskavica (mega hamburger di carne mista con cipolla trita),
ajvar domači (specie di salsa di peperoni, questa fatta in casa, leggerissima),
il tutto strepitosamente buono, la carne ha un sapore che appartiene a ricordi
lontani nel tempo. Sarebbe stato un pranzo da ricordare esclusivamente per la
bontà delle pietanze, se non fosse che, purtroppo, assieme a noialtri sono
giunte milioni di mosche, entusiaste di condividere con noi le prelibatezze
locali. Ci arrangiamo come possiamo: bottiglie tappate, salviette sui
bicchieri, pane soffocato dal tovagliolo, mentre il cameriere solertissimo le
scaccia dal nostro tavolo sventolando lesto il menù, per poi tornare a fine
pranzo con l’aspira briciole elettrico. Su tutto, un olezzo di concime che fa
tanto campagna “old style”. Satolli, ce ne andiamo a cercare un posto dove
dormire, direzione “montagna”. I paesini che attraversiamo hanno la
caratteristica di avere le casette con una passerella in cemento a scavalcare
quella che noi immaginiamo sia una roggia. Di olezzo in olezzo, sempre più
invadente, ci accorgiamo che quelle non sono “rogge” ma semplicemente canali
fognari a cielo aperto… E sì che in questa zona l’acqua non manca di certo!
Quello che mancano, sono le fognature vere e proprie. Scappando dai miasmi
tremendi, ci arrampichiamo sul sacro monte e troviamo il Motel Zmajevac, un
rifugio “montano” sorto alla fine degli anni ’40, immerso in una fitta foresta
cedua ripiena di uccellini cinguettanti. Il Motel si presenta bene all’esterno,
con tanti tavoli sotto le fresche frasche, un po’ meno all’interno: per
raggiungere la camera (nel sottotetto) ci dobbiamo arrangiare con le nostre
torce perché la luce nel lunghissimo corridoio a budello non funziona… e di
finestre, neanche a parlarne. Nel sottotetto fa caldo, ma lasciando aperto
l’abbaino ed il ventilatore al massimo, la temperatura si mantiene accettabile.
Peccato che la pulizia del bagno lasci alquanto a desiderare; trattasi di un
vero cesso, e ci chiediamo che cosa (e con che cosa) abbia pulito l’addetta
poco prima… Dato il prezzo modico, non possiamo pretendere di più. Ma almeno
sulla pulizia… La notte passa nella pace più totale, visto che siamo in mezzo
ad un bosco, e soltanto i gufi si fanno sentire.
Il risveglio è allietato dal canto del
cuculo, che fa da solista assieme a milioni di uccellini vocianti di tutte le
specie, e da un calabrone curioso. La colazione è in veranda, su tavoli e
sedili in legno originali jugoslavi di fine anni ’40, dove le comodità borghesi
non trovavano posto nella spartanità comunista. Ci rifocilliamo con tè alle
erbe, frittatona, pomodori, cetrioli, cipolla… che volete che sia addentare una
cipolla o un cetriolo alle 09.30 del mattino, quando sei mesi fa, alla stessa
ora, ci rimpinzavamo di caviale rosso e tranci di salmone fresco? Sazi ma
leggeri, ce ne andiamo alla volta della città di Novi Sad, capoluogo della
Vojvodina, anche per cercare un cambia valute. Giunti in prossimità del centro,
ci troviamo imbottigliati in un traffico mostruoso, tanto che, col Danubio
color cappuccino da una parte e l’immane groviglio di automobili dall’altra, ci
sembrava piuttosto di stare a Calcutta all’ora di punta. Il Danubio, che sarà
pure bello ma qui di blu ha solo il nome, si inoltra sinuoso, percorso da
numerose chiatte trasportanti di tutto. La città, per chi riesce a visitarla
senza diventare idrofobo causa traffico inumano, è molto caratteristica, per i
suoi splendidi edifici art-nouveau, dai fregi mai visti, palazzine signorili
dalle facciate singolarmente decorate, ma purtroppo in pieno degrado; è tutto
rotto. La crisi sta martellando la Serbia, e il denaro per rimettere a posto
gli edifici, evidentemente, scarseggia, ed un tanto probabilmente è anche
dovuto alla sconfitta ed ai conseguenti pesanti pagamenti per i crimini di
guerra di 18 anni fa. Un vero peccato. La città ospita, su di un colle, anche
una bella ed imponente fortezza dai contrafforti murari notevoli (simili a
quelli di Palmanova), contrafforti murari in mattoni che seguono anche il lungo
fiume; peccato che la fortezza sia irraggiungibile, stante l’impossibilità di
trovare un solo buco per metterci l’auto, da qualsiasi parte! Non ci resta che
pranzare sotto a questo castello fortificato, sul lungo Danubio; intanto che
attendiamo quanto ordinato, osserviamo il traffico soffocante che serpeggia a
qualche decina di metri da noi, un serpentone di veicoli che procede a passo
d’uomo con ormai 30°C costanti… Ci consoliamo con un altro pranzo tipico:
razniči ripieni (cioè fette di maiale avvoltolate su formaggio e ciccioli di
pancetta affumicata), patatine, insalatina con pomodori strepitosi, birra alla
spina ed il famoso kajmak, cioè una sorta di grassissima crema di formaggio,
servita in forma di palline di gelato, ma talmente sostanziosa che ne basta una
per far pranzo! Troppo caldo e troppo traffico, abbandoniamo l’idea di visitare
la fortezza e torniamo verso i “monti”, a visitare il primo dei monasteri che
questa regione offre. Il monastero Ravanica di Vrdnik, sorto attorno al 1566,
ci accoglie con un’imponente struttura di mura bianche a calce, tigli altissimi
e, ovviamente, pace e tranquillità, nonostante sia l’unico monastero della
Fruška Gora edificato in un luogo popolato, precisamente nella cittadina di
Vrdnik, frequentatissima località termale. Monaci e monache condividono le
sacre mura, assieme alle galline, alle caprette, ai piccioni ornamentali, ai
gatti e alle tortorelle in cova. Per lungo tempo in questo monastero furono
custodite le reliquie del principe Lazar, oggetto di culto. I religiosi
ortodossi, di qualsiasi Stato, seguono tutti i medesimi dettami in fatto di
abbigliamento: perciò anche qua i monaci vestono una lunga veste nera oppure
una casacca ed un paio di calzoni, barbone che non viene tagliato mai, i capelli
lunghi raccolti in un chignon, mentre le monache sono completamente racchiuse
nella loro lunga veste nera dalla quale spuntano solamente le mani e l’ovale
del viso, i capelli e le orecchie ben celati dal velo, mentre i religiosi
d’ambo i sessi calzano un cappello a mò di mezzo cilindro. Però hanno tutti lo
smartphone… Entriamo nella bellissima chiesa affrescata, godendoci un po’ di
refrigerio. Come da tradizione, io mi copro la testa… e mi accorgo di essere
l’unica a farlo, le altre signore, pur serbe, sono tutte a capo scoperto. Ci
stupiamo un po’, anche perché nella chiesa serbo-ortodossa di S. Nicolò, a
Trieste, le donne hanno sempre un fazzoletto in testa… come in Ucraina e in
Russia. Io mantengo il mio foulard addosso; quando ci avviciniamo alla vetusta
suorina per acquistare le candele, l’anziana religiosa mi guarda e mi sorride
con benevolenza, come a dire: “beh, almeno una che se ne ricorda!”.
A pomeriggio inoltrato, torniamo “in
montagna”, dove ci aspetta un imprevisto. La strada che porta al rifugio è
transennata, perché vogliono farci pagare un pedaggio. Pedaggio di che?
chiediamo. Ci fanno capire che tutte le strade che attraversano il sacro monte
Fruška Gora, parco nazionale, al week-end sono soggette al pagamento di una
sorta di tassa ecologica per il gitante che viene fin quassù a farsi la
grigliata. Protestiamo: noi siamo solo di transito, dato che dobbiamo andare al
nostro motel. Sono irremovibili. Non ci perdiamo d’animo: tiro fuori le chiavi
della camera, specificando che siamo “goste motela!” (ospiti del motel) e
quindi vogliamo ben vedere se ogni volta che ci spostiamo dobbiamo pagare il
pedaggio! Lo stratagemma funziona, la nostra auto non passa di sicuro
inosservata e con ciò speriamo di non dover far questioni anche domani…
MANASTIR TOUR
E’ domenica per tutti… ma per le torme
di volatili che albergano in questa foresta, sembra un giorno lavorativo
qualsiasi. E, dato che siamo in Serbia, i simpatici uccellini si prodigano per
farci sentire una sorta di festival Guča in salsa ornitologica. Alle 04.30,
ancora col buio, attaccano le allodole, verso le 05.30 cambio turno, cambio
specie e cambio di repertorio con usignoli, cinciallegre, tordi ecc ecc, poi
alle 06.00 arriva una specie di bullo locale proprio sotto al nostro abbaino,
cinguettando come un forsennato per sovrastare tutti gli altri, facendo il
solista e urlando di brutto. Non bastassero i cinguettii, poco dopo le 06.00
arriva in camera anche il ronzante calabrone, dalla stazza spropositata e
rumoroso come un elicottero, che dà un’occhiata alla situazione, si accerta da
vicino che siamo sempre vivi e sparisce. Facciamo la solita abbondante
colazione (oggi wurstel tipo Vienna, uova sode, cipollotti, tè di erbe); alle
11.00, quando ci congediamo per andare in gita, gli uccellini del turno di
mattina smettono tutti di colpo, per lasciare lo spazio ai pomeridiani, che
cantano fino alle 20.00, quando lasciano il posto a quelli del turno di notte…
E poi si ricomincia. Calabrone compreso. Oggi la giornata prevede la visita di
altri due monasteri molto significativi, Novo e Stari Hopovo (nuovo e vecchio
Hopovo); il “nuovo” è del 1576, le origini del “vecchio” risalgono attorno al
1545.
I MONASTERI DI NOVO E STARI HOPOVO
Sono due monasteri ortodossi di epoca
rinascimentale, il “nuovo” (Novo) ed il “vecchio” (Stari) Hopovo. Novo Hopovo,
dentro alle sue mura barocche, racchiude un complesso monastico edificato in
pietra tagliata e mattoni, decorato internamente con degli affreschi splendidi
della scuola bizantina serba, tra i più importanti di tutti i Balcani, nonché
preziose icone dipinte dai monaci del monte Athos. Ma, la cosa che ci sorprende
di più, entrando nella chiesa, è che il pavimento è cosparso di fieno fresco,
appena tagliato; il contrasto tra il profumo pungente del fieno, quello delle
candele in cera d’api che brucia, e quello dolciastro dell’incenso è
sbalorditivo. Osserviamo il rituale messo in atto dai fedeli: ognuno si
inginocchia a raccogliere una manciata di fieno, con la quale intreccia delle
coroncine da portar via oppure da usarsi come una sorta di “ex voto” da
appoggiare sulle icone. Il simbolismo è chiaro: il fieno sul pavimento ricorda
il fieno posto nella mangiatoia alla nascita di Gesù. I monaci, giovani, in
palandrana e barbone, vivono tra queste mura, e dei cartelli bilingui avvertono
i fedeli sui luoghi nei quali non possono accedere: si tratta delle celle e
degli appartamenti privati dei religiosi, che giustamente devono essere
preservati dal viavai della gente, per consentire privacy e meditazione. La
giornata è splendida, fa caldo ma all’ombra di queste sacre mura è
sopportabile. Il giardino è curato ed ombroso, circondato dalle rose fiorite
che profumano dolcemente l’aria. Ne approfittiamo per riempire una bottiglia
con dell’acqua “benedetta”; l’acqua di fonte è freschissima ed è un vero
piacere dissetarsi in questo luogo di pace e meditazione. I religiosi si
sostentano con la vendita dei loro prodotti: miele, rakija (liquore
superalcolico, generalmente di frutta), sljivovica (superalcolico di prugne,
frutto nazionale serbo), il brinjavec (superalcolico di bacche di ginepro), il
classico gorki (amaro d’erbe), oltre, ovviamente, i liquori al miele. Ne
approfittiamo per amici e parenti; in chiesa, al banchetto che vende candele,
icone e rosari, ci si rifornisce di sacchetti di nylon, poi si va allo spaccio
situato all’ingresso (self-service) e si ritorna in chiesa a pagare. Un sistema
un po’ sui generis, però funzionale. Il monastero custodisce anche le spoglie
del santo guerriero Teodor Tiron, morto in battaglia, venerato sia nel mondo
cattolico che ortodosso. Usciamo, prendiamo l’auto e ci dirigiamo alla volta di
Staro Hopovo, cioè il monastero più vecchio, dichiarato monumento culturale di
eccezionale importanza nel 1990 dal governo jugoslavo. La chiesa attuale, purtroppo,
non è quella risalente al 1545 ma un suo rifacimento del 1751. Piccolissimo, ma
immerso in una zona incantevole; i monaci lavorano la terra, allevano le
galline e le api, in un ambiente verdissimo ed incontaminato. Entriamo nella
chiesetta del monastero, ed è talmente raccolta su sé stessa che a malapena
riusciamo ad incastrarci su un lato della struttura, attorniati da altre 5-6
persone intente ad intrecciare le coroncine di fieno, pregare devotamente,
baciare l’icona della Vergine. Gli affreschi, di recente fattura, sono stati
restaurati da poco, dando l’effetto di essere stati appena dipinti, per tanto
vivaci sono i colori. Non me la sento di fotografare per non disturbare la
concentrazione e la meditazione delle persone di varie età riunite in preghiera:
la cappella è talmente minuscola che sarebbe come voler far fotografie in un
ripostiglio, pertanto ce ne stiamo seduti ad osservare e catturare tutto con lo
sguardo. Finalmente, tra i santi che ci osservano severi dalle pareti, spunta
anche un bruno, barbutissimo e capellone San Massimo, con una città in una
mano, il che un po’ ci sorprende, dato che l’iconografia classica di San
Massimo, di solito, lo ritrae calvo e col barbone canuto... anche i santi sono
stati giovani! Il lampadario rotondo, che ci sovrasta gigantesco, ha appese
delle uova di struzzo, legate con un filo rosso terminante in una nappina.
Stupendo! Attendiamo che il nostro “gruppo di preghiera” termini la liturgia,
per poi uscire tutti assieme, sì da lasciar posto ad altri pellegrini. A fianco
della chiesetta, sorge una torretta che ospita le candele votive mentre, al
piano superiore, è alloggiata una biblioteca e, sopra la biblioteca… le
campane! Alberi di noce, querce, betulle, aceri, fanno da splendida cornice a
questo luogo di pace e serenità, un vero, piccolo, paradiso. Purtroppo il caldo
è intenso e parecchio afoso. Ora di pranzo, ce ne torniamo al ristorante
Aleksandar, ma stavolta ci facciamo furbi e pranziamo all’interno, aria
condizionata e niente mosche… Domani si riparte alla volta di un’altra zona
montuosa.
DESTINAZIONE RAŠKA GORA
Lasciamo il piattume della Vojvodina
per raggiungere la zona collinare della Raška Gora, regione che confina con il
Kosovo ed il Montenegro, nella Serbia più profonda. Oltrepassiamo la Sava
sorprendendoci per la vastità del suo corso, e addirittura intravediamo delle
case su palafitte! Purtroppo, le vediamo solamente quando stiamo a metà del
ponte e non c’è un buco per fermarsi, per cui niente foto. La destinazione è la
cittadina di Vrnjačka Banja, zona termale conosciuta fin dal 1800, quando
divenne il “buen retiro” di parte dell’elite centro-europea. Caldo, giornata
spettacolare, aria pulita… ci viene fame, perciò decidiamo di fermarci per un
boccone in un rustico ma eccellente locale caratteristico, proprio all’imbocco
del paese. Ci serve un bello e robustissimo giovane, capelli biondi a spazzola
e occhio ceruleo incantevole, che ci porta ottima carne alla griglia e pivo
alla spina: ci basta poco per essere felici! Il nostro Nissan, parcheggiato nei
pressi, attira l’attenzione di un automobilista, che scende assieme ad un
ragazzo, fa il giro del nostro mezzo, osserva con occhio clinico ruote,
ammortizzatori, paraurti, verricello, l’altezza da terra, l’interno, l’esterno,
il sopra, il sotto… poi scambiano due chiacchiere col nostro oste e se ne
vanno. Noi terminiamo il pranzo e andiamo a cercare un posto dove passare i
rimanenti giorni di ferie. Dato che ormai siamo in piena modalità relax,
concentriamo le nostre ricerche su un luogo fornito di servizi wellness e,
soprattutto, di piscina, magari all’aperto! In paese, parcheggiamo vicino al
parco verdissimo e ci dirigiamo verso un’imponente costruzione, l’hotel
Fontana, dove purtroppo ci comunicano, spiacenti, che non sono forniti di
piscina. Allora ripieghiamo sul Merkur. Trattasi di hotel-sanatorio, offre tanti
servizi wellness e la piscina, purtroppo per stanotte sono pieni, perciò
possono riservarci la camera da domani, ma niente letto matrimoniale. Ok,
diciamo noi, ci accordiamo per 6 giorni. Ci guardiamo attorno: la struttura
promette bene e, anche se gli ospiti sono quasi tutti oltre la sessantina, a
noi va bene così: almeno non avremo il sonno disturbato da bambini piagnucolosi
e schiamazzanti per i corridoi, oppure gente che torna ubriaca alle 02.00 del
mattino (stile Austria, Germania o Scandinavia)… Perciò, usciamo a cercare un
posto per stanotte. Proviamo in una deliziosa palazzina primi del ‘900,
restaurata, con bellissima piscina profonda ma… vuota. Alla reception, ci
accoglie un ragazzo… e ci rendiamo conto che trattasi dello stesso ragazzo che,
col padre, aveva adocchiato il Nissan poco prima! Ed ecco arrivare il babbo, si
chiama Milan ed è il presidente del locale jeep club! Ecco spiegato l’occhio
clinico! Ci chiede da dove veniamo, dice che lui è stato a Trieste nel 1991,
poco prima dello scoppio della guerra, che ha un bel ricordo… Intanto ci mostra
orgoglioso la sua collezione di veicoli d’epoca: due jeep Willys originali
americane risalenti allo sbarco in Normandia nella Seconda guerra mondiale
(dice lui), una specie di jeep Toyota rimaneggiato, una Lotus Elan (auto degli
anni ’80, rossa fiammante). Ci fa poi vedere la camera: stupenda! Enorme come
un salone, le finestre sui tre lati con soffitto altissimo, divano in pelle
nera, arredamento in legno scuro minimalista, bel bagno piccolo ma funzionale
e, sorpresa, gli asciugamani messi l’uno accanto all’altro, sul letto, sono
arrotolati a forma di cigno! Ancora non ci era capitato di trovare degli
asciugamani sistemati così! L’albergo, Vila Devedžić, è decisamente delizioso,
a gestione familiare, ma peccato per la piscina, vuota. Dice Milan che, finchè
non si sistema il tempo, non gli conviene riempirla. Un vero peccato sul serio,
non tanto per la lunghezza, quanto per la notevole profondità! Già immaginavamo
tuffi a raffica… Pazienza, magari sarà per un’altra volta. Milan non perde
l’occasione per comunicarci che fra qualche giorno ci sarà il primo raduno
fuoristradistico con moto da enduro, quad e jeep della zona, organizzato
dal suo club, invitandoci entusiasta e rassicurandoci sul fatto che è “soft” e
che col nostro mezzo (quest’anno non preparato con i pneumatici per percorsi in
fuoristrada impegnativi) non ci saranno problemi. Con 10 euro (“akcija!” dice,
cioè offerta!) abbiamo una colazione, un pranzo, il giro off-road sulle
montagne attorno e, alla sera, grigliatona e birra a nastro in paese! E vuoi
rifiutare? Certo che no! Pertanto ci accomodiamo in camera, attendiamo che
sfoghi il temporale, ceniamo in paese ed il giorno dopo siamo pronti a
trasferirci al Merkur.
RISERVATO AI NOSTALGICI
Dopo una gustosa colazione, salutiamo
Milan e sua moglie e ci trasferiamo al Merkur, col caldo già soffocante.
Arriviamo in camera e, purtroppo, il nostro entusiasmo iniziale si è già
dimezzato. Se la reception e le sale comuni davano l’impressione di essere ad
un buon livello d’accoglienza, moderno ed attuale, la camera, purtroppo, si
rivela una delusione; qui la vecchia accoglienza jugoslava non è mai
tramontata, perciò ci ritroviamo in una stanza piccolissima, vecchissima e con
una vista sull’ingresso principale. Il mobilio del bagno è marcio, una sola
lampadina da 20 watt ad illuminare il lavabo mentre la doccia è al buio, muri
di carta velina cosicchè sentiamo tutte le chiacchiere dei vicini (e, in quanto
anziani, tutti sordi), ci hanno assegnato la camera che confina con
l’ascensore, perciò sentiamo il continuo viavai di gente e chiasso di
ferraglia, non c’è un frigo e nemmeno una bottiglia d’acqua… Questo non deve
esser mai stato considerato un vero albergo, sembra piuttosto un sanatorio, o,
meglio ancora, una casa di riposo per anziani autosufficienti (o quasi…). Dato
il caldo, ci stravacchiamo sui letti in attesa di andarcene a cena; non ci è di
conforto nemmeno il romanzo trovato nel comodino, che già dal titolo (“Rekvijem
za Vuka Malivuka”) ed una copertina che rimanda ad agghiaccianti sculture
evocative di guerreschi massacri, non ci risolleva di certo il morale, mentre
ci chiediamo perplessi se abbiamo fatto bene a prenotare per tanti giorni
consecutivi…
La mattina dopo, scendiamo in ascensore
a far colazione, ad ogni piano entra qualcuno, e ci sembra vagamente di stare
ad un congresso a latere del Cominform: tutto un “dober dan”, “dobri den’”,
“dien dobre”, “zdrastvujtse”… La sala ristorante è grande e luminosa, ma la
colazione è un’altra spiacevole sorpresa. Possiamo giurare che nemmeno quando
c’era ancora la Jugoslavia in piedi, le colazioni erano al livello di questa,
cioè pessime. In tanti anni di viaggi, possiamo affermare con assoluta certezza
che non abbiamo MAI mangiato così male come in questo albergo: il prosciutto è
terribile, i wurstel immangiabili (plastica pura) e non è un modo di dire: non
sono avvolti nel classico budello di maiale logicamente digeribile, ma in un
suo surrogato di plastica ad imitazione del solito budello: Max si sacrifica
per l’esperimento, ma dopo averlo masticato per qualche minuto, si rende conto
che non si scioglie normalmente, anzi, si ritrova la bocca piena di questa
pellicola di “polietilene”, non sapendo se e come mangiarla… Schifato, ci
rinuncia! Il succo d’arancia è imbevibile; si salva solo il tè, per fortuna. Ci
alziamo affamati e sgomenti, in programma giretto a piedi della cittadina.
VRNJAČKA BANJA
La cittadina, che sembra una qualsiasi
località turistica europea di fine Ottocento, molto tranquilla, abitata da
circa 30.000 anime tra centro e periferia, si presenta come una rinomata
stazione termale (sfruttata già dai Romani, ovviamente) racchiusa dalle
montagnole che sorgono tutto attorno a farle scudo dai rigori invernali; sono
quattro le sorgenti che sgorgano in centro (Topla Voda, Jezero, Snežnik e
Slatina), e offrono diverse qualità d’acqua, tutte contenenti sodio e idro
carbonatiche; ne abbiamo provato tre: due sono di acqua squisita, con molto
magnesio (tipo la Radenska slovena), la terza è terribile, perché con alta
concentrazione di zolfo, indicata, dice la tabella sulla fonte, anche per i
diabetici. Ci si può servire direttamente dalle fontane dello stabilimento, 10
dinari per un litro (0,084€/lt.); all’interno degli stabilimenti ci sono
diverse panchine, dove il pubblico si siede, si fa una bevuta, e tra una
chiacchiera e l’altra, un litro dopo l’altro scivola via. Il corso d’acqua
(Vrnjačka) la attraversa longitudinalmente, e parecchi sono i piccoli ponti che
sovrastano il torrentello di acqua torbidina, ma pulita, a giudicare dalle
tante libellule multicolori che si librano sulla sua superficie. Tra i ponti,
non poteva mancare il “Most ljubavi” (Ponte dell’amore), decorato da migliaia
di lucchetti acquistabili per ogni dove, con i quali le coppiette innamorate
incatenano il loro amore; una volta scritti i nomi sul lucchetto, gli
innamorati gettano le chiavi nel ruscello; tutto ciò a ricordo di una
struggente vicenda che narra della storia d’amore tra la bella maestrina Nada e
l’ufficiale serbo Relja, sullo sfondo dei tragici eventi della Prima Guerra
Mondiale… Tanti viali alberati e pedonali, un grandissimo e pulitissimo parco
cittadino consentono di rilassarsi al relativo fresco e magari farsi un pieno
di cultura nella graziosa biblioteca cittadina in legno intagliato, che ospita
ben 40.000 volumi! Dalla parte opposta della zona pedonale, ben fornita di
localini dove mangiare e bere all’aperto, si trova la città vecchia (in tutti i
sensi), ospitante negozi meno “alla moda” ed il mercato ortofrutticolo. Peccato
non aver pensato di cercare un appartamento con cucina, perché i banchi del
mercato offrono quintali di funghi pazzeschi, verdure da lasciarci gli occhi,
carne strepitosa, ciliegie di tutti i colori (il cartello che ne decanta le
lodi dice: “fenomenomenalno!”), fragole profumatissime, albicocche come non se
ne vedono più, quintali di lamponi e fragoline a prezzi irrisori (un quarto di
kg di lamponi a circa 80 centesimi di euro…); con una cucina a disposizione mi
sarei dedicata a sughi e marmellate con tutto questo ben di Dio! Tra la zona
pedonale ed il vecchio mercato, sorge il laboratorio di Strugarević Slavko,
abilissimo nonché gentilissimo artigiano del cuoio, che produce ancora
interamente a mano le caratteristiche ciabattine con la punta all’insù chiamate
Opanak e, meraviglia delle meraviglie, al piano sovrastante il laboratorio, ci
mostra orgoglioso la Opanak più grande del mondo, pelle e cuoio mirabilmente
lavorati ed intrecciati, grande come una barchetta! Tre settimane di duro
lavoro, ma che spettacolo d’artigianato! Oltre ai residenti ed al notevole
afflusso turistico, ci sono anche diverse famiglie di zingari con bambini ben
addestrati alla questua, però tutti educati: “dober dan” innanzitutto,
prima di tendere la mano. E verso le 17.00, gli zingarelli scendono nella zona
pedonale muniti di fisarmonica per un po’ di spettacolo e raggranellare ancora
qualche dinaro…
A TUTTO C’E’ UN LIMITE…
Nel nostro bighellonare, ragioniamo sul
fatto che, forse, potremmo anche cercare qualcos’altro di più accettabile del
Merkur. Al solo pensiero di ritornare in quel buco di camera e dover
trangugiare un’altra colazione abominevole, ci si ribalta lo stomaco, pur
avvezzo a – quasi – tutto… Dalla “promenada” alberata, ci inerpichiamo verso la
parte vecchia della cittadina, dove sono in piedi ancora le antiche case in
legno art-dèco, abitate anche dagli zingari. Sul colle, visitiamo la piccola
chiesetta dedicata alla Natività della Vergine Maria del 1834, ma il caldo
eccessivo ci convince a tornarcene tra i viali alberati. Scendendo, l’occhio ci
cade su una stupenda piscina di un albergo. Il blu fiordaliso delle sue acque,
ci fa fiondare direttamente alla reception. Trattasi di Vila Aleksandar,
signorile palazzotto rosa salmone, pieno di alberi, rose, petunie, e con un
bordo vasca che invitante è dir poco: ombrelloni e lettini in legno, discreti
gazebo, prato adiacente che invita a camminare a piedi nudi… la gentilissima
signora della reception ci illustra i prezzi: scegliamo la formula ½ pensione,
che costa solamente due euro in più del B&B; i servizi wellness non
sono inclusi, ma per 16 euro di massaggio, non andremo in fallimento… detto,
fatto. Sono ormai le 15.00 passate, corriamo al Merkur, facciamo i bagagli,
paghiamo comunque per 2 notti, motivando alla corrucciata receptionist che la
camera non ci piace, è rumorosa e, sottinteso, fa schifo, perciò grazie e
addio. Di norma, non ci lanciamo mai in critiche pesanti, ma stavolta ci sembra
giusto mettere in guardia chi avesse la sventura di capitare al Merkur: se
proprio ci tenete a gustarvi l’atmosfera che si respirava ai tempi di Tito, a
farvi trattare con sgarbo e dover pagare per sopportare solamente disagi,
accomodatevi; altrimenti, NON ANDATECI! Rifatti i bagagli, di corsa, ci
fiondiamo a Vila Aleksandar, morti dal caldo e dall’afa, e col temporale in
arrivo. Tempo di disfare qualche borsa, cercare ciabatte e costume da
bagno, e poco prima delle 18.00, sotto una pioggerellina calda, ci tuffiamo
nella piscina, tutta per noi… sotto lo sguardo compiaciuto della bionda
receptionist, che dalla sua finestra ci fa segno col pollice alzato. Così ci si
gode la vita! Ah: ovviamente, la camera assegnataci è strepitosa, ed è l’unica
del piano ad avere una bellissima vasca da bagno, così posso fare agevolmente
il bucato…
VILA ALEXANDAR
Due parole su questa struttura:
trattasi di un villino dei primi del ‘900, ristrutturato e convertito ad hotel,
il cui punto di forza è la splendida piscina esterna di 20 metri, circondata
dagli alberi, da tanti lettini comodissimi, ombrelloni e tre simpatici gazebo
che danno la possibilità di farsi una pennichella a bordo vasca ma in totale
privacy; il prato curatissimo è invitante per gustarsi un aperitivo a piedi
nudi. Servizi wellness ottimi, il tutto molto pulito e ben tenuto, personale
simpatico e molto professionale. Il silenzio, alla sera, è totale, dopo le
23.00 volano solamente le lucciole! E la cucina è strepitosa; raramente abbiamo
mangiato carne così gustosa e morbida come qua, evidentemente devono rifornirsi
da una macelleria di fiducia, che propone loro i tagli migliori! La colazione
può essere a buffet se gli ospiti sono tanti, oppure su ordinazione se si è
pochissimi. Il breakfast è vario: salumi e formaggi buonissimi, pomodori da
urlo, marmellata di fragole fatta in casa (da una delle inservienti!), uova
all’occhio, burro che solamente all’est Europa è così grasso, frittate con
verdure, tè, caffè e poi dei bocconcini tipo muffin. Guardandoli bene, sembrano
fritti. Non sono muffin, sono tortini di patate tipo kiffeln… dopo la prima
porzione, sono tornata a prenderne altri, sotto lo sguardo complice di una
delle inservienti che non ha mancato di commentare (in serbo) una cosa del
tipo: “ah-ah, buoni vero?” Vedendo il nostro apprezzamento per la cucina serba,
siamo entrati subito nelle simpatie di tutto il personale… C’è però, in tutto
questo idillio, una nota negativa: non hanno birra alla spina! Solo
bottigliette da 0,33 cl.… ma, facendo uno sforzo, il cameriere di turno è
riuscito a scavare bottiglie di un’altra marca da 0,4 cl., meglio di niente…
Dalla prima sera in poi, probabilmente siamo stati classificati come quelli
delle “bottiglie 0,4”. Birra Lev oppure Jelen (Leone e Cervo), specialità
serbe, buone anche se un po’ troppo dolci.
FERIE, QUESTE SCONOSCIUTE
Già, stavolta queste sono vere e
proprie ferie. Cioè abbiamo, volenti o nolenti, staccato la spina. Da una parte
ne abbiamo approfittato, soprattutto per Max, che ha avuto modo di riprendersi
dalla fatica del raid artico di sei mesi prima. Avendo piantato le tende in
questa tranquilla cittadina e nella splendida sistemazione di Vila Alexandar,
ci siamo ritrovati davanti tutta la libertà che una vacanza dedicata al (quasi)
dolce far niente è in grado di dispensare. Perciò, oltre ad impegnarci per dare
corposo significato al verbo “spavati” (dormire), l’unico nostro
pensiero era quello di riuscire ad incastrare un gita fuori porta con una
seduta di sauna, una visita ad un monastero con la sessione di massaggio, una
passeggiata in paese con il richiamo irresistibile dei tuffi in piscina; di
dedicarci ad una colazione abbondante in modo da poterci godere la piscina fino
all’ora di cena senza interruzioni digestive. Non dovendo rimetterci in
macchina ogni giorno, alla sera potevamo oziare anche fino a tardi in giardino,
sotto alle stelle, gustandoci un liquore, un dessert, coi piedi nudi nell’erba
a contare le lucciole che lampeggiavano nella siepe attigua; senza il pensiero
della sveglia all’alba e della preparazione dei bagagli (compito quest’ultimo
che spetta a me), ho avuto il piacere (senza sensi di colpa per l’ora tarda) di
osservare Max gustarsi un paio di ottimi sigari fino all’ultima boccata,
accompagnati da un buon brandy. In un paio di occasioni, ben riposati, abbiamo
fatto qualche gita in macchina un po’ più impegnativa, e pure un fuori
programma in offroad, senza l’assillo dell’orologio, della tappa da rispettare,
del cercare un posto dove dormire… Nella quiete e tranquillità di Vila
Alexandar, sotto ai profumatissimi tigli, tra una bibita fresca ed un tuffo in piscina,
la mente era libera di correre e disinnescarsi dagli affanni quotidiani anche
se, purtroppo, il rimpianto per il viaggio mancato riaffiorava senza volerlo,
soprattutto quanto ci chiedevamo, giusto per non perdere la cognizione del
tempo, che giorno era: “Che giorno è oggi?” “Domenica.” “E dove dovevamo essere
oggi?” “Mar Caspio.”. “Ah…” “Chissà che cosa c’è per cena…”.
SRBIJA OFF ROAD!
Come da programma, alle ore 08.00 di
sabato 10 Giugno ci siamo portati a Vila Devedžić, dove l’amico Milan ci ha offerto
tè e caffè domači, cioè fatto in casa con un dito di fondi, tipo alla turca.
Poi, alle 09.00, ritrovo al ristorante in centro per il briefing e l’iscrizione
al tour off-road, con consegna del “talòn” (anche qua!) per avere il diritto
alla merenda, al pranzo e alla cena, con inclusa maglietta commemorativa.
Credevamo di essere solo fuoristradisti, in realtà Milan ha sbagliato la
descrizione sul programma dell’evento, mettendo solo “enduro” e dimenticandosi
“jeep”, cosicchè di fuoristradisti eravamo in 5 lui compreso, mentre di
motociclisti e quad saranno stati una ventina! Prima di partire, ci offrono la
merenda, consistente in un buonissimo panino rotondo (di giornata!) con
prosciutto cotto (ottimo!) e formaggio (ottimo, allora si può trovare roba buona,
non come al Merkur!). Alle 10.00 partiamo per arrampicarci subito sulle
montagnole adiacenti al paese, in una varietà di vegetazione impressionante: si
passa dai noccioleti altissimi, alle pinete, alle abetaie miste con betulle e
larici, alle faggete, al misto di tutto con aceri e querce, e strapieno di
fiori: violette tricolori gialle, garofani in technicolor, rose canine di tutte
le sfumature di rosa e fucsia, un vero paradiso botanico, il tutto in un
percorso abbastanza accidentato. La giornata parte splendida per poi
leggermente annuvolarsi a pranzo e successivamente ritrovare il sereno, con una
gradevole temperatura (sui 16 gradi). Milan ci aveva assicurato: “nema
problema, you ok!” riguardo alla difficoltà di percorso… ad un certo punto ci
siamo trovati a far fuoristrada di media e in qualche punto, anche di intensa
difficoltà ed in due occasioni siamo rimasti in bilico su tre ruote, con la
ruota posteriore ben alzata… Alle 13.00, puntualissimi, ci fermiamo nei
dintorni della cima del monte Guč per il “ručak” (pranzo), che consisteva in un
piatto abbondante di minestrone con fagioli (“isti juha tradicionalna”
ci dicono, cioè è la stessa minestra tradizionale che davano in caserma) e due
grassissime salsicce a testa, con contorno di cavolo cappuccio in insalata, da
bere acqua oppure succo di mela (bosniaco, 10% di succo, il resto acqua e
additivi). Osserviamo le stoviglie: gli ottimisti vedrebbero, nei piatti di
ceramica jugoslava e posate in acciaio, sistemati in cassoni porta munizioni,
un ottimo esempio di rispetto dell’ambiente: niente piatti e posate in plastica
antiecologiche, tutto si lava e si riusa. I realisti, invece, vedono che forse
per loro piatti e posate in plastica costano troppo… e in quanto a rispetto
dell’ambiente, qua va letteralmente a farsi friggere, perché dappertutto, tra i
cespugli, trovi lattine e bottigliette d’acqua, gettate anche dai finestrini
delle auto in corsa. Purtroppo, la torma di enduristi ci ha fregato tutti i
posti a sedere sotto alla ampia tettoia in legno, per cui ci arrangiamo
chiedendo ospitalità alla signora molto “gipsy style” che occupa una specie di
attiguo container uso abitazione; la signora (una specie di Maga Magò in
canottiera, ciabatte e pantaloni alla pescatora e mezza cicca penzoloni dalle
labbra) molto gentilmente ci fa cenno che possiamo accomodarci tranquillamente
su un mezzo tronco d’albero che funge da tavolo e portando anche due sedie
pieghevoli per altri due enduristi, non prima di aver dato una ripulita al
mezzo tronco, portato olio, aceto, sale e pepe ed aver tolto un proiettile che
sostava nel mezzo del tronco a mo’ di “decorazione”. Mangiando, osserviamo la
“casa”. Zingara sì, ma al decoro la signora ci tiene: perciò tendine alle
“finestre” del container, vasi di fiori disposti artisticamente, semprevivi
decorativi sistemati con gusto su altri tronchi, zerbino all’entrata… e di
fronte alla “casa” c’è la stalla delle capre, mentre tutto attorno solo
foresta. Alle 15.00 di nuovo tutti in sella per il ritorno verso casa, e
nuovamente ci destreggiamo tra roveti inestricabili, foreste vergini, guadi,
fangaie, di tutto e di più, in una varietà di paesaggi impressionante.
Purtroppo corrono tutti e non riesco a scendere nemmeno per mezzo secondo a
fare fotografie! In una delle due soste, vediamo un cartello nella foresta che
recita “nemački lager”. Chiediamo lumi a Milan: un lager tedesco? Deportacija?
Deportavano sì, risponde lui, ma non persone, bensì rocce e legname verso la
Germania, da veri predoni. Alle 18.00 rientriamo alla base, cioè nel ristorante
che al mattino fungeva da punto di partenza per il tour offroad. Alle 19.00
arriva la cena: da bere a volontà, e poi un abbondante piatto di salumi
squisiti, poi un altro piatto enorme ripieno di pomodori, cavolo cappuccio in
insalata e cetrioli, infine un altro piatto ancora più grande ripieno di tutto
quanto può cuocere una griglia! Squisito tutto, peccato che le porzioni erano
almeno per 6! Ah, ovviamente, tutti i piatti e le posate adoperati per il
pranzo in montagna, sono stati trasportati qui e verranno prontamente lavati
dalla lavastoviglie del ristorante… Verso le 22.00, quando ormai eravamo già
morti di stanchezza in camera ma almeno contenti della bellissima gita e per
non aver rotto o ammaccato nulla, è giunto il diluvio universale; diluvio che,
se ci coglieva in una delle fangaie di stamane, è probabile che nessuno di noi
sarebbe riuscito a venirne fuori se non l’indomani mattina…
IL CAPITALE UMANO
Il nostro giro in fuoristrada ci ha
insegnato che esistono due varianti di uomo serbo: il citizen e l’outdoor.
Il citizen, di norma, si trattiene: si veste più o meno come tutti
i serbi in città, mantiene un certo decoro, parla col tono di voce
normale. Il serbo outdoor, invece, esprime al meglio la vera anima
slava: non parla, ma urla comandi: hàjde! Ìdemo! (forza! Andiamo!),
sputa ordini: hàla nazàd! (dai! indietro!) grida consigli: treći!
(la terza!), come se i suoi interlocutori fossero sull’altra riva del Danubio e
non a due metri di distanza. L’abbigliamento (enduristi a parte, logicamente)
va dal mimetico stile guerriglia, al misto mimetico (maglietta con le foglie e
pantaloni della tuta), al normalno ma con anfibi oppure in tuta e scarpe
antiinfortunistiche; e, alla prima occasione di sosta, via la t-shirt e sfoggio
della panza in variegate tonalità di pallore e circonferenza. Non mancano i
sirenetti: ultra-cinquantenni che giocoforza hanno dovuto abbandonare il
fuoristrada perché dietro al volante la panza non ci sta più, pertanto sono
passati di categoria, abbracciando la moto da enduro e, alla prima occasione di
sosta, si distendono sul legname accatastato stile orologi liquefatti di Dalì…
Il fatto di essere gli unici stranieri presenti alla manifestazione, dava un
tocco di internazionalità all’evento, il primo organizzato in loco e, visto il
notevole successo e l’afflusso di partecipanti, dice Milan che l’anno prossimo
l’organizzeranno meglio. Tutti gli adesivi delle nostre imprese incollati sul
Patrol destano una certa curiosità fra i partecipanti; Milan ha detto a tutti
che noi due siamo stati al Polo Nord russo (bè, non proprio, dai...); il nostro
mezzo è stato oggetto di approfondita diagnosi da parte dei fuoristradisti;
uno, meno riservato degli altri, si è pure avvicinato a Max chiedendogli (in
inglese) se secondo lui i serbi sono gente cattiva… Max risponde che per il
momento di cattivi non ne abbiamo trovato ancora nessuno… replica del tizio:
“ma no, scherzavo, perché tutto il mondo dice che noi siamo cattivi!”. Ecco il
risultato di decenni di graziosa propaganda occidentale… Per quanto ci
riguarda, l’unico serbo poco simpatico è uno dei due camerieri del nostro
albergo, un tipo segaligno che a malapena sorride e che davanti ai nostri
sforzi per ordinare in serbo per far pratica, lui ostinatamente insiste con
l’inglese ed a Max dà del “Sir”, al contrario dell’altro suo collega, Ivan,
forse l’unico serbo mite di tutto lo Stato, che l’inglese lo sa ma con noi
preferisce fare a metà (un po’ inglese, un po’ serbo, ogni tanto qualche parola
italiana), quando ci vede molla qualsiasi cosa stia facendo per salutarci con
la mano come se non ci vedesse da mesi e che ha capito subito che a noi due
deve portare birre da 0,4, non da 0,33 cl….
IL MONASTERO DI STUDENICA
Cose che succedono: si è rotta la pompa
di filtraggio della piscina del nostro albergo. Pertanto, dato che per oggi la
vasca rimane vuota per lavori (ieri sera, nel dopo cena, ce lo ha prontamente
comunicato il cameriere Ivan, giunto sul prato in punta di piedi, confidandoci
contrito la notizia dell’intoppo quasi ne fosse il responsabile e conferendo
all’informazione appena trasmessaci l’aura di un segreto di Stato), pertanto
stamane decidiamo di approfittare del momentaneo disservizio per visitare la
zona sud della Raška Gora e dirigerci al monastero di Studenica, il più grande
ed antico della Serbia, dato che la fondazione risale al 1186, dove sono
sepolte e conservate le sacre reliquie del primo re di Serbia, Stefan Nemanja,
i suoi figli e sua mamma Anastasija, tutti ovviamente fatti santi. In circa due
ore di strada, attraversiamo una porzione incantevole della Raška Gora, tutto
un insieme di colline verticali che ricordano vagamente l’entroterra del
centro-Italia, dalle splendide rocce azzurro-verdastre, ricche di micascisti
luccicanti e certi lastroni, al sole, sono addirittura abbacinanti come
specchi! Le foreste di querce sono incredibili e suggestive come quelle viste
in Bulgaria; la zona è ricchissima d’acqua (il fiume Ibar, color caffellatte,
scorre impetuoso) ma purtroppo trasformata, dai locali, in una discarica a
cielo aperto (un po’ come la zona del Pollino, in Calabria, qualche anno fa).
Nel cercare il monastero, veniamo ingannati da dei cartelli indicatori non
proprio chiarissimi, per cui ci inerpichiamo su uno sterrato che non c’entrava
nulla con Studenica, ma in questo modo ne approfittiamo per fare ancora un po’
di offroad, scoprire delle suggestive stele in marmo a bordo carrettiera,
scolpite con le preghiere in serbo antico, e facciamo pure conoscenza con una
stupenda upupa che decide di farsi un bagno di polvere proprio davanti al
nostro mezzo! Ritornando indietro, imbocchiamo finalmente la strada giusta e,
finalmente, eccoci sotto alle mura del luogo santo. Tutto il complesso
monasteriale è composto da 3 chiese racchiuse all’interno del complesso
murario, di diverse misure, più i resti di una quarta, nonché le vestigia delle
celle dei monaci risalenti al 12° secolo. La Chiesa della Vergine si presenta
semplice ed essenziale al di fuori, addirittura di una modernità stupefacente
nei suoi liscissimi lastroni in marmo quasi da architettura contemporanea, ma
straordinariamente ricca di affreschi di scuola bizantina all’interno, tutti
magnificamente conservati. Questa chiesa, alla quale fu addossata la chiesa
dedicata a Re Radoslav del 13° secolo, è la più antica, e più grande, e risale
al 1186; accanto sorge la piccola chiesetta dei santi Joachim ed Anna del 1314
e, defilata verso le mura di sud-est, la minuscola chiesa di S. Nicola, del 13°
secolo. Gli affreschi sono strabilianti e stupende sono le rappresentazioni
degli eremiti, col barbone ed i capelli bianchi lunghi fino a terra e, per
ribadire il concetto di eremitaggio in posti freddissimi, i santi in questione
sono ricoperti da una candida lanugine di peli su tutto il corpo, dando
l’impressione di trovarci al cospetto di un qualche parente dello Yeti.
Semplicemente strepitosi! Il complesso monastico, che fa parte di un “circuito”
di monasteri cistercensi sparsi per l’Europa, si trova in una zona verdissima,
incastonato tra colline fittamente boscose e, fortunatamente, senza negozi o
bancarelle attorno (cosa che invece si vede in Bulgaria e, sinceramente, la
troviamo un po’ antipatica e fastidiosa, essendo il monastero simbolo stesso di
silenzio e ritiro spirituale). I monaci, seguaci di San Sava, seguono la regola
dei benedettini, cioè quell’ “ora et labora” che tanto ha contribuito alla
crescita culturale e spirituale europea. La giornata è splendida, e si
preannuncia pure calda. Stavolta siamo fortunati: ci imbattiamo in una gita
organizzata per un gruppo di turisti anglo-americani, incredibilmente vestiti
seriamente come si richiede ad un posto sacro (quindi niente bermudone e
ciabatte!). Ci accodiamo ai visitatori e così abbiamo modo di osservare
l’interno di tutti e tre i monasteri, assieme ad una scolaresca rumorosa giunta
poco dopo. Purtroppo, nel monastero principale non si possono fare fotografie;
pazienza, ci accontentiamo degli altri due, ricavandone l’impressione di
trovarci al cospetto di un’arte davvero sacra ed ispirata. Le due cappelle di
San Nicola e dei santi Joachim ed Anna sono altamente suggestive, mentre il
monastero principale, che ospita le reliquie, trasmette la sensazione di
trovarsi in un luogo profondamente santo; via gli anglo-americani, arriva la
scolaresca delle elementari, che osserva stupita la magia degli affreschi e la
bellezza delle teche e dei sarcofaghi che custodiscono le spoglie di re Stefan
e di sua madre Anastasija; la santità prevede anche l’incorruttibilità dei
corpi, miracolosamente preservati. Tutti i bambini, una volta edotti sulla
storia dei santi qui sepolti e dopo aver ascoltato tutte le spiegazioni sugli
affreschi, prima di uscire non mancano di baciare la teca di santa Anastasija.
Purtroppo, dobbiamo uscire dalla chiesa principale perché viene chiusa a chiave
dalla guida, perciò ci attardiamo ancora nel bellissimo giardino. Tutto il
complesso monastico, racchiuso dalle mura, visto dall’alto forma una specie di
cerchio. Nel giardino crescono rigogliosi dei tigli centenari altissimi e
spettacolari, poi delle conifere (asiatiche?) e tante, tantissime rose
curatissime e dal profumo inebriante. Le celle dei monaci, di recente
costruzione (1912) ed ospitate nelle logge sovrastanti il giardino, sono celate
da lunghi tessuti color crema come i muri, a mò di tenda, a garantire il massimo
della privacy. I monaci presenti, tutti uomini, sono di varie età: dai
giovanissimi agli anziani, barba e capelli non vengono mai tagliati; i capelli
arrotolati a chignon, il barbone che negli anziani arriva fino alla cintola!
Che aria si respira in questi monasteri? A noi par di percepire una sorta di
maggior “serietà” nell’affrontare la vocazione da parte dei seguaci
dell’ortodossia. Confrontandoli coi religiosi cattolici odierni, la differenza
salta subito all’occhio… Ma queste sono solamente nostre impressioni.
IL SANGIACCATO DI NOVI PAZAR
Nel crogiuolo di fedi e culture
chiamato Balcani, esiste un territorio che affonda le proprie origini ai tempi
delle conquiste ottomane di tutta la zona sud-orientale d’Europa: il
Sangiaccato di Novi Pazar. Il nome stesso, “sangiaccato” deriva dalla parola
turca “sangiāq” che significa “bandiera” ma designa anche il nome dell’unità
amministrativa che ne adottava il vessillo; Novi Pazar invece significa “Nuovo
Bazar”. Il Sangiaccato, detto “di Novi Pazar” è oggi un’entità amministrativa a
maggioranza musulmana quasi equamente divisa fra Serbia, Montenegro e Kosovo.
Da Vrnjačka Banja ci vogliono quasi due ore di strada per raggiungere Novi
Pazar; che cosa ci spinge a portarci fin laggiù, in una cittadina che, già negli
anni ’70, a Trieste, era famosa per essere il luogo d’origine di ladri e
borseggiatori d’ogni risma che venivano fin da noi proprio per esercitare le
loro “arti” e che negli anni ’90 divenne forse il primo centro in Europa di
proselitismo della dottrina islamica wahabita, la più integralista, dando la
stura a tutta una serie di sommovimenti autonomisti e di integralismi religiosi
nei Balcani? Non dimentichiamoci che l’attentatore che nel novembre del 2011 ha
sparato diversi colpi di kalašnikov contro l’ambasciata americana di Sarajevo
veniva proprio da qua, assolutamente pronto anche a morire in azione pur di
combattere la sua personale jihad, col solo risultato di beccarsi 18 anni di
carcere per terrorismo… Che cosa ci spinge, appunto? Ci spinge la curiosità di
viaggiatori che vogliono vedere coi loro occhi e rendersi conto personalmente
di come stanno (più o meno) le cose e constatare se trattasi solamente di
propaganda o c’è un fondo di verità… Partiamo al mattino presto, direzione
sud-sud-est, attraversando una splendida e boscosa regione montano-collinare,
che offre tanti scorci selvaggi che ricordano sia il Montenegro che l’Albania;
nuovamente scavalchiamo il fiume Ibar, passiamo nelle vicinanze del paesino di
Guča (noto per essere capitale del festival musicale degli ottoni) e, man mano
che ci inoltriamo verso il Sangiaccato, intravvediamo diverse testimonianze
storiche sulle due sanguinose guerre balcaniche del 1912-13, che posero
definitivamente fine alla dominazione ottomana nei Balcani. Ora quei monumenti,
sono solamente muti testimoni di un mondo che quaggiù è stato ancora una volta
travolto da una guerra, altrettanto sanguinosa. E l’ortodossia cristiana ha
nuovamente perduto i suoi bastioni. Man mano che procediamo lungo la solita
strada malmessa, ci accorgiamo che la terra serba, ortodossa e cirillica, si
diluisce fino a scomparire del tutto: la popolazione è composta per la
maggioranza da bosgnacchi, i minareti sostituiscono le cupole bizantine, il
cirillico viene soppiantato dai caratteri latini e le donne, anziane per lo
più, vanno in giro vestite coi pantaloni “alla turca” e fazzoletto in testa,
mentre gli uomini, stessa età, girano con la giacca e lo zucchetto bianco
all’uncinetto, simboli di quell’Islam bosniaco (moderatamente laico, radicato
nel sufismo e nelle confraternite mistiche) che vegetava ai tempi della
Jugoslavia. Ma, appena giungiamo a Novi Pazar, quello che pareva un Islam
all’acqua di rose, si rivela invece per quello che è: sunnita, marcatamente
integralista ed intollerante verso lo stile di vita “all’occidentale”: un
esempio del loro modo di concepire l’esistenza arrivò nel 2007, quando un
gruppo di fanatici wahabiti, nell’intento di trasformare il sud della Serbia in
un sobborgo di Riyadh, disperse con l’uso della forza degli spettatori che
volevano semplicemente ascoltare il concerto di un gruppo rock… Veniamo accolti
da incoraggianti scritte sui muri del tipo “Novi Pazar od smrt!” (Novi Pazar o
morte!), o “Sandžak autonomija!”, un centro studi islamico che sembra tanto una
replica di quelli sauditi, un rione-fortezza sulle cui mura sventola il
vessillo verde dell’Islam, ragazzi dagli sguardi truci e barbe salafite, donne
con vari gradi di vestiario addosso: dal semplice velo in testa (hijab) che
accompagna t-shirt e jeans, a signore che di scoperto hanno solamente la faccia
e le mani, coprendo tutto il resto con strati di abiti lunghi più o meno
assortiti e colorati, il tutto in un vero bazar di altri tipi umani vestiti
all’occidentale ed un traffico totalmente indisciplinato e privo di ogni regola
stradale, peggio dell’Albania. Cercando un luogo dove parcheggiare,
imbottigliati nel traffico, osserviamo gli anziani che sostano all’ombra degli
alberi in piazza; attorno, un viavai di donne completamente velate e giovani
integralisti che marciano fieri e spediti verso le moschee; gli anziani, in
giacca e zucchetto, osservano, commentano, scuotono la testa appoggiati ai loro
bastoni… basta questo a farci capire che nemmeno loro riconoscono più il mondo
nel quale sono nati e cresciuti. Parcheggiamo l’auto in un parcheggio custodito
proprio in centro al paese (cioè una piazzola in mezzo alle bancarelle
delimitata con delle cancellate) e, tenendoci d’occhio reciprocamente, andiamo
a farci un giro nel “Novipazarstan”, notando parecchie pattuglie di poliziotti
di ronda. Giornata di mercato, perciò il centro è un vero bazar che offre di
tutto: dai fagioli secchi alla ferramenta, dagli abiti da mercatino ai completi
giacca e cravatta, con le automobili che passano indisturbate tra le file delle
bancarelle; i minareti svettanti sorgono un po’ dappertutto; sappiamo anche
esserci un antico hammam ormai quasi diroccato, che però, purtroppo, nella
bolgia nella quale siamo immersi, non riusciamo a trovare. Tante gioiellerie
che propongono patacche invero un tantino kitsch da Mille e una notte, gioielli
per signore (coroncine, diademi, collari e pendenti da madonna del petrolio)
che fanno riflettere sulla concezione della donna di una certa corrente
islamica: in strada ti mando in giro coperta come un sacco di patate, però al
chiuso, in casa, dove nessuno ti vede al di fuori di marito, amiche e parenti,
ti agghindo come Sheherazade… Tra i gioielli destinati alla clientela maschile,
furoreggiano i medaglioni coi gigli e le mezzelune (simboli della provincia
musulmana di Bosnia). Le “boutique” per signora offrono caftani, chador, hijab,
persino un niqab, come detta l’ultima moda araba, ed il negozio “Mecca” non
lascia dubbi su questo, proponendo le ultime novità in fatto di moda giunte
fresche fresche dall’Arabia. Tante le macellerie che propongono diversi tagli
di carni e salumi invitanti, ma tutti, irrimediabilmente, affumicati; le
panetterie offrono il classico pane tondo tipo “pita”. Facendo lo slalom tra
rivoli acquosi di vario genere (anche qui, il sistema fognario… fa acqua da
tutte le parti) ci arrampichiamo verso i muri della città vecchia, dove
troviamo un parco ombreggiato e abbastanza ben tenuto; il caldo ormai comincia
a diventare pesante, mentre qui si respira. Troviamo pure un cippo commemorativo
delle forze alleate risalente alla 2^ Guerra Mondiale che recita in due
epigrammi: “Per questo paese erano stati dei colossi, ideali brillanti che
sapevano come difenderlo” e più sotto: “Ai soldati caduti nella guerra di
liberazione nazionale ed alle vittime dell’occupazione fascista, che hanno dato
la loro vita per la libertà ed il paese – Soldati Alleati della Guerra di
Liberazione Nazionale di Novi Pazar – 7 luglio 1950”. Girare con questa
temperatura mette sete, perciò scendiamo nuovamente nel traffico alla ricerca
di una birra; di bar e localini ce ne sono parecchi e osserviamo che sono
aperti, però stranamente sono vuoti e tutti hanno le sedie poggiate sui tavoli
con le gambe all’insù… entriamo in un locale “etnico” (il “Sheherazade”, arredi
in legno tagliati con l’accetta, pelli di pecora e piccoli kilim buttati sulle
panche), al gentile gestore chiediamo se si può avere una “pivo” e lui,
cortesissimo, in tedesco, ci risponde di no perché… siamo in ramadan! Argh! E’
vero! Ecco spiegati tutti i bar con le sedie rovesciate! E’ mezzogiorno
passato, il sole picchia e… non si può mangiare né bere fino al tramonto! Non
essendo ancora spiritualmente preparati e fisicamente allenati per tenerci la
sete fino alle 21, non ci resta altro da fare che rimontare in auto e puntare
nuovamente verso nord. Durante il tragitto, ci ricordiamo d’aver letto, circa
una decina d’anni fa, una notizia curiosa sul Sangiaccato: una delle sue
municipalità aveva lanciato una petizione in rete per cercare delle mogli,
visto che la maggior parte della popolazione femminile era emigrata in cerca di
lavoro, spesso come badante/colf e si rischiava lo spopolamento. Il Comune in
questione, alle gentili signorine disposte a trasferirsi in queste contrade,
offriva un ambiente incontaminato (verissimo, immondizia e sporcizia varia a
parte), aria buona (confermiamo), campagna fertile (sì, altrochè!), pace e
tranquillità (sigurno!), uomini gagliardi e pimpanti (non abbiamo
dubbi), e, per ogni relazione sfociante in matrimonio, il Comune in questione
offriva pure una casa e il contributo in denaro per l’arrivo del primo figlio,
più altri vantaggi fiscali. Tutto un idillio? Non proprio: la regione in
inverno si trasforma in una succursale della Lapponia, freddissima, con metri
di neve, paesi isolati, spostamenti difficili… Ci chiediamo se l’appello, nel
frattempo, sia andato a buon fine… Lasciamo così il Sangiaccato, col ricordo di
una Novi Pazar incasinatissima, sporchetta e con un retrogusto fondamentalista
(in terra serba) poco piacevole…
BANJA KOVILIAČA, TRA “HOSTEL” E “IL
CUBO”…
Purtroppo, la nostra vacanza alla vila
Alexandar deve terminare, perciò a malincuore ci stacchiamo da questo piccolo
paradiso (e dalla tranquillità di Vrnjačka Banja) per approdare ad un’altra
stazione termale serba, precisamente a Banja Koviljača, situata esattamente
sulle rive della Drina, ad un tiro di schioppo dalla Bosnia (ogni riferimento a
precedenti conflitti è puramente casuale). Purtroppo, dalle “stelle” si passa
alle “stalle”, nel vero senso della parola. La cittadina è un buco dimenticato
da Dio e dagli uomini poco saggi; tanto, tantissimo degrado, trascuratezza,
sporcizia. Un esempio su tutti: l’automobile della polizia, parcheggiata
davanti alla loro casermetta: una Fiat Punto scassatissima con l’intelaiatura
in ferro del sedile che spunta senza pudore dall’imbottitura inesistente. Ci
assale un senso di angoscia… Facciamo un giro fino al confine bosniaco per
cercare un albergo decente: a Mali Zvornik, il ponte sulla Drina (munito di
dogana) si può anche attraversare a piedi per raggiungere direttamente Zvornik,
in territorio bosniaco. A 153 Km da qua, precisamente a Višegrad, si trova
invece il “vero” ponte sulla Drina, cioè il protagonista principale del romanzo
omonimo dello scrittore jugoslavo Ivo Andrić, testo fondamentale per chi vuole
tentare di capire qualcosa della Jugoslavia di ieri e di quanto ne rimane oggi.
La Drina fa da confine naturale tra il mondo ortodosso e quello musulmano, tra
etnie, culture, lingue, alfabeti, religioni. Quello che invece accomuna
benissimo i due popoli “ex-fratelli” è il degrado, pervasivo e onnipresente.
L’unico albergo a Mali Zvornik non ci convince, perciò ce ne torniamo a Banja
Koviljača nel solo albergo “termale” (Hotel Royal spa), che comunque lascia
molto a desiderare: si paga in anticipo (da quando in qua? In un 4 stelle?), i
corridoi sembrano una sorta di mix tra i film “Hostel” ed “Il Cubo”, bui,
illuminati (si fa per dire) da faretti verde menta sistemati su ogni porta
tanto da far sembrare l’intera struttura una sorta di gigantesca casa di
tolleranza; camera minuscola e tristissima col soffitto che si abbassa in uno
scalino fino alle finestrelle, con letti separati, lenzuola fresche di bucato
ma, ad un attento esame, scopriamo che il lenzuolo di sotto ha una bella
impronta di scarpa da ginnastica stampata all’altezza del cuscino, le
ciabattine per gli ospiti sono dello stesso tenore della Punto della Polizia
vista prima (dev’essere il folklore locale), la colazione è da dimenticare ed
il succo d’arancia, a parere di Max, sembra “pipì di gatto”. Avremmo fatto
meglio a rivolgerci agli appartamenti di privati, sicuramente saremmo stati
trattati meglio… come dimostra l’ottimo trattamento del “Rostilj Park”
(rosticceria al parco), locale a gestione famigliare che offre grigliate
strepitose, birre alla spina ottime, piccole attenzioni per il cliente (come
quando ci hanno chiesto se gradivamo il pane messo ad abbrustolire vicino alle pljeskavice
sfrigolanti: altrochè!). L’unico luogo tenuto bene è il parco cittadino, per il
resto, è da piangere. Non mancano solamente i soldi, manca la cultura del fare,
del bello, del vivere nel pulito. A confronto, Vrnjačka Banja sembrava Cortina
d’Ampezzo.
CONSIDERAZIONI FINALI, TRA LUCI ED OMBRE
SERBIA: LA VITA
Partiamo dalle strade? Le solite: tutte
un bieco, un misto tra la vecchia, cara Jugoslavia di ieri e l’Ucraina di oggi
(per le buche come voragini). Il parco auto è logicamente variegato: dai
mastodontici Hummer alle mitiche Yugo Koral legate col fil di ferro, basta che
funzionino… Cespugli di rovi dappertutto anche in città, però almeno non è la
solita giungla che ci ricordavamo; rifiuti dappertutto a bordo strada, trovare
una via senza una cartaccia è un’impresa (solamente a Novi Sad e Vrnjačka Banja
abbiamo trovato pulizia come si deve). Il reddito medio non è dei più floridi,
i salari sono tremendamente bassi e la vita non è proprio semplice: una ricerca
di questi giorni (fonte: Eurostat) dice che sono proprio i Serbi, tra tutti i
paesi dell’ex “Cortina di Ferro” a cavalcare la classifica di chi non può
permettersi nemmeno una settimana di vacanza: ben il 68,5% non ha i mezzi
necessari per “staccare” qualche giorno. Ma nonostante ciò, da nord a sud, non abbiamo
fatto altro che vedere “piccioncini” dappertutto, di tutte le età. E quando c’è
l’amore, c’è tutto, dicono! Un aspetto che manca da troppo tempo ormai nel
nostro ricco “Occidente”. Come dimenticare il “ljubi most” (ponte dell’amore) a
Vrnjačka Banja, completamente sommerso dai lucchetti appiccicati dagli
innamorati come promessa d’amore eterno? Poveri, ma belli! E che romanticoni!
Lingua ed alfabeto: il cirillico serbo
presenta dei dittonghi tutti suoi che non sono presenti né nel russo, né
nell’ucraino, né nel bulgaro, per cui all’inizio ci si trova un po’
disorientati, ma il disorientamento lo si supera subito mediante la pratica.
Quello che non abbiamo capito è come mai in qualche posto il pane lo chiamano
“hleb” (come in russo) ed in altri lo chiamano “kruh” (serbo-croato)… misteri
glottologici. In quasi tutte le località turistiche conoscono l’inglese; ma
conoscendo comunque qualche parola di serbo-croato, ci si comprende senza
troppe difficoltà, anzi, la gente apprezza tantissimo lo sforzo che si fa per
leggere il cirillico e rivolgersi in serbo; e se qualche parola in inglese non
sovviene ed il corrispettivo serbo ci è sconosciuto, ci si aiuta col croato, e
l’interlocutore apprezza lo sforzo e ci corregge nella pronuncia, per poi
attaccare un bottone infinito… Quasi dappertutto abbiamo trovato persone
disponibili, pazienti e gentili.
LA GENTE
Abbiamo notato che in terra serba non è
ancora arrivata la fisima del fisico bestiale a tutti i costi. Quindi un
qualsiasi uomo adulto e maturo, se non ha un minimo di pancia, vien visto male.
Idem dicasi per le donne: dopo la trentina-quarantina, è consentito lasciarsi
andare giusto quel po’ (ma non troppo!). Perciò attorno a noi gravita un
campionario umano omogeneamente variegato. Tantissimi bambini di tutte le età
sciamano vocianti (ma con misura). I rappresentanti del genere maschile sono
per la maggior parte degli armadi 4 stagioni e paiono pronti ad andare in
guerra da un momento all’altro. Le signore, invece, quelle nate sotto la
Jugoslavia (diciamo dai quarant’anni in su) sfoggiano imperterrite capigliature
con la solita tintura al minio; qualcuna osa anche un più sobrio melanzana;
occhi bistrati con l’eye-liner con la virgola all’insù, “cofane” in testa stile
Moira Orfei, e non manca mai di incrociare per strada qualcuna con un bel
bigodino per la frangia. Le ragazze, parecchie bellissime, sono decisamente più
sobrie! Nel complesso, la popolazione finora incontrata è decisamente migliore
di quella che si incontrava fino a circa 25 anni fa; tutti molto alti, ben
piantati e generalmente bella gente; le dentature a rastrelliera sono solamente
un pallido ricordo! Ma certe tradizioni sono dure a morire: per esempio, le
cameriere “d’antan” indossano ancora quelle terribili (ma, ahinoi, comodissime)
calzature in tela coi lacci che lasciano scoperto il tallone… Nota d’invidia: a
parte un pensionato che leggeva il giornale ed un giovane endurista, qui
nessuno porta gli occhiali da vista. Negozi di ottica ce ne sono, ma per lo più
vendono occhiali da sole. Evidentemente, dev’essere per il fatto che per secoli
hanno dovuto aguzzare lo sguardo per scorgere in tempo l’arrivo del feroce
ottomano e quindi… Nota negativa: guidano tutti spericolatamente. Il serbo al
volante è un pericolo costante; ormai non contiamo neppure più la serie
infinita di sorpassi azzardatissimi, conversioni suicide, mancate precedenze,
stop non rispettati…
FLORA, FAUNA & CEMENTO
La Serbia è un paradiso ornitologico e
pure entomologico: libellule di tutti i tipi, cervi volanti, perfino le
lucciole! Nel ruscello che scorre a Vrniačka Banja, alla sera i canti delle
ranocchie innamorate sovrastano persino i rumori dei veicoli in transito! Tutto
il nostro viaggio si è srotolato attraverso luoghi verdissimi e ricchissimi
d’acqua. Alberi di tutti i tipi, anche essenze esotiche (querce americane,
liquidambar, ecc), e immancabili i tigli in fiore, dal profumo estremamente
intenso e diverso da quello che si percepisce da noi oppure in Slovenia. Tante,
tantissime rose (passione nazionale, assieme alle cipolle) che profumano l’aria
per ogni dove (come le cipolle), assieme ai gigli, agli iris selvatici bianchi
e gialli. Gatti a vagonate, magri magri… randagismo canino sì, ma meno che in
Grecia (piaga nazionale). Se il Paese non fosse così in crisi, sicuramente le
varie municipalità riuscirebbero a valorizzare ogni singola collina:
dappertutto ci sono dei cartelli che reclamano “cose interessantissime,
importantissime, eccezionali!”, ma poi la storia finisce là, perché non ci sono
i soldi per portare il turista a vedere queste peculiarità int-imp-ecc. Perfino
i cartelli per i monasteri, vanto nonché monumenti nazionali, sono sbiaditi e
mal tenuti, per non parlare delle erbacce invadenti a bordo strada che
comunicano una sorta di abbandono del bene comune. Tante villette e villini
pretenziosi, con lavori mai finiti, in stato di abbandono oppure col cartello
“prodaja” (vendita); proprietà di comunità zingare oppure tirate su coi
proventi del contrabbando? Città, paesi e periferie si contraddistinguono
comunque per il classico stile balcanico, cioè un casino dappertutto e regole
quasi a zero.
***
Per
essere stata una destinazione da “piano B” dell’ultimo momento… bè, non è stata
un’esperienza così negativa. Spiace molto per aver trovato tanto degrado e
anche miseria dove non te l’aspetti (la Punto della polizia…), ed il mancato
senso civico in parecchie occasioni (rifiuti disseminati dappertutto, gettati
dalle auto in corsa, persino nei fontanili a bordo strada!). Il senso che se ne
ricava è di un Paese che è stato bastonato dagli eventi storici degli ultimi
trent’anni (come dimenticare le guerre fratricide culminate con il
bombardamento NATO su Belgrado nel 1999?), in alcuni angoli perfino stravolto
nel suo tessuto sociale e territoriale (Sangiaccato), annichilito da decenni di
propaganda diffamatoria, malgoverno, classe dirigente litigiosa, e che ora si
ritrova con una popolazione stanca, immiserita, che sulla scena internazionale
deve lottare per scrollarsi di dosso la nomea di “popolo cattivo” ma che,
nonostante ciò, ha ancora ben radicato il senso della famiglia (i
“piccioncini”!) e della fede cristiana (davvero fortemente sentita). Le torme
di bellissimi e sorridenti bambini che abbiamo visto dappertutto, il loro
futuro, si meritano di più di tutto ciò. Siamo convinti che, con la buona
volontà, i serbi possano farcela, come hanno dimostrato ampiamente i cugini
russi. Basta volerlo.
4 commenti:
Alcuni luoghi sono un enigma. Altri una spiegazione. Sembra perfetta questa frase di Fabrizio Caramagna che mi è venuta in mente dopo aver "viaggiato con voi in Serbia". Meta insolita e non prevista, ha squadernato centinaia di dati per noi lettori, ancora all'oscuro sugli usi e costumi della nostra Europa. Perfetta l'opzione dell'alloggio improvvisato: trovi quello che il paese offre. Solo così puoi testare l'ospitalità turistica, l'imprenditorialità, la fantasia e la voglia di ricominciare di una terra difficile. Dal bel racconto di viaggio si può intuire la "piccola voglia di Occidente" di questo mondo balcanico, unitamente alla "grande voglia levantina" di restare avvolti in un eterno bozzolo guerriero, primitivo e affascinante che niente riuscirà a scalfire. Bravi! Ci avete ancora una volta fatto viaggiare ... senza muoverci da casa nostra.....
Grazie Ugo per aver postato il tuo personale e sentito commento e per averci fatto conoscere gli aforismi di Fabrizio Caramagna, una vera sorpresa! L’alloggio improvvisato è dettato dalle necessità di viaggio, dalla stanchezza e, non ultimo, dal sottile piacere della sorpresa: prenotando in anticipo, ci toglieremmo una componente fondamentale del nostro stile di viaggio: l’incognita dell’alloggio! La Serbia, come tanti paesi balcanici, è in un eterno e precario equilibrio tra Oriente ed Occidente, in un continuo moto perpetuo, senza mai riuscire a prendere una posizione netta. Forse anche questo aspetto accentua il fascino dei Balcani. Nonostante lo scarso tempo a nostra disposizione, cerchiamo sempre di conoscere e far conoscere luoghi, paesi e rotte poco battute dal turismo classico, sì da invogliare chi ci legge a partire per queste mete ancora poco conosciute.
you make me feel like a real traveller! But: what about mosquitos? Serbia seems very moisture....
Thank you Majda, THIS is the mission of our blog: to make feel people like our travel friends! No mosquitos: it looks amazing, but maybe we were just lucky!
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