Incontri coi popoli

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Incontri coi popoli

Capo Nord 2014

8.575 Km in 18 giorni, 135 ore di guida fra 6 Stati, 3 capitali, Circolo Polare Artico, Capo Nord, 1 fuso orario, e la residenza di Babbo Natale!! 
(clicca sulla cartina per ingrandire)





Capo Nord in foto   (clicca qui)

NELLA TERRA DEI TROLL 

Nordkapp 2014

Viaggio a Capo Nord. Sshhh…. Sussuriamolo così: Caaaapo Nooord… solo a pensarlo mette addosso il brivido dell’avventura! Come gli esploratori dell’Ottocento, ci mettiamo a sognare epiche avventure in desolate terre scandinave!
Perché Capo Nord? In fin dei conti, è quell’”Occidente” che a noi poco attira. Infatti, quest’anno dovevamo approdare a ben altri e più ambiziosi lidi. Come l’Oceano Pacifico, ad esempio… e goderci l’alba di Vladivostok. E l’avvenimento dei 50 anni di Max -  traguardo simbolico ma significativo per un uomo con la strada nel sangue e l’avventura nel cuore -  era anche l’occasione per far riposare un po’ il pilota. Più precisamente, volevamo festeggiarli concedendoci un’avventura “ferroviaria” (e chi vuol intendere… intenda!).
Ma dopo oltre 4 mesi di farraginose trattative con l’agenzia, abbiamo gettato la spugna: sembra che per raggiungere Mosca in aereo (a settembre) e anche per limare un po’ il preventivo, si debba per forza fare il giro degli aeroscali di mezz’Europa, idem dicasi per il rientro da Vladivostok. Sconfortati, ma non vinti, ci siamo messi, come da tradizione, a guardare la solita carta d’Europa appesa in corridoio… I cinquant’anni sono un traguardo, una linea di confine che attraversa l’orizzonte della vita, dalla quale ripartire con frizzante slancio per un nuovo inizio. E quindi, sfumato l’orizzonte asiatico, non ci rimaneva che il “limes” europeo. Portogallo, Lisbona, l’Atlantico? Naaahh, troppo Occidente, non fa per noi! Lampedusa? Troppo a sud (e troppo facile…). Urali? Già attraversati, gente! E allora? Allora l’estremo confine nord dell’Europa, che diamine! Capo Nord!
Ed ecco che, a fine giugno, l’idea prende corpo. Ed è una sfida, perché i giorni di ferie sono, come al solito, pochini (18), e quindi sappiamo già che sarà una lunga ed ininterrotta maratona stradale per percorrere i 3.985 Km che ci separano dalla meta (e non dimentichiamoci il ritorno!).
Raccogliamo in giro informazioni circa i costi. Tutti ci confermano che la Scandinavia, in sé, è una meta piuttosto cara (e la palma dello Stato più esoso sembra che se la contendano Svezia e Norvegia, tallonate da Finlandia e Danimarca). Molti ci consigliano caldamente l’ipotesi camper almeno per risparmiare sugli alloggi, tutti ci esortano a fare il pieno di scatolette e generi alimentari pronto-uso per evitare che la vacanza si trasformi in un salasso finanziario.
E così, dopo aver ultimato l’itinerario a puntino per ottimizzare giorni/chilometri, ci facciamo un’idea del camper. Il noleggiatore dei caravan al quale ci rivolgiamo, gentilissima persona,  si prodiga ad illustrarci le meraviglie della vita “en plein air”, della totale libertà che un simile mezzo ci regala, senza considerare il fatto che in tutta la Scandinavia esiste la possibilità di sostare praticamente dappertutto senza divieti di sorta (o quasi), ed evitare di diventare matti per cercare un campeggio o comunque un posto attrezzato…. Il camper che vediamo è veramente molto bello, adatto per due/quattro persone, nuovissimo, perfetto, un delizioso appartamentino su ruote. Quelli che non ci convincono sono i numerosissimi (e, a dirla tutta, sacrosanti) paletti che il gestore applica al cliente, inclusa la perfetta pulizia con tanto di aspirapolvere prima della ri-consegna (e ciò vuol dire sacrificare almeno una mezza giornata di vacanza per restituire il mezzo lustro e lindo), nonché le forti penali per ogni mancanza.  Avendo più giorni a disposizione, non avremmo battuto ciglio, ma con i giorni contati… Decidiamo di lasciar perdere. Tanto,  ci diciamo per autoconvincerci, partiamo a fine estate, la bella stagione è ancora favorevole, non avremo difficoltà a trovare magari un campeggio con bungalow lungo le strade della Scandinavia, no? Le ultime parole famose….

L’ANDATA
SABATO 
DEUTSCHLAND über alles…?
Con il bagagliaio pieno di cibo in scatola, il primo sabato di tarda estate salpiamo alla volta dell’Austria e della Germania, dove concluderemo la prima tappa. Il viaggio procede tranquillo lungo tutto l’asse autostradale regionale, valichiamo le Alpi e siamo in Austria, con una leggera pioviggine. Piccola sosta per l’acquisto della vignetta e proseguiamo alla volta di Salisburgo. Non ci è chiaro perché dobbiamo pagare un ulteriore pedaggio nel tratto di autostrada che attraversa i Tauri (11,00 €), quando già abbiamo versato 8,50 € per la vignetta settimanale… Superata Salisburgo, incrociamo un cartello che indica il paesotto di Braunau… Inevitabile il mentale rimando al villaggio natìo di un certo Hitler Adolf, fu Alois. Scolliniamo e siamo già in Germania; vediamo le indicazioni che portano a Berchtesgaden, il Nido d’Aquila… nonostante il paesaggio da cartolina, questi nomi riportano alla mente sinistre memorie storiche. Entriamo così nel Land più grande di tutta la Germania, la verdissima Baviera (Bayern). Per Max (scali aerei di due anni fa a parte) è la prima volta, per me è la seconda, a distanza di 25 anni; era novembre, molta nebbia e buio, il paesaggio non così gaio e vivido. Ora, con la luce del sole pomeridiano, ci appare splendida. Incantevoli paesini incastonati tra i monti, campagne curate, attenzione per il paesaggio, e la lingua tedesca che, se  per Max è poco più familiare dell’ostrogoto, per me evoca reminiscenze di una vita precedente. E, über alles, quella Gemütlichkeit, ostico termine che… spiegherò al ritorno!
L’autostrada germanica si snoda, quasi a perdita d’occhio, tra filari e filari di coltivazioni di luppolo  maturo, ingrediente indispensabile per la produzione della rinomata birra, luppolo così pregiato che viene esportato ai quattro angoli del mondo. I campi sono attigui all’autostrada ed abbiamo modo di osservarli con attenzione, a velocità di crociera, anzi, quasi a passo d’uomo… Com’è noto, le autostrade in Germania sono gratuite e non ci sono limiti di velocità. Ma, con la bella stagione, le autobahn diventano un immenso cantiere. Dal confine austriaco, almeno fino a Norimberga, un traffico pazzesco ci obbliga a continui rallentamenti, salti di corsia, deviazioni, scavalcamenti di cantieri aperti per ogni dove, lavori in corso che sembrano infiniti e che obbligano a mantenere velocità improponibili (anche 40 km/h in certi punti) esasperando gli automobilisti, che infatti corrono nonostante i divieti e sembrano tutti schegge impazzite. E’proprio vero che per guidare qui ci vogliono nervi d’acciaio. E, giocoforza, ci sono anche degli incidenti, uno dei quali con esito fatale, a giudicare dal groviglio di vetture (ne ho contate tre, fuse assieme) e dalle autoambulanze e camion di pompieri. Da Norimberga in poi i cantieri diminuiscono e si può viaggiare senza limiti. Uno strazio, comunque, anche per il caldo, un tantino fastidioso. Un lato positivo di queste autostrade, però, è la totale assenza di antiestetici cartelloni pubblicitari, eccettuati quelli turistici (tutti uguali, crema/marroni) relativi alle città d’arte o ai parchi naturali. In tal modo si percorrono km su km e lo sguardo spazia attraverso il paesaggio riposante, senza inopportune interferenze pubblicitarie. Si avvicina l’ora di cena, e dobbiamo cercare un posto dove dormire. L’impresa si fa ardua, non perché manchi l’offerta, tutt’altro, ma perché sembra che qui si risparmi sull’illuminazione pubblica e i cartelli che indicano alberghetti o gasthof sono molto piccoli e tutti di color marrone; nella fioca luce dell’imbrunire, individuarli dall’auto in movimento è una bella sfida. Finalmente ne troviamo uno a Bayreuth, un piccolo centro antico dell’alta Baviera, cittadina un po’ smunta e scura, coi nomi delle vie scritti in gotico, famosa perché in estate si tiene il festival wagneriano. L’hotel “Goldener Hirsch” (al Cervo d’Oro) è un simpatico hotel a gestione familiare fin dal 1920. La receptionist è una simpatica e pacioccona signora stampo frau Merkel, in costume tradizionale bavarese guarnito da micidiali sandali tipo Birkenstock coi calzini bianchi… eh, sì, siamo proprio in Germania! Con prima colazione e parcheggio, la camera ci costa 115,00 €, che sembrerebbero un’esosità, ma considerando che la camera è in effetti un appartamentino con angolo cottura, con tutti i comfort e modernità (abat-jour azionati dal soft-touch…). Ceniamo poco distante, al gasthof “Grüner Baum” (all’Albero Verde), severa costruzione ottocentesca ingentilita da un enorme tiglio in giardino. Ovviamente, essendo un centro “wagneriano” anche i piatti proposti dal locale sono tutti ispirati alle opere di Wagner… e quindi vai col piatto “Parsifal”, cioè salsicce chiare pepate, crauti col ginepro, pane di segale, senape, patatine e, ovviamente, ottime birre locali. Avendo fatto tutta una tirata da stamattina, la fame si è fatta sentire! Nonostante la movida del sabato sera proprio sotto alle nostre finestre, riusciamo ugualmente a prender sonno, cullati dai piumini in un letto che sembra una piazza d’armi.

Domenica
Approfittiamo dell’abbondante buffet per una colazione con tutti i crismi. Destinazione Rostok, sul Baltico, dove passeremo la notte per poi prendere il traghetto per la Danimarca. Lasciamo la Baviera e le sue dolci colline per attraversare le pianure della Turingia (Thüringen), ex Germania Est. Si nota che siamo nella ex DDR solo perché le industrie lasciano il posto ad una comunità più agricola che industriale. Residui della “Cortina di Ferro” appaiono ancora a sprazzi nella campagna, sotto forma di brandelli di reticolati e filo spinato.
Anche qui campi a perdita d’occhio e selve di pannelli fotovoltaici e pale eoliche, roba che noi ce la sogniamo. I Länder (Turingia, Sassonia e Bassa Sassonia, Brandeburgo, Meclenburgo-Pomerania) si susseguono tutti e, nonostante sia domenica, tentiamo di destreggiarci fra il traffico impossibile e la guida sregolata dei tedeschi (e non solo), esasperati dai continui cantieri. Il paesaggio da collinare si fa piattissimo, mentre appena verso il Brandeburgo si intravvedono timide colline moreniche, relitti dell’ultima glaciazione. Qua e là il solito cartello turistico crema/marron che decanta le particolarità del luogo (la casa natale della moglie di Dürer, la patria di Lutero, i parchi nazionali, ecc) che invitano a deviare per una rilassante sosta. Di tempo per fermarci proprio non ne abbiamo, però, in questi lunghi km di autostrada, si coglie quello spirito del pellegrino che invita a fermarsi un attimo e riprendere fiato. Numerosissimi sono i circuiti ciclo-pedonali e parecchi sono i gitanti e i ciclo-turisti che affrontano i sentieri che si srotolano in questo paesaggio verdissimo e tranquillo, attiguo eppur lontano dal traffico autostradale e dallo stress in genere. Se il tedesco, sulle locali autobahn corre come un matto, sulle ciclo-pedonali ha modo di rilassarsi e riprendersi dallo stress della guida. Sembra veramente un territorio a misura d’uomo, sicuramente a misura di anziano e bambino. Ho deciso: quando saremo vecchi e non avremo più voglia di macinare km in auto, verremo qui e, mentre Max si godrà le terme e si farà fare i massaggi da qualche florida fräulein, io assaporerò finalmente la Germania come piace a me: a piedi! (Max dissente… J).
Nei pressi di Berlino tentiamo di prendere il ring esterno, ma causa continui lavori e deviazioni fuori rotta, finiamo per forza in centro città e ci mettiamo oltre un’ora per uscirne. Di primo pomeriggio attraversiamo l’ultimo Land dell’andata, cioè il Mecklenburg-Vorpommern (Meclenburgo-Pomerania, l’antica Prussia) e verso le 18.00 siamo a Rostock, sul mar Baltico. In teoria dovremmo passare una notte qui, ma visto che è presto per cercare un albergo, ne approfittiamo per una capatina al porto ad informarci sugli orari dei traghetti per la Danimarca. Uno è appena partito, ma il prossimo parte alle 20.00. Decidiamo di avvantaggiarci sulla tappa di domani, perciò alle 19.00 sbrighiamo il check-in (112 € sola andata) e, col biglietto in mano, attendiamo il nostro turno direttamente sul molo. Ci guardiamo attorno, pioviggina a tratti ma non fa freddo. Alle 19.45 il Prins Joachim della Scandlines si avvicina alla banchina per l’attracco. Osserviamo chi si imbarcherà con noi; parecchie facce zingare, poi polacchi, tedeschi, danesi, qualche svedese, cicloturisti inglesi, e osserviamo chi sbarca: grosso modo le stesse nazionalità, diversi camper e roulotte, molti turisti a piedi o in bicicletta. E’ il nostro turno, il traghetto della compagnia danese sembra la balena di Pinocchio e, molto celermente, ci inghiotte tutti. Ci accomodiamo nella sala di uno dei ponti con vista mare; ormai sono le 20.00 passate, e si fa buio. Con qualche fischio di sirena, ci stacchiamo dal molo e diciamo arrivederci alla patria dei teutoni per fare rotta nella patria dei vichinghi. Il natante è strapieno di gente, sono le 21.00 e ci viene fame. Vado perciò  a cercare un boccone, ma sembra che invece di passeggeri, la nave sia piena di cavallette fameliche: quando arrivo ai self-servis, non c’è rimasto nulla! Non mi resta che ripiegare su una specie di bar (già con la serranda quasi abbassata) che offre hot dog e birre in lattina; e così, con due striminziti würstel scaldati al microonde e Carlsberg da 0,33, consumiamo la nostra prima cena danese, cullati dal lieve rombare dei motori della sala macchine.

DANIMARCA, la grande piattezza. 
Alle 22.00 sbarchiamo sull’arcipelago danese, precisamente a Gedser, sull’isola di Falster. Anche se è buio, la piattezza del territorio la si intuisce ugualmente. I nostri fari abbaglianti illuminano con facilità anche i cartelli stradali più distanti, tanto non ci sono curve o dossi a mascherarne l’esistenza. Attraversiamo la campagna bagnata dal mare, ma dimenticarsi l’odore di salsedine; il Baltico offre aromi  freschi di umido, piante, menta, alghe, sabbia bagnata. Piove, fa ancora piuttosto caldo (18°), ma le previsioni viste sul tabellone luminoso a Rostock davano tempo in miglioramento. A Nykøping, sempre isola di Falster, troviamo alloggio all’hotel… Falster (quando si dice la fantasia danese), per 650 corone (circa 85,00 €).

Lunedì 
Alloggio niente male, colazione nella saletta ricavata da un container; quello che ricorderemo a lungo, saranno i formaggi danesi: tra i tanti, segnaliamo un cubo di latticino a metà strada tra il taleggio e il fontina, meravigliosamente gustoso e iper-calorico, da tagliare a fettine a mezzo di una specie di filo d’acciaio sistemato su un perno a vite (tipo una girolle) che si fa scorrere al di sopra del cubo; ogni giro, una fetta… Ad un certo punto, ci siamo fermati perché sembrava che non avessimo mai visto un formaggio in vista nostra…!
Satolli, ci mettiamo in marcia alla volta della Svezia, via Copenhagen; campagna verdissima e “grassa”, cioè si intuisce che le terre sono molto fertili; le casette sono caratteristiche, quasi tutte ad un solo piano, di vari colori, e sembrano uscite tutte da una scatola di Lego; ogni tanto spunta un mulino a vento, e tra mucche e pecore, pascolano perfino i caprioli! Superiamo la capitale danese per imboccare il ponte sull’Øresund che ci porterà fino a Malmö, in Svezia. Che meraviglia! La prima parte del ponte la si percorre… sott’acqua! Dopo pochi km di galleria subacquea sbuchiamo all’aperto e siamo ormai sul braccio di mare che separa l’arcipelago danese dal sud della penisola scandinava; il sole alto crea fantastici riflessi sul mare e gioca con le strutture metalliche del ponte; dappertutto, file di impianti eolici “off-shore”, e ci chiediamo quanto, alla fin fine, tra manutenzione e trasporto di elettricità, facciano risparmiare sulla bolletta elettrica. Sicuramente, danno un tocco di “movimento” in questo nulla fatto di mare e cielo che si fondono in un orizzonte infinito. Un’ultima infilata di cavi d’acciaio, e sbarchiamo in Svezia, dopo aver pagato il pedaggio (64,00 €).

SVEZIA, l’educata in estinzione. 
Piccola sosta in una piazzola autostradale (anche qui, autostrade gratis, ma decisamente più scorrevoli) e proseguiamo in terra scandinava, nella regione di Skåne (la più nota Scania). Speravamo di trovare un cambia valute, o almeno una banca appena oltre confine, invece nulla di nulla.
Ci lasciamo alle spalle il mare, ora a far da quinta ci sono continui filari di abeti, betulle, pini, aceri, ancora abeti, betulle, pini e via così all’infinito. Ci entusiasmiamo per il traffico scorrevole, per i tanti laghetti e corsi d’acqua che punteggiano la campagna verdissima, le caratteristiche casette di legno rosse dagli infissi bianchi… Sono tanto carine, trasmettono l’idea di una vita semplice, frugale, ma al tempo stesso sembrano accoglienti… Campi da golf ovunque, un’infinità di cavalli al pascolo, anche atleti, protetti dall’umidità con eleganti gualdrappe e trattati con tutti i riguardi.
Ma, mentre scorrono veloci e rilassanti centinaia di km, ci rendiamo conto di incontrare sempre la medesima campagna, le stesse foreste, gli stessi fiumi e laghi, idem per il paesaggio urbano e rurale, le stesse identiche casette rosse… 2.000 e passa km di Svezia, e ti accorgi che di queste casette, vista una, viste tutte. Inevitabile il rimando a casa nostra: ti basta percorrere un centinaio di km in Italia e torni a casa stordito da troppa roba vista (…e mangiata!). La creatività architettonica rurale svedese forse non è proprio il loro forte.
All’ora di pranzo cerchiamo un posto dove fermarci per un boccone. Usciamo dall’autostrada e ci dirigiamo verso un paesino che sembra uscito dai racconti di Astrid Lindgren; tutto lindo, pulitissimo, ordinato; vediamo un ragazzo, con giubbino fluo e cuffiette, intento a raccogliere le cartacce con un bastone a pinza; a ritmo di musica, passa la sua giornata a raccogliere rarissimi rifiuti; sicuramente non avanzerà pretese di indennizzo per “mestiere usurante”…. Parcheggiamo in uno spiazzo davanti ad una piscina vuota di un centro estivo ormai chiuso. Per cercare il nostro “pranzo” dobbiamo ribaltare mezzo bagagliaio, e per far ciò bisogna scaricare parte dei bagagli in strada. Primo contatto con il popolo svedese; un ragazzo che passa di lì ci saluta educatamente, e non si fa minimamente un problema di questi due stranieri che hanno scaricato bagagli e scatoloni e si apprestano a pranzare in piedi con delle scatolette; come appureremo in seguito, gli scandinavi sono un popolo molto educato, riservato, e che si fa, educatamente, i fatti propri. Riempito (si fa per dire) lo stomaco, ne approfittiamo per cercare una banca dove cambiare gli euro. Dopo un paio di giri per il paesino lindo&pinto, troviamo la banca. Ma, sorpresa, alla porta è attaccato un foglio che recita in inglese  “non si cambia valuta straniera”. Simpaticoni! Perplessi, ci rimettiamo in marcia verso nord. Tentiamo di fare il pieno di gasolio. Tentiamo, appunto. Qui la vita gira a ritmo di carta di credito. E tutte le pompe funzionano solamente se inserisci una qualsiasi tessera bancaria. Ma attenzione: certe pompe accettano solamente carte munite di chip; e quindi: no chip, no fuel! Ed hai voglia a perder tempo per cercarne una che accetti carta senza chip…
Sempre più perplessi, cerchiamo un camping per la serata (ne abbiamo visti parecchi lungo la strada). Ma, ennesima sorpresa! Chiudono tutti molto presto. Nonostante il sole non sia ancora tramontato, con notevole disappunto ci accorgiamo che i campeggi chiudono tutti tra le 17.00 e le 18.00 nei feriali. In quello che offre anche i bungalow ci arriviamo alle 18.40. Troppo tardi. Cominciamo ad intuire perché i turisti vengono fin quassù in camper…
Preda di una perplessità senza fine, ci dirigiamo verso la cittadina di Mariestad, e troviamo alloggio all’hotel Vänerport, con vista lago (enorme). Visto da fuori sembra una delle tante abitazioni in doghe di legno chiaro, sobrie e dignitose ma, appena messo piede all’interno, ci appare evidente che si tratta di un “hôtel de charme” e che forse il prezzo non sarà altrettanto sobrio e dignitoso…. Lo stile gustaviano si annuncia già dalle scale in legno color panna e dagli arredi austeri e signorili, sempre in legno chiaro. Ci si fa incontro la receptionist, bella signora dai tratti solidi, che ci illustra il prezzo (1.250 corone, circa 136,00 €) e gli orari per la prima colazione… che vuoi farci? Ormai siamo qui, siamo stanchi e non ci resta che dirle di sì… Considerando che siamo senza valuta locale e considerando altresì che un collega di Max, poche settimane prima, a Stoccolma per una pizza e due birre aveva speso la bellezza di 70,00 €, decidiamo che faremo una bella cenetta romantica in camera! Sì, ma vuoi mettere… che camera? Sempre stile gustaviano, ma reinterpretato in chiave moderna, tutto sui toni dall’avorio al caffè, con tappeto marron di pelliccia (sintetica), plaid di pelliccia (ecologica), tappezzeria beige a striscioni e, coup de théâtre, splendidi abat-jour di tela rivestita da piume di germano reale… Il tutto in un trionfo di stucchi dorati, poltrone pompose, lampadari a goccia… In questo scenario teatral-kitsch, la nostra cena a sgombro e Manzotin ci appare proprio… très chic!
Ultima nota di colore locale: ceniamo guardando i programmi offerti dalla tv svedese. Vuoi imparare la lingua guardando la TV? Impossibile: la maggior parte dei canali nazionali offre programmi in lingua inglese (con sottotitoli) o norvegese (idem). E persino le soap opera svedesi hanno i colori smorti che vediamo attorno a noi. Ci assale un senso di inquietudine…

Martedì 
Dalle nostre finestre vediamo il lago che emerge dalle brume mattutine. Prepariamo i bagagli e scendiamo per la colazione, i nostri passi attutiti da morbidi tappeti sparsi dappertutto. Quella che ci si para davanti non è una sala da colazione, è il rifugio segreto di Pantagruel. Sui tavoli agghindati con belle tovaglie bianche, troneggiano un’infilata di alzate e alzatine che offrono trionfalmente ogni tipo di frutta esistente al mondo; bè, passi la frutta, è bella da vedere e sana per la colazione. Ma, abbiate pazienza, il buffet che questo “charme hotel” offre vale davvero la pena di essere raccontato. Si parte con: le classiche polpettine svedesi (calde, ovvio) e würstel mignon (caldi), mezze uova sode condite con aneto fresco, due tipi diversi di salmone affumicato, due tipi di prosciutto cotto, uno di prosciutto crudo e uno di salame, tre tipi di formaggio compreso una specie di brie da tagliarsi a volontà, 4 tipi di pane fresco diversi, 5 varietà di tè, latte caldo e freddo, caffè all’americana, succo d’arancia, di mela, di frutti rossi, brocca d’acqua col lime, macedonia, miele, marmellate, burro, margarina, 3 salse diverse per il cibo salato, 5 varietà di cereali, jogurt bianco e alla frutta, pomodori, cetrioli, cestini con innumerevoli tipi di crackers ai cereali, e non possono mancare i vassoi con i dolci, tanti…. Mancava soltanto l’arrosto con le patate, e poi la colazione era al completo. Quasi quasi al posto del tè pensiamo di prenderci una birra… sì, c’è anche quella, nel frigo apposito… Non ci resta che accomodarci su gustaviane poltrone e approfittarne: una pantagruelica colazione fa in modo che a pranzo si possa solo fare un micro spuntino, in modo da non perdere tempo e ore preziose di luce, e rimandando la fatidica scatoletta alla cena…
Sazi e felici, rotoliamo in auto e, seguendo la bussola che indica il grande Nord, siamo pronti a macinare altri km su strade e statali. Prima di imboccare l’autostrada (semideserta), attraversiamo diverse cittadine, ed osserviamo il viavai di gente; ci chiediamo dove siano finiti gli svedesi: l’autista dell’autobus è eritreo, gli operai stradali zingari, il pizzaiolo mediorientale, il benzinaio sudamericano… in giro si vedono perlopiù persone basse e scure… Diversi sono i nuclei familiari provenienti chiaramente dal Corno d’Africa, e negli sguardi di queste genti, in abiti tradizionali, si coglie lo spaesamento. Tanti, forse troppi stranieri totalmente avulsi da ciò che li circonda, e si intuisce che non c’è integrazione, sistemati là da logiche governative che sfuggono alla nostra comprensione, ma certamente molto chiare a chi tira i fili della politica…. Solvy Stubing, dove sei?
Proseguiamo, direzione Jokkmokk (Circolo Polare Artico!) e Gällivare; man mano che si sale verso nord il traffico diminuisce, fino a quasi scomparire del tutto e con esso, pare, l’umanità.
On the road, noi e la strada, e la foresta boreale a far da spettatrice. Se da un lato l’essere da soli per km ci entusiasma (niente stress da traffico, aria pura, foreste infinite), dall’altro incute un senso di straniamento; anche qui, tante le analogie con la Siberia da noi esplorata anni fa: migliaia di km in un nulla fatto solo di asfalto e foresta e, ogni tanto, giusto per ricordarci che siamo sul pianeta Terra e non su Saturno, un’automobile o un camion. Le lunghe, tranquille ore trascorse sull’asfalto ci consentono di riflettere meglio e di farci un’idea di questo Stato: l’impressione è quella di un Paese asettico, dove tutto è fin troppo pulito, ordinato, silenzioso, e nessuno si sporca le mani con i soldi perché gira tutto a credit card. E se qualcuno proprio si ostina a voler usare il contante (tipo lo straniero dal benzinaio), il resto non te lo dà in mano il cassiere, ma ti arriva automaticamente attraverso una cassettiera posta sotto al banco cassa. Qui si macinano chilometri, ma luoghi di ristoro pochi (sospettiamo che i camionisti si portino il cibo da casa). Posti per dormire, un’impresa trovarli. Gli unici esercizi sempre aperti dove ci si può fermare per un boccone sono i McDonald, i McDrive addirittura i McHotel. Altrimenti, Burger’s King. Lo stile di vita statunitense va per la maggiore. Ma non esiste nulla di svedese, qui? In questo solitario universo molto yankee e poco swedish, credevamo almeno di trovare qualche spiritosaggine “vichinga”: per esempio, un’insegna col drakkar, oppure l’elmo con corna o trecce, tanto per dire “Ehi, siamo scandinavi!”. Nulla di tutto ciò.
Volendo fare un paragone con la Russia: in Siberia il paesaggio è identico, le distanze pure; però in Russia non solo puoi pagare anche in contanti dappertutto, ma non c’è pericolo di morire di fame o di sete per strada (e sì che, verso est,  ci sono centinaia di km da un posto abitato all’altro!) né di rimanere senza gasolio o di non trovare da dormire; magari un buco, ma un tetto si trova ovunque, ed aperto 24 su 24! E le banche non si fanno problemi a “change money”.
Qui, dopo ore ed ore di strada deserta e di foresta, ti viene il dubbio di non sapere dove sei.
Il “nulla” nel quale ci immergiamo, tuttavia, ci dà modo di riflettere sul significato del muovere verso Nord; dalla luce violenta del Mezzogiorno si passa alle atmosfere crepuscolari del Settentrione, ed è come una metafora della vita; dalla solare estroversione giovanile, alla più cupa introspezione della maturità.
Complice anche il silenzio, davvero “boreale”, mano a mano che ci lasciamo il Sud alle nostre spalle, così mano a mano ci sembra di spogliarci da tutto ciò che è vanesio e superfluo; mondati dalle distrazioni, è più facile approdare alla contemplazione e alla riflessione su quello che, forse, significa il viaggio: andare incontro a noi stessi.
Nonostante la pantagruelica colazione, all’ora di pranzo le nostre elucubrazioni bergmanniane vengono messe da parte causa un brontolio allo stomaco; decidiamo di fare una piccola pausa su un pontile galleggiante, che si specchia in uno degli innumerevoli laghetti della regione dello Jämtland, in compagnia di tre anatre ciarliere. Siamo sempre soli, immersi in un silenzio quasi irreale. Traffico praticamente nullo. Respiriamo aria purissima a pieni polmoni, e non solo l’olfatto si affina (non c’è nulla di inquinante in giro), ma, nel silenzio totale, si affina anche l’udito. La civiltà sembra quasi scomparsa.
Poco prima di ripartire, vicino alla nostra auto si ferma un camper e ne escono due coniugi anziani. Finalmente due svedesi veri! Alti, inequivocabili lineamenti scandinavi, pelle chiara e rosata, occhi blu. Il signore ci attacca bottone (in inglese) e così veniamo a sapere che lui sta giusto tornando da Capo Nord, ci chiede da dove veniamo e ci racconta che in Italia c’è stato circa 30 anni fa, col camper e i figli piccoli, e hanno visto anche Roma (bellissima, dice lui, e concordiamo). Ci chiede qual è la meta del nostro viaggio e quanti km sono dall’Italia a Capo Nord, commenta che sono tanti, allora gli mostriamo l’adesivo “Siberia 2008”; sono ancora di più! Si entusiasma e conclude che siamo tutti dei “big travelers!”.  Sì, pur nel nostro piccolo, ci sentiamo dei grandi viaggiatori!
Verso il tardo pomeriggio cerchiamo nuovamente una sistemazione per la notte. In ore di strada non riusciamo a scorgere nulla, poi, nei pressi della città di Östersund, ecco l’indicazione camping, e sono ormai le 19.00. Peccato che la reception del campeggio apra dalle 13.00 alle 16.00….. Non ci resta che ripiegare sul motel adiacente, della onnipresente catena Scandic. Per la bellezza di 1.490 corone (circa 162,00 €!) ci offrono una camera microscopica al pianterreno con vista sugli altri tre lati del motel, con letti separati, senza un frigo bar né una bottiglietta d’acqua, però con una barretta di cioccolato alle nocciole in omaggio… Ovviamente, frugale cena in camera con le nostre scatolette.

Mercoledì 
Ancora bastonati per il salasso, ci riprendiamo con una ricca colazione ed io faccio man bassa di gustose gallette ai cereali, che userò come pane per il consueto pranzo al sacco.
In macchina, sempre immersi nell’ordinata campagna, ci imbattiamo in una coppia di gru cenerine che sta facendo colazione con le cavallette, in un prato falciato da poco. Splendide! Queste sì, che sono le vere, grandi viaggiatrici! Il paesaggio prosegue praticamente uguale, un alternarsi di campagna, taiga mista, laghi e fiumi più o meno larghi. Traffico al minimo, ma nonostante la monotonia del paesaggio, ci pervade ormai un senso di tranquillità e serenità, unito alla sensazione, in qualche tratto, di essere i soli al mondo a passare di qua. Finalmente, alle ore 11.45, dopo 2.700 km da casa nostra, il primo traguardo importante! Entriamo nella regione del Västerbotten, comune di Dorotea, e cioè LAPPONIA SVEDESE! Parcheggiamo accanto al tabellone stradale, tra funghi giganteschi e mirtilli rossi. Silenzio e aria pura fanno da cornice al nostro entusiasmo! Riprendiamo la marcia, e pochi km più avanti ecco che appare un’altra indicazione che recita “Lappland”, ma stavolta è decisamente più consona con l’ambiente: una palizzata di tronchi di pino stile totem, con sopra, scolpiti nel legno, gli animali tipici della regione: un orso, due rapaci e un gufo reale, a far da arcigni guardiani. Merita uno scatto! E mentre documentiamo la tappa, la magia del luogo viene ulteriormente amplificata da un branco di lupi che si lanciano sonori richiami da una collina all’altra! Ma come si fa a proseguire? Vorremmo rimanere qua a farci una chiacchierata! Sospirando, risaliamo a bordo, sorpassiamo Vilhelmina, Storuman, Arvidsjaur (almeno i nomi delle località sembrano più… vichinghi), incrociamo anche una “Huskyfarm” (logicamente chiusa, in attesa della neve) e rimaniamo incantati da una casetta sul lago (rossa e bianca, ça va sans dire) con barbecue a filo d’acqua, talmente deliziosa da meritarsi una foto. Ma le miriadi di zanzare che in estate infestano queste zone, permetteranno di godersi il barbecue in giardino? Boh… Altra chilometrica strada deserta, ora cambiamo regione e siamo nel nord della Svezia; il Norrbotten si presenta come un’infilata di laghi, laghetti e corsi d’acqua ovunque ed…. eloquenti cartelli “occhio all’alce”! Finalmente! E speriamo tanto di vederlo, il simbolo della Svezia! Si vede che ormai siamo entrati nel “Grande Nord”: i tir montano tutti, sul muso, una struttura metallica tubolare e a rete, che altro non è che un “para alci”, precauzione indispensabile per evitare danni, in caso di investimento di questo enorme animale.
Pur quasi impercettibilmente, il paesaggio è mutato. Le foreste sono più fitte, il verde più intenso, il sottobosco rigoglioso e pieno di frutti, muschi alti e soffici si contendono lo spazio con affioramenti rocciosi ricoperti da licheni crostosi. E perfino i licheni sono diversi, ed è difficilissimo descriverne il colore: dal verderame chiarissimo al bianco verdastro, come una luce neon, e sono dappertutto anche a bordo strada, creando lo straniante effetto di “nevicata” anzitempo.
I km si susseguono veloci, traffico come al solito quasi nullo. Verso le 17.00, in località Moskosel, adocchiamo un cartello “camping” e ci infiliamo verso sinistra. Il campeggio (aperto!) è, manco a dirsi, su un lago e, per 66,34 €, ci danno un delizioso chalet (legno rosso, of course) per 4 persone a pochi metri dalla spiaggia, interno in legno di pino, letti a castello, bel tavolo rustico con simpatiche margherite (finte) e tendine di pizzo alle finestre. Servizi, logicamente, spartani e in comune, ma tutto molto pulito e curato. Ormai come turisti siamo in quattro gatti e, appena calata la sera, un silenzio “nordico” avvolge il campeggio, interrotto dal richiamo di qualche gufo. Ci gustiamo la nostra cena a base di insalate di riso e dessert di frutta sciroppata e ci buttiamo a nanna; domani ci aspetta un’altra lunga tappa.

Giovedì 
Fatta colazione nel nostro delizioso chalet, osservando il navigare dei cigni selvatici in lontananza sul lago, ci mettiamo subito in marcia, destinazione Circolo Polare Artico! Alle 9.00, sulla strada per Jokkmokk, vediamo dei puntini all’orizzonte… i puntini si fanno numerosi ed attraversano la carreggiata da destra a sinistra… ma sono… RENNE! Finalmente! Ci avviciniamo con l’auto, piano per non spaventarle, per strada non c’è anima viva ma, nemmeno farlo apposta, dalla carreggiata opposta spunta un’utilitaria dalla vivace andatura, che spaventa le bestie, sparpagliandole tra carreggiata e bosco. Niente paura, passata l’utilitaria, il branco si riunisce e ci osserva mentre accostiamo a bordo strada. Sono così vicine che udiamo distintamente il graffiare degli zoccoli sull’asfalto. Ci stupiamo del rumore, perché solitamente gli ungulati che incontriamo noi (cervi e caprioli) producono suoni attutiti quando calpestano l’asfalto, in virtù della suola elastica dei cuscinetti retrostanti lo zoccolo vero e proprio. Le renne, invece, hanno sì dei cuscinetti elastici, ma lo zoccolo è molto più grande ed estremamente duro ed affilato, adatto a graffiare e scavare nella neve e nel ghiaccio alla ricerca di cibo. Ci fermiamo per un po’ ad osservarle (o forse è il contrario, a giudicare dai musi incuriositi). Sono bellissime! Le prime renne della nostra vita! Il pelame è ancora estivo, sia femmine che maschi hanno le corna; il mantello va dal grigio chiaro al marrone scurissimo, al di fuori del posteriore che è sempre chiaro. Le corna sono ancora ricoperte dalla soffice membrana chiamata velluto. Probabilmente tra qualche giorno si staccherà, rivelando l’anima ossea del corno. Non ci stanchiamo di guardare questi “musotti”, ne siamo incantati. La renna non ha il musino affilato e l’aria da “Bambi” del capriolo, né la nobiltà e la fierezza di portamento del cervo nobile; ha un muso da peluche, forse complice il naso dalle ampie narici mobili e la sommità del muso un po’ squadrata, che le danno un’aria buffa ed innocua. I grandi occhi scuri e liquidi trasmettono tenerezza. Sono davvero animali meravigliosi. Noi osserviamo loro e loro osservano noi, chiedendosi che intenzioni abbiamo. Alla fine, decidono di averne abbastanza e, guidate dal capo branco, si raggruppano per rituffarsi nella foresta, alla ricerca di cibo. Le abbiamo incontrate per solo 5 minuti, ma ci sono sembrate ore, tanto è stato emozionante. Queste renne, come quasi tutte nell’intera Scandinavia e in Russia, sono allevate allo stato semi-brado, dalla primavera all’autunno pascolano libere e d’inverno vengono radunate per la marchiatura e la macellazione. Sono di proprietà del popolo Lappone, che in realtà si chiama Sami e fino a una cinquantina d’anni fa conduceva vita nomade. Le renne, e tutta l’intera economia che vi ruota attorno e che dava da vivere alla comunità Sami, hanno rischiato seriamente di scomparire all’indomani della tragedia della centrale atomica di Černobyl, avvenuta il 26.4.86; la nube radioattiva, spostandosi verso Ovest, aveva pesantemente contaminato i licheni ed i funghi, unica fonte di cibo delle renne. Già uno studio svedese di parecchi anni prima della catastrofe, aveva evidenziato che proprio i “licheni delle renne” sono in grado di raccogliere selettivamente particelle radioattive vaganti nell’aria, a seguito di esperimenti atomici. Entrando nella catena alimentare, la radioattività aveva finito per contaminare le renne e tutti i loro sottoprodotti, siano essi carne o latte, fino a raggiungere l’ultimo anello della catena, l’uomo che se ne cibava. Dal governo svedese fu imposto alla comunità Sami il divieto di mangiare carne di renna e il divieto di venderla. Secondo le prime rilevazioni, le renne erano contaminate da un minimo di 3.750 Becquerel fino ad un massimo di 21.300; il governo svedese ne fissava il limite a 300 (la Norvegia 600 e la Finlandia 1000). Fu una tragedia. Circa 75.000 renne furono abbattute. Appena nell’anno 2000 il governo svedese si rese conto che il limite allora fissato fu troppo restrittivo, ed il risultato di questa assurda decisione fu che migliaia di capi furono abbattuti per niente. Per la locale comunità Sami fu un altro duro colpo, dopo l’interdizione al pascolo di interi territori perché il governo aveva bisogno di legname, e le foreste non potevano essere a disposizione delle renne. Ora, guardandole trottare libere e all’apparenza sane, non si fa fatica a comprendere la disperazione di un popolo che ha basato tutta la propria esistenza su queste bestie meravigliose e che, di colpo, ne viene privato.
Ancora storditi dal meraviglioso e fantastico incontro, proseguiamo sulla E45, nella quasi totale solitudine. Tanta foresta, su una altura ci fermiamo ad ammirare la mitica taiga, antica parola russa che è sinonimo di foresta boreale di conifere; qua e là qualche betulla dorata occhieggia nel verde cupo delle fittissime pinete e peccete. E finalmente, sotto un cielo cupo di metà mattina, vediamo il cartello che recita “Polcirkelns Motorbana Jokkmokk”. Ci siamo, abbiamo raggiunto il Circolo Polare Artico! Ancora una manciata di km ed eccoci al Circolo vero e proprio! Un cartello in 5 lingue ci spiega “cos’è”; purtroppo, la stagione tarda non ci consente di vedere il sole di mezzanotte (fenomeno qui visibile circa tra i primi giorni di giugno fino a circa i primi di luglio); la stagione avanzata (sempre secondo gli standard svedesi) non ci consente nemmeno la visita del locale negozietto di souvenir. Un avviso dalla tipica semplicità scandinava (cioè foglio di quaderno vergato a pennarello) attaccato alla porta a vetri del negozietto recita “Stängt/Closed season’s over”. Ci guardiamo attorno, ci siamo noi, un camper con una coppia, un paio di auto, una moto… d’accordo, non saremo una folla, ma sempre gente che avrebbe speso volentieri qualche corona per l’immancabile souvenir “polare”…. Siamo sempre più perplessi circa l’accoglienza turistica svedese. Possibile che a fine estate la stagione sia già finita? Mah… Foto di rito e… brindisi! Caspita, abbiamo percorso la bellezza di 3.610 km, vuoi non fare un brindisi con un prosecchino? E così, nella fresca aria “circumpolare” stappiamo le due bottigliette e brindiamo all’impresa! E pensare che 6 giorni prima eravamo ancora a casa nostra! Ci prendiamo un paio d’ore di pausa, giusto per leggere qualche cartellone esplicativo ed ammirare il paesaggio nordico. La vera ricchezza di questo Paese è la natura:  un’autentica e quasi incontaminata “wilderness” e ancora tanti fiori (a dispetto della… “fine stagione”). Lasciamo che lo sguardo si posi sulle incredibili tinte che la “ruska” (cioè il fugace fenomeno del repentino rosseggiare delle foglie autunnali) è in grado di produrre; siamo veramente fortunati, forse è proprio questo il momento più bello per apprezzare pienamente la natura che qui si manifesta in tutta la sua magnificenza.
Risaliamo in auto, dobbiamo raggiungere la Norvegia prima che faccia buio. Superiamo Gällivare e, sempre seguendo la E45, a metà pomeriggio arriviamo alla cittadina di Karesuando/Kaaresuvanto, posto di confine con la Finlandia; da qui in poi proseguiremo per quella che viene denominata “Via Lappia”, una lunga striscia d’asfalto che taglia per tre Stati: Svezia, Finlandia, Norvegia. Eloquente il cartello esplicativo: per la Finlandia mancano 2 km, ma per Capo Nord ancora 434! L’informazione ci sprona a rimetterci subito in marcia per non perdere preziose ore di luce.

Finlandia, toccata e fuga 
Nemmeno qui ci sono confini né dogane, e l’ingresso in Finlandia si compie scavalcando l’unico confine naturale, il fiume Muonioalven. Nessun umano in giro. Nei pochi km che ci separano dalla Norvegia, ci imbattiamo in un allevamento di renne e ne approfittiamo per vederle bene da vicino. Sono bellissime, forse dagli occhi un po’ malinconici per essere tenute a recinto. Scopriamo che qui si produce latte e formaggio di renna, ma, ovviamente, il micro caseificio ha già chiuso…. Ne approfittiamo per fare il pieno di gasolio, pagandolo in euro cash e per acquistare un paio di birre e un pezzo di carne di renna affumicata e sottovuoto. Così stasera… si cambierà un pò il menù!
Riprendiamo la marcia lungo la E8, sono 117 i km che si separano dalla frontiera norvegese. Ormai ci siamo quasi…!

Norvegia, ultima frontiera 
Attorno alle 18.00 entriamo finalmente in Norvegia, anche se non ne abbiamo esatta contezza, perché nemmeno qui esistono barriere doganali. E’ il paesaggio a suggerircelo, però, che abbiamo cambiato Stato. Siamo nella contea del Finnmark norvegese.
Il paesaggio, da forestale/rurale, cambia drasticamente. Già nell’estremo nord della Finlandia le conifere hanno lasciato il posto a sparute betulle ed arbusti. Ora siamo in piena zona di transizione con la tundra propriamente detta: betulle nane, graminacee, muschi e licheni, salici arbustivi. E se in Svezia era tutto un verdeggiare, qui sembra il nostro Carso a dicembre: il ciclo vitale si è da tempo concluso, e nella calda luce del tramonto, la tundra ci circonda con foglie accartocciate ed erba ingiallita, in una tavolozza di colori che vanno dal rosa pallido al marrone castagna. Anche qui occhieggiano numerosi, piccoli specchi d’acqua che riflettono come tanti occhi l’azzurro del cielo. La sensazione di trovarsi sul margine settentrionale del continente europeo ci entusiasma e ci riempie di soddisfazione, dopo giorni e giorni di marcia a tappe forzate! Ci sarebbe da fermarsi e lasciarsi avvolgere dalla luce calda di questo tramonto “norreno”, ma le ore corrono, perciò cerchiamo un posto dove passare la notte. Troviamo un camping – aperto! – nei pressi di Kautokeino, composto da particolari chalet ottagonali (qui vengono chiamati hytte) rossi, guarda il caso! Meraviglioso! Ci accordiamo con la gestora-Maga Magò in tuta e calzettoni e, per 750 corone (circa 85,00 €), ci assegna una fetta di ottagono, composta da 4 letti a castello con lenzuola usa&getta, tv, angolo cottura e, incredibile, un microscopico bagnetto con doccia (che funge anche da ripostiglio) ed asciugamani a perdere! Altre due fette di questo ottagono sono occupate da cacciatori norvegesi con setter irlandesi al seguito, appena tornati col bottino di caccia, composto da splendide (e sfortunate…) pernici artiche. Anche qui gente cortese, tutti bilingui inglesi. Prima che faccia buio, abbiamo già scaricato il necessario per la notte e la cena: e oggi si mangia renna! Ne tagliamo alcune fettine; non è male, la carne è scura e compatta, sa di cervo, ma forse l’affumicatura è troppo intensa e, dopo un po’, stufa. La prima notte nella tundra trascorre benissimo, dai nostri letti ci gustiamo il cielo terso e trapunto di stelle.

Venerdì 
Dopo una frugale colazione nordica con tè, formaggio e… renna, prima delle 8.45 siamo già a bordo del nostro Patrol, pronti per il rush finale del viaggio d’andata. Oggi ci aspettano altri 380 km prima di raggiungere l’isola di Magerøya e il fatidico Nordkapp! Giornata splendida e tersa, marciamo spediti nella tundra e i cartelli stradali, da “occhio all’alce” ora dicono “occhio alla renna”. La morfologia del paesaggio cambia e, dalla piattezza della Svezia e di quel piccolo angolo di Finlandia, qui pareti rocciose prendono il sopravvento, quasi a preannunciare la costa frastagliata e ricca di fiordi che caratterizza tutta la Norvegia da nord a sud. Dopo tanta pianura, è bello finalmente confrontarsi con salite e discese, e vedere il sole che fa capolino da pareti granitiche; smilze e selvagge cascate sprizzano dalle cime, in un paesaggio che affascina per la sua rocciosa intensità. Superate alcune gole con asfalto sghembo, ci imbattiamo in altre renne solitarie, sempre buffe e dolcissime. E finalmente, dopo migliaia di km di foresta, il mare e la costa rocciosa si presentano a noi incorniciati da un fantastico arcobaleno. Ehi, ma questo ormai è il mare di Barents! Ma chi immaginava che un giorno saremmo arrivati fin quassù? L’entusiasmo e la bellezza selvaggia da “ultima frontiera” ci galvanizzano! La strada prosegue lungo la costa frastagliata e con le scogliere altissime che si gettano a picco nel mare color piombo. Piccola sosta tecnica a bordo strada; ne approfittiamo per ammirare un gruppetto di renne davvero magnifiche - una è completamente bianca! - che pascolano tra il brugo ed i mirtilli, sulle alture prospicienti. La luce radente è strepitosa, l’autunno qui torna a dare ancora il meglio di sé con un’esplosione di colori intensi e straordinari. Non posso non cogliere l’occasione, e queste renne, poco timorose, si lasciano fotografare con disinvoltura, quasi essendo consapevoli della propria bellezza e perfezione. Grazie alla loro pazienza, riesco a catturare degli scatti fiabeschi, nella più assoluta tranquillità del luogo, pur trovandoci a pochi metri dall’asfalto. Un po’ riluttanti a lasciarci alle spalle cotanta bellezza, ci rimettiamo in marcia e, alle 13.30, arriviamo al Nordkapp kommune! Comune di Capo Nord, il comune più settentrionale d’Europa! Foto ricordo alla tabella stradale e rapido sguardo al mare sottostante: il cielo variabile muta di continuo il colore dell’acqua, dal celeste cupo, al piombo, all’acciaio; piccole onde si infrangono sugli scogli granitici sottostanti alla strada, così lisci che sembrano immensi lastroni di ferro. Intanto che Max fa un filmato, qualcosa nel mare, vicino agli scogli, cattura la mia attenzione. Una sagoma scura spunta e scompare dalla superficie dell’acqua. La mia prima reazione è di chiedermi chi diavolo è quel sub che fa “snorkeling” nell’acqua gelida e senza nemmeno una boa di segnalazione! Poi osservo meglio e mi accorgo che quella sagoma, lucida, dalla testa piccola e le spalle spioventi altro non è che… una foca! Non faccio in tempo a riavermi dalla sorpresa che la simpatica bestiola, con un ultimo sussulto tra le onde, scompare dalla mia vista. Ma quanti incontri ci regala, questo Grande Nord! Un’emozione continua! Peccato che Max non sia riuscito a vederla, e mi canzonerà per questo (“chissà che hai visto tu, sarà stata una tanica abbandonata…!”).
La strada costiera attraversa piccoli agglomerati di case di pescatori, tutte in legno rosso, ma attenzione! qualcuna è anche blu! E verde! Incredibile…! Poco dopo le 14.00, ci siamo: stiamo per lasciare la piattaforma continentale per raggiungere l’isola di Magerøya, sulla cui punta estrema si trova il Nordkapp. Niente ponti stavolta, ma un lunghissimo tunnel, tutto sottomarino! Il Nordkapptunnelen è lungo 6.870 metri ed è situato a 212 metri sotto il livello del mare! Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate! Emozionati, imbocchiamo la galleria, non troppo illuminata a dir il vero, e percorriamo questi seimilaottocentosettanta metri nella quasi totale solitudine; stiamo nuovamente viaggiando sul fondo marino! Ogni tanto qualche goccia di acqua percolante dalla volta si spiaccica sul nostro parabrezza. Quando sbuchiamo dall’altra parte, siamo già sull’Isola Magerøya, ultimo lembo d’Europa. Osserviamo le chiazze d’acqua, ormai asciutte, cadute sul parabrezza… ma sono incrostazioni di sale! Questo vuol dire che è proprio acqua marina che gocciola dal soffitto del tunnel! Ci dirigiamo alla volta della cittadina di Honningsvåg; ormai si è fatto tardi per affrontare oggi la scarpinata verso Capo Nord, il tempo si sta anche guastando, fa freddo (circa 5 gradi) e comincia a diluviare; non ci resta che cercare un posto dove passare la notte. Ma anche qui, la stagione è terminata e l’impresa si fa ardua. Proviamo in una pensione gestita da pescatori, gli chalet sono sistemati su palafitte sull’acqua, ma non ci risponde nessuno. Più avanti troviamo un altro gruppo di hytte, ma è tutto sprangato, per cui bisogna telefonare ad un tizio, ecc. ecc. Comincia ad essere complicato, teniamo questa opzione se proprio non dovessimo trovare null’altro. Torniamo verso il paese e vediamo un cartello che indica un hotel in alto, su un piccolo golfo. L’enorme hotel View è fortunatamente aperto. Ci accoglie un omaccione di mezz’età irsuto, in salopette da lavoro e stivali di gomma, che sembra appena sbarcato da un peschereccio. Ci dice che ha posto (siamo i soli, e gli interni ricordano tanto l’Overlook hotel, di kubrickiana memoria…), ma niente cena né colazione, la stagione è terminata e perciò può darci solo la camera e basta, volendo con uso della cucina in comune.  Ovviamente, ci va benissimo e, per 800 corone (97,00 € circa) ci offre una confortevole e calda stanza con bagno e vista sull’insenatura e sulla sottostante industria conserviera del pesce. Dato che sono a portata di mano, ne approfittiamo per acquistare delle cartoline di Capo Nord, così da non perdere tempo l’indomani; saranno soltanto da imbucare. Vuoi mettere il ricevere una cartolina così col timbro “Nord Kapp”? Vedendo che ne acquistiamo parecchie, “Capitan Findus” esclama “Big family?” “No, many friends!”.
Stranezze norvegesi: siamo in un posto da fine del mondo, un’isola semideserta, siamo gli unici turisti e, per aprire il pesante portone in ferro d’ingresso, bisogna digitare un codice numerico… L’aspetto più positivo è che, finalmente, ci facciamo una vera doccia calda! Ceniamo presto, perché l’indomani mattina dovremmo alzarci prima dell’alba per raggiungere il luogo dove lasciare l’auto ed affrontare i 9 km di marcia per agguantare la tanto agognata meta. Prima di prender sonno, osserviamo lembi di cielo che spuntano da dietro le nubi, sperando di vedere l’aurora boreale, ma non siamo fortunati. Qualche ciclista e qualche sparuta auto passa giù, sulla stradina costiera, unici segni di vita. Buonanotte Honningsvåg!

Sabato 
Come programmato, sveglia prima dell’alba (le 4.00!), colazione in camera, e alle 5.45 siamo già in auto. Imbocchiamo la strada litoranea, costeggiando delle rastrelliere piene di aringhe stese ad asciugare e tante case di pescatori rosse, Ma anche blu, verdi, celestine… almeno un po’ di vivacità! In seguito, saremmo venuti a sapere il perché dell’uso di identici colori dappertutto: perché erano le tinte più a buon mercato! (corollario: in Russia, ai tempi dell’Unione Sovietica, le case di legno erano tutte blu e verdi… perché non c’era altro).
Tutte le case hanno un lumino acceso alla finestra, che sia una candela oppure una piccola lampada. Si trasmette così all’esterno un po’ il senso di calore domestico; in questo luogo, dove, al di fuori della breve estate artica, la luce solare è merce rara, supponiamo sia indispensabile tenere acceso questo piccolo lume. Proviamo ad immaginarci questo borgo di pescatori durante i mesi invernali; buio totale al di fuori dell’illuminazione pubblica, tempeste di pioggia e neve, magari nebbie persistenti, l’umidità che ti attanaglia le ossa, il freddo pungente…. Nel regno dell’oscurità perenne, una fioca lucina è segno di vita, di speranza. E’ un aspetto della vita di questi luoghi che per noi, provenienti da una terra solatìa, è forse difficile da comprendere appieno.
Poco prima delle 6.30, giungiamo a destinazione. Parcheggiamo l’auto in uno spiazzo segnalato e con lo sguardo osserviamo tutto l’orizzonte; c’è ancora qualche nuvola che copre il cielo, che pare basso basso su di noi, ma la giornata sembra promettere bene. Circa 7 gradi, calma di vento. Siamo i primi turisti ed anche i soli. Non un’anima, nessuno all’orizzonte, nemmeno sulla strada asfaltata che porta al Nordkapp turistico. Ecco un aspetto positivo del profondo Nord a settembre!
Infiliamo gli scarponi, uno zainetto con preziosi generi di sussistenza e, muniti di berretto e guanti… ore 6.45, siamo pronti. Destinazione capo Knivskjelodden, il vero punto più settentrionale del continente europeo. Fortunatamente, lo si può raggiungere solo a piedi, in quanto la zona è interdetta a qualsiasi veicolo. Per arrivarci, bisogna attraversare una zona di tundra non troppo impegnativa (dice la guida), con qualche salita e discesa, il tutto per 9 km di sola andata. Altrettanti al ritorno. Rapido settaggio di macchina e telecamera, bacio benaugurante e via. Ci accorgiamo presto che non c’è un vero e proprio sentiero da seguire, soltanto una direzione nella tundra; ogni tot. metri ci sono dei “troll”, cippi di pietre sovrapposte che indicano la giusta via, per il resto arrangiati. Il terreno è pietroso e fangoso assieme, e dove non c’è una pietraia c’è un acquitrino o una marcita. Nessun vegetale più alto di una graminacea si staglia all’orizzonte, dando pieno senso proprio allo stesso termine “tundra”, che deriva dal finnico tunturi e che designa una pianura priva di alberi. Presto si sprofonda nel fango e… non solo noi. Inequivocabili, le impronte di una renna si stagliano nel terreno acquitrinoso e ci fanno sentire meno soli. Anche qui, il terreno è perennemente gelato durante quasi tutto l’anno e nella breve estate artica il ghiaccio si scioglie, trasformando la zona in un enorme acquitrino (e il diluvio di ieri ha solo rincarato la dose). Qualcuno (magari l’azienda turistica locale) bontà sua, ha posizionato dei lunghi listoni di legno nei passaggi più zuppi. “Carini!” pensiamo noi, ma l’entusiasmo dura poco. Dopo qualche passo, i listoni spariscono sott’acqua e quindi… vai col fangooo! Volevamo l’avventura, no? Bè, bisogna guadagnarsela, anche zompando nella fangaia! Dopo circa un’ora guadiamo un piccolo torrente, saltando su sassi aguzzi ma scivolosi. Ogni tanto facciamo il “punto nave”; per circa un paio d’ore saremo ancora su un terreno in piano, anche se pietroso e instabile, i sassi appuntiti spesso non consentono un appoggio facile. Siamo sempre da soli, noi e le renne più settentrionali d’Europa! Queste sono meno confidenti, scappano appena ci vedono, ma non sembrano particolarmente impaurite. Preferiscono tenersi a debita distanza. Ora il sole si fa più alto ed i raggi inondano il paesaggio circostante di una luce azzurrina e limpida. In questo silenzio maestoso, nell’aria fresca e tersa, mossa ora da una lievissima brezza, ogni cosa sembra risplendere di luce propria. Un incanto, una vera magia, forse è proprio questa la leggendaria Thule, l’ultima frontiera.
Un attimo di pausa per riprender fiato ed osservare le nostre beniamine: qualcuna porta un collare rosso con campanellino (e se fossero le renne di Babbo Natale, in ferie?), altre stanno perdendo a brandelli il velluto dalle corna, che appaiono striate di poco sangue fresco. Poco prima delle 8.00, con il sole alle spalle, affrontiamo una prima discesa, e il panorama è spettacolare: davanti a noi si distende la tundra a perdita d’occhio, punteggiata da muschi e licheni rossi, piante di erioforo con i semi piumosi che ondeggiano al debole alito di vento e alla nostra destra, imponente, il mitico promontorio di Capo Nord! Costeggiamo un altro torrente, poi vari laghetti di un blu profondo, e poi strane chiazze bianche che riflettono il sole. Sarà mica neve? Ma nooo, sono affioramenti più o meno grandi di roccia bianchissima, come la neve fresca! Forse si tratta di calcite. Osserviamo la scarna vegetazione che ci circonda; muschi, licheni e graminacee, il permafrost non consente altro. Il colore dominante qui è il rosso, in tutte le sue gradazioni. Un incanto primordiale. Poco prima delle 9.00, ecco il mare! Ora si comincia a scendere verso la linea di costa, e innumerevoli torrentelli percorrono la nostra stessa strada per gettarsi in acqua. Il Mar di Barents si apre in tutta la sua immensità. Prende il nome da un navigatore ed esploratore olandese (Willelm Barentsz) del ‘500. In questa beata solitudine, ci sentiamo un po’ geografi anche noi….
L’incanto della solitudine dura poco. Dando un’occhiata alle nostre spalle, scorgiamo un puntino verde fluo muoversi veloce all’orizzonte… ahi, fine della pace, arriva qualcuno! Non sarà mica l’uomo del parcheggio venuto a reclamare uno sconosciuto pedaggio? Niente di difficile, qui si paga tutto! Facciamo finta di niente e proseguiamo. Il puntino si avvicina, ci raggiunge, ci saluta e ci supera, quasi di corsa! Un asiatico…no, forse non è il tizio del parcheggio. Ci fermiamo e lo guardiamo per un attimo: ma che ha da correre così? Vuole arrivare prima di noi al traguardo? Capirà qualcosa del paesaggio che lo circonda, se va così di fretta? Mah.. Scendiamo a valle, ora siamo in spiaggia, sassosa e messa in ombra dall’imponenza della rupe di Capo Nord. Tocco l’acqua, ovviamente ghiacciata e… non c’è odore di salsedine! Abituati come siamo alla salinità dell’alto Adriatico, questa sembra pura acqua dolce!
Sparito l’incanto della solitudine, riprendiamo la marcia, che si fa un po’ più complicata: per raggiungere la costa, bisogna superare dei lastroni granitici posti a varie pendenze, per giunta anche scivolosi; un passo falso e si rotola direttamente in acqua. Dato che sono già traballante di mio, non mi resta che mettere via la Nikon per evitare pericolose distrazioni. E le distrazioni non mancano: grossi e candidi gabbiani tridattili svolazzano sulla scogliera e, sopra di noi, veleggia una maestosissima aquila di mare! E’ talmente vicina che possiamo osservarne le forti dita gialle e gli artigli!
Ci siamo quasi, peccato che la pionieristica conquista sia sminuita dal fatto di non essere i primi della mattinata: l’asiatico in k-way verde bruco ha già raggiunto il cippo di capo Knivskjelodden. Poco male, consoliamoci che siamo solo in tre e non la probabile folla che si accalca qui in estate. Ancora pochi passi… eccoci! Abbiamo toccato il cippo! Siamo arrivati alla fine del viaggio (d’andata)!. Ore 9.45, cielo terso, temperatura di circa 10 gradi, coordinate 71°11’08” di latitudine nord! Evviva! E stavolta non in auto, ma raggiunti a forza di gambe! Sì, vabbè, è solo l’ultimo pezzo.. ma vuoi mettere la soddisfazione? Facciamo così conoscenza con l’asiatico: si chiama Daniel, è cinese ma è nato in Canada, vive a Vancouver e sua madre vive a Toronto. Per fare la traversata al galoppo si è rotto una scarpa e mi indica la suola penzoloni… Mi chiede di fargli una foto con la scarpa rotta. A questo punto ne approfittiamo anche noi, e così ci facciamo fare una foto ricordo come si deve, piuttosto che una immagine sbilenca con l’autoscatto. Prima della foto, Daniel ha messo la sua firma sul registro dei visitatori posto in una cassetta di metallo rosso. Lo facciamo anche noi, non solo per registrare e omologare la nostra presenza sul “confine d’Europa”, ma anche per prenderci il numero di repertorio (1313 e 1314), numero che attesta la veridicità della nostra impresa consentendoci così, una volta arrivati al preposto ufficietto di Capo Nord “classico”, di ritirare l’attestato di eroi. Daniel saluta e, com’era arrivato, se ne va lesto come una lepre. Ooohh, adesso siamo da soli! Ed è quindi giunto il momento di festeggiare, non solamente l’impresa, ma anche il compleanno di Max! Dallo zaino tira fuori una bottiglia di Franciacorta e dei cubetti di Parmigiano. Pronti? Salta il tappo e uno spruzzo di spumante esce a razzo, come sul podio della Formula Uno! Non ci rimane un granchè da bere, dopo che la bottiglia è stata sballottata per tre ore nello zaino! Non fa niente, è il gesto che conta! Un brindisi all’autentico Capo Nord, un paio di boccacce (metaforiche, in realtà… gestacci) in direzione dei turisti che sono sul promontorio opposto, a 71°10’21” di latitudine nord, giunti in auto e pagando pure! Ma noi siamo più a nord di voi! Ci riposiamo per un po’, ormai Daniel è scomparso all’orizzonte e ci godiamo il silenzio, interrotto solo dal rumore della risacca, poco sotto di noi. E fantastichiamo… chissà quante balene staranno navigando in questo mare… e foche… Fa quasi caldo, il sole nordico scalda comunque, e, purtroppo, ci mangia le ore… Dobbiamo per forza fare subito dietro front, per vari motivi. Il primo è che ci vogliono ancora almeno altre 3 ore di scarpinata per raggiungere l’auto, secondo è che l’ufficio turistico di Capo Nord chiude alle 15.00 e, se vogliamo almeno riposarci e farci un giro all’interno del complesso, ci va almeno un’ora; terzo, dobbiamo intraprendere il viaggio di ritorno verso casa e perciò la Finlandia ci aspetta. Non possiamo attardarci di più. Forza, gambe in spalla! Alle 11.00 precise ci rimettiamo in marcia. Purtroppo, nella cronometrica organizzazione di questa traversata, abbiamo commesso un grave errore: ci siamo dimenticati di portarci una scorta d’acqua. L’aria molto secca, la fatica fisica per far presto (son sempre 18 km tra andata e ritorno) e il poco spumante rimasto da bere, ci hanno portato alla quasi disidratazione. Dopo un paio d’ore di lesta scarpinata nella tundra, gli effetti della mancanza di liquidi si fanno sentire. Il bisogno di bere diventa impellente e la situazione si fa addirittura paradossale, perché siamo circondati dall’acqua, camminiamo nell’acqua ma non possiamo berla: intanto è acqua di disgelo del permafrost, colma di erbe marce, e poi con tutte le renne in giro che… concimano, rischiamo di bere proprio l’acqua contaminata da residui fecali.
Marciamo con il sole già obliquo e le renne in dorata controluce, e la stanchezza già produce vaneggiamenti, tanto che in testa mi ronza una frase, sentita in un docu-film che nulla c’entra con tutto questo: “Non risparmiate grazia, né fatica”. No, non ci siamo risparmiati, è con la nostra grazia interiore che riusciamo a godere di tutto questo, è con la fatica che ci siamo guadagnati il senso di questo viaggio, è con la fatica che l’abbiamo interiorizzato ed ora la grazia traspare dai nostri occhi.
Teniamo duro, il sole picchia e noi siamo sempre più assetati. Verso le 13.00 dobbiamo fermarci in continuazione, preda dei crampi e di dolori alla schiena, complice anche l’andatura forzatamente veloce per non fare tardi. Se non avessimo avuto il cruccio dell’ufficio che chiude, avremmo potuto prendercela con più calma, ma così! Ma come avrà fatto Daniel? Ah, altra razza, evidentemente… Intanto, il meteo, che ci aveva regalato una mattinata da cartolina, cambia drasticamente. Un intenso fronte atlantico si ammassa alle nostre spalle, prodromo di un diluvio… oceanico. Il cielo da azzurro si fa lattiginoso, poi sempre più grigio. Procediamo, come zombie, verso la nostra auto. Quasi giunti al parcheggio, incontriamo qualche temerario viandante che vuole intraprendere lo stesso cammino verso capo Knivskjelodden; facciamo capire a chi ci chiede informazioni che è tardi (sono le 14.10) e che sta arrivando il brutto tempo, ma non convinciamo nessuno. Montiamo in macchina che siamo stravolti. Siamo abituati a camminare, ma stavolta veramente è stata dura. Ci attacchiamo alla bottiglia d’acqua e subito ne facciamo fuori una da due litri. Un po’ rinfrancati, mettiamo in moto, e già le prime gocce di pioggia ticchettano sul parabrezza. Percorriamo il dritto nastro d’asfalto fino al casello di Capo Nord, cioè un chioschetto con sbarra e bigliettaio. Il pedaggio (65,00 €!) consente una permanenza di 2 giorni nel piazzale del complesso turistico e l’ingresso ai musei. Ovviamente, paghiamo e ci dirigiamo verso questa struttura, sotto una pioggia battente. Sono esattamente le 14.24 quando varchiamo la soglia di questo enorme complesso cementizio. In teoria la struttura, vista la bassa stagione, chiude alle 15.00, invece… sorpresa! L’arrivo di un provvidenziale pullman di pensionati tedeschi, fa scattare la chiusura alle ore 16.00. Averlo saputo prima! Ci prendiamo da bere al bar praticamente vuoto, e andiamo a riposarci ai tavolini posti proprio di fronte al monumento in ferro che raffigura il globo terrestre. Siamo leggermente stravolti dalla stanchezza, ma le due pepsi ci rimettono (quasi) in sesto. Siamo comunque troppo stanchi per visitare tutto quanto offre il luogo (due musei, una grotta-cappella ecumenica, un anfiteatro-cinema), perciò ci infiliamo nell’enorme negozio di souvenir. Ne rimaniamo un po’ delusi, tanta, tantissima paccottiglia, magari ben fatta, però di artigianale poco niente. I maglioni norvegesi richiedono un mutuo, perciò li lasciamo lì. Terminati gli acquisti, estraiamo il bigliettino dove abbiamo registrato il numeretto preso al cippo stamattina e ci dirigiamo trionfanti verso una commessa, reclamando il nostro certificato di eroi. La signora ci guarda un po’ perplessa, e sul momento non comprende la nostra richiesta. Poi ci spieghiamo meglio e lei ci indica uno scaffale poco distante… Se ci avessero tirato una secchiata d’acqua gelida in faccia, ci saremmo rimasti meno male. Il presunto “certificato di eroi” lo può acquistare qualsiasi turista, perché è a disposizione di tutti e multilingue, al costo di 60 corone… Malediciamo una volta di più la famosa guida di viaggi perché ha scritto un’imprecisione… Chissà, magari quando è stata redatta era veramente così, non possiamo saperlo, ma certo la delusione è tanta. In fin dei conti, è solo un pezzo di carta, però il sapere che per agguantarlo bisognava faticare per 18 km, dava più sapore all’impresa! Ovviamente, ne acquistiamo due, uno in italiano ed uno in norvegese, e ci accorgiamo che non sono uguali. L’edizione in italiano è scarna e porta questa scritta: “Col presente atto si certifica che (nome – cognome - n. …..) in viaggio nel Paese del Sole di Mezzanotte, ha visitato oggi Capo Nord il punto più settentrionale d’Europa”; l’edizione in norvegese, invece, oltre che essere più accattivante dal punto di vista grafico, riporta anche una frase (in norvegese) del primo turista nella storia di Capo Nord, tal Francesco Negri, esploratore ravennate, che nel 1664 fu il primo “straniero” a giungere fin quassù, spinto, come noi, dalla passione naturalistica, per il viaggio in sé e, da ultimo, perché arci convinto che all’estremo nord non si potesse vivere. Il testo, in corsivo, dice (con grossolana traduzione) questo: “Eccomi a Capo Nord, nella civiltà e posso dire che la mia conoscenza è soddisfatta. Ora posso andare a casa, se Dio vuole.”. Prendiamo così i certificati e li portiamo alla commessa, perché “omologhi” la nostra impresa; con bella calligrafia, verga i nostri nominativi, ci aggiunge il numero di repertorio (a questo punto, quasi superfluo) e ci appone su il timbro che suggella la nostra fatica. Prima di andarcene, facciamo qualche acquisto. Intanto fuori diluvia e la temperatura s’è abbassata. Portiamo gli acquisti in auto e facciamo qualche scatto, con parecchia difficoltà, perché non solo piove a dirotto, ma tira anche un forte vento dritto dall’oceano, compromettendo anche la visibilità. Sul piazzale antistante il complesso turistico, praticamente sull’estremità del promontorio, si trova un obelisco di pietra, edificato da Re Oscar II nel 1873 per delimitare simbolicamente il confine tra Norvegia e Svezia, e fino al 1976 era questo il monumento che identificava Capo Nord. Successivamente, nel 1977, fu eretto il globo in ferro che ormai tutti identificano come il simbolo di Capo Nord, monumento che è raffigurato dappertutto. Tentiamo di farci qualche scatto sotto a questa scultura metallica, ma i pensionati tedeschi ci precedono e quindi dobbiamo aspettare che tutto il pullman si faccia le foto. Nel diluvio, scorgiamo Capo Knivskjelodden, dove eravamo stamattina; siamo a circa 300 metri sul livello del mare, e vederlo da qui ci fa dimenticare la stanchezza e la fatica! Siamo stati veramente fortunati col meteo, se il diluvio di adesso si fosse scatenato stamattina, dubito che avremmo portato a termine l’impresa: avventurieri sì, masochisti proprio no. Chissà se i gitanti incontrati al ritorno ce l’avranno fatta oppure sono stramazzati da qualche parte.. Finalmente i teutoni tornano al riparo e, soli, riusciamo a farci una foto ricordo, sempre sotto una gelida pioggia battente. Torniamo fradici all’interno, osserviamo una tabella che ricorda un’altra impresa, questa sì epica e meravigliosa, quella portata a termine il 4.6.13: un trekking partito da Nordkapp e terminata a Castelluccio in Sicilia, attraversando tutta l’Europa a piedi! Complimenti!
Ore 16.00, rimontiamo in auto, distrutti dalla stanchezza ma felici per aver portato a termine la nostra impresa! Bussola verso sud-est, destinazione Finlandia. Il viaggio d’andata termina qui. Hallo Norge, hallo Nordkapp!

IL RITORNO

FINLANDIA, il grande silenzio 
Ci lasciamo l’ovest alle nostre spalle e, dopo 285 km, ritorniamo in Finlandia, quando ormai si è fatto buio. Subito oltre confine cerchiamo un posto dove riposarci, siamo in piedi dalle 4.00 e, dopo la scarpinata, ci sentiamo parecchio stanchi. Speravamo che l’offerta di camping o motel, essendo Lapponia finlandese, fosse più ampia, invece la situazione è la medesima della Svezia: o non c’è nulla, o quello che c’è è chiuso. Cominciamo veramente a scoraggiarci, quando verso le 20.00 passate parcheggiamo fuori una specie di snack-bar-motel; chiediamo ospitalità al ragazzo dietro al bancone, ma il finnico ci risponde che ormai il motel è chiuso (stagione finita), però forse a Inari c’è un hotel aperto. Speranzosi, rimontiamo in auto e percorriamo altri km nella totale oscurità, ancora una volta solo noi e la foresta. Alle 21.00 arriviamo al buio paesotto di Inari, 500 anime e un parlamento Sami. In quella che sembra la piazza del paese, troviamo un hotel (Hotelli Inari, anche qui massima creatività) che sembra aperto. Entriamo, e subito scopriamo che in realtà sono già le 22.00, perché la Finlandia è un’ora in avanti. Non ci sono clienti in giro. Il receptionist (turco, il cameriere cingalese…) ci dice che ha posto e ciò ci rincuora; finalmente per due notti potremo gettare quello che avanza di noi su dei letti veri! Pensiamo di festeggiare con un boccone e un boccale di birra, ma il gentile impiegato ci fa presente che la cucina è chiusa, di commestibile sono rimasti solo un paio di smunti sandwiches e che i boccali di birra ce li possiamo scordare perché non si possono servire alcolici dopo le ore 22.00. Volendo, ci può vendere un paio di bottiglie di birra da consumare rigorosamente in camera. Ok, vada per il tramezzino e quattro birre. Il simpatico turco sgrana gli occhi scuri per essere sicuro di aver capito bene. “Four beers…?” Si, rispondiamo, 4 birre, che c’è di strano? Di strano c’è che le birre sono molto care, e comprendiamo il suo stupore al momento di pagare: euro 27,60! Data la stanchezza, paghiamo senza fiatare (ormai l’ultimo respiro l’abbiamo esalato allo shopping center del Nordkapp) e, col tramezzino, ci dirigiamo dritti in camera, senza bagagli. La camera è piccolina, ingentilita da acquerelli raffiguranti visi e bimbi Sami, e dal finestrone si intuisce che abbiamo la vista sul lago. Con le birre e il tramezzino riprendiamo un po’ le forze, dopodiché scendiamo a prendere i bagagli; giunti al pianterreno, ci troviamo la spessa porta in vetro e ferro (tipo scantinato) che dà alla reception/bar chiusa a chiave, la hall già al buio. Proviamo con le chiavi in nostro possesso, ma nulla da fare. Ma come si esce da qua? Proviamo all’uscita di sicurezza, si apre sul retro però non consente di riaprirla da fuori! Siamo veramente troppo stanchi per ragionarci su, perciò con un maglione blocchiamo la porta e con questo sistema riusciamo a tornare all’interno dell’hotel. Ancora una birra e poi ci buttiamo a letto, veramente distrutti.

Domenica
Stavolta ci alziamo con comodo, e poi scendiamo a far colazione. Toh, la porta di ieri sera è aperta! Ci viene il sospetto che la chiusura serale abbia in qualche modo a che fare con gli alcolici. Ci sono un po’ di ospiti a far colazione con noi. Prima colazione finnica, c’è un po’ di tutto e anche qui quelle deliziose gallette ai cereali trovate in Svezia. L’Hotel Inari si trova esattamente all’estremità nord del lago Inarijärvi, che è il più grande di tutta la Lapponia finlandese, è profondo circa 100 metri ed è punteggiato da ben 3.318 isole! Un paradiso per i canoisti. A pochi metri da qui, c’è pure un idroscalo; d’estate ci si muove con l’idrovolante! Mattinata di puro relax, dedicata alla vista di questo piccolo centro. Ormai la stagione è finita anche qui (l’alta stagione arriverà in inverno); come ricordato, Inari è sede del parlamento del popolo Sami (altre due sono in Svezia e in Norvegia), e la costruzione, in legno e cemento, è in uno stile prettamente scandinavo, pulito ed essenziale. In estate questo paesotto offre parecchie attività (navigazione sul lago, pesca, voli con l’idrovolante, trekking nella natura), ma a settembre molte attività sono terminate e l’ufficio che se ne occupa è, malinconicamente, chiuso. Sembra uno di quegli avamposti sperduti nel Klondike: un emporio, un pub, una scuola, una chiesetta… e basta. Da ultima frontiera, insomma. Nonostante sia molto frequentato d’estate, e poi d’inverno, sembra comunque mantenere un’aria di schietta autenticità.
Poco più avanti, una casa color verdino protocollo, dai muri scrostati, espone nelle due vetrine un po’ di tutto, creazioni artistiche e corna di alce, vecchie macchine da scrivere e bambolotti vestiti con il tradizionale costume lappone. Osserviamo due quadri che sembrano una divagazione sul tema dell’”urlo” di Munch, in un affastellarsi di oggetti scombinati che che sembrano voler dire: “non abbiamo altro per riempire la vetrina”, stile Jugoslavia anni ’70. Ci pervade un senso di scandinava angoscia…
C’è però un bel negozio di souvenir e artigianato lappone. Oh, finalmente qualcosa di originale! Beh, sì e no. Il negozio è grande, e offre un po’ di tutto: pelli di renna (meravigliose e nemmeno troppo care, rinunciamo malvolentieri per carenza di spazio in casa nostra); poi splendidi coltelli e pugnali (vengono chiamati puukko) riposti in altrettanti splendidi foderi in cuoio conciato (un Sami non gira mai senza il suo coltello!), copricapi Sami in lana e feltro (spropositamente cari), maglieria di tutti i tipi (anche norvegese), e poi saponi e accessori per il bagno e la tradizionale sauna, articoli in pelle di renna, souvenir vari, piccola gioielleria, pubblicazioni, ecc. Io cerco dei tessuti tipici, ma è l’unico articolo che manca; insomma, tessuti a parte, c’è un po’ di tutto, anche la solita paccottiglia, però bisogna prestare attenzione agli articoli per non farsi fregare: per esempio, nel reparto “sciarpe berretti & guanti” ho trovato delle sciarpe decorate con le renne e i fiocchi di neve, a prima vista molto “nordiche”, ma che in realtà sono fatte in India ed una identica l’ho comprata a Trieste in una bancarella di ambulanti! Facciamo qualche acquisto (i coltelli e le cinture in cuoio meritano per l’ottima fattura ed il costo abbordabile), ma anche qui è tutto molto caro e, essendo i prezzi in euro, il costo salta subito all’occhio.
A Capo Nord abbiamo acquistato degli adesivi da attaccare sull’auto. Dato che la carrozzeria è decisamente zozza, entriamo nel supermarket attiguo alla ricerca di una bottiglietta d’alcool per sgrassarne la superficie. Diamo un’occhiata in giro, effettivamente i prezzi dei generi alimentari sono piuttosto alti, e le birre raggiungono cifre assurde. Cerca che ti ricerca, niente alcool denaturato. Né alcool normale. Né superalcolici. Poi mi viene in mente di aver letto da qualche parte che qui, come dappertutto, nel grande Nord, l’alcolismo è una vera e propria piaga, ma in Finlandia (e Lapponia) sembra che la piaga tocchi vertici inaspettati. Complice il freddo, il buio, la disoccupazione, lo sradicamento della cultura Sami, la consolazione della bottiglia stava provocando uno smottamento sociale, perciò non solo il governo tassa gli alcolici per fare cassa e finanziare la cultura, ma addirittura toglie dal commercio i superalcolici e persino l’alcol denaturato per allontanare qualsiasi tentazione! Non ci resta che sgrassare la carrozzeria col vetril…
Intanto che Max si dedica agli adesivi, io ne approfitto per due passi nel parco cittadino. Niente fontane, o statue in marmo, ma solamente un pezzo di foresta, pieno di funghi e mirtilli rossi, con dei sentieri in terra battuta e delle panchine. Scendo sulla riva del lago, non c’è nessuno nei dintorni. Mi siedo tra i ciottoli e la sabbia, e mi godo il silenzio, una lieve brezza increspa l’acqua color piombo. Sulla riva opposta, un paio di chalet in legno rosso (qui vengono chiamati mökki) occhieggiano tra abeti e betulle dorate, un minuscolo traghetto scivola in direzione del porticciolo del paese. Il tutto in una cornice di serena e tranquilla perfezione. Penso a questo Paese, metà artico e metà scandinavo, ai suoi pochi abitanti (circa 5 milioni di persone), alla sua infinita riserva d’acqua (i laghi censiti – piccoli e grandi -  sono 187.888, la maggior parte concentrata nel sud del Paese), infine a come sarebbe bello tornarci con calma per comprenderlo di più. Mi torna alla mente un detto Jakuto: “Nella taiga ci sono tanti laghi quante le stelle in cielo”.
Ora di pranzo, un languorino si fa sentire. Entriamo nel pub (il Pa-pa-na) e… meraviglia, hanno birra alla spina! Due hamburger e due ottime Kahru (significa “orso”), birre finlandesi ambrate e decisamente gustose. Il ragazzo che ci serve sembra contento di vedere delle facce non prettamente nordiche, e ci porta il pranzo con grandi sorrisi sinceri. Ne approfittiamo per guardarci attorno: più che un pub, questo è l’unico ritrovo del paese, dove i pensionati passano le giornate tra una birra e una partita a carte. Quasi tutti (uomini e donne) girano con un coltello alla cintura. Osserviamo le fisionomie: diversi da quei (pochi) svedesi e norvegesi incontrati, essendo di ceppo ugro-finnico somigliano di più agli ungheresi, ma hanno la pelle molto più chiara, capelli castani e occhi blu, incastonati sopra zigomi alti e nasi piccoli e spesso all’insù. Hanno un che di primitivo, di sfuggente, di selvatico. I lapponi si considerano figli degli gnomi della foresta e un paio di casi umani ci danno la convinzione che ciò non sia esattamente una leggenda: entra un gruppetto di signore di mezz’età, sembrano del posto, e una di queste mi colpisce: è una gnoma vera e propria, una specie di sfera con gambette e braccine, gote rosse e nasino all’insù. Sul momento penso che possa essere affetta da nanismo, poi la osservo meglio è mi accorgo che è semplicemente normale nella sua rotondità. L’indomani, a parecchi km di distanza da qui, ne troverò un’altra, simile. Sì, sono proprio figli di gnomi!
Il pomeriggio lo dedichiamo alla visita del museo Siida, vero tempio della cultura Sami: un formidabile excursus su flora, fauna, paesaggio, tradizioni e cultura lappone, storia della Lapponia dai primitivi ai giorni nostri, ottimi diorami, il rapporto tra gli indigeni e l’acqua (l’attività della pesca è una costante come l’allevamento delle renne), e poi la vita d’inverno, col buio e la neve, come si cacciava nelle foreste, l’allevamento  delle renne, la marchiatura, insomma un vero tuffo in universo sconosciuto e davvero molto affascinante, e anche molto istruttivo, perché qui la vita è davvero dura. Peccato per l’illuminazione piuttosto debole, che non consente di fotografare se non muniti di cavalletto. A comprova della difficoltà della vita nomade, all’esterno del museo c’è una fetta di bosco riservata alla ricostruzione della vita dei Sami quando erano nomadi e semi-nomadi; le vere casette in legno, abitate fino a cinquant’anni fa, sono state smontate e ricostruite qui, con arredi e suppellettili originali, c’è pure la casetta adibita a tribunale! E non mancano le tende smontabili in pelle (ora in nylon) usate perfino d’inverno, e le trappole per la cattura di volpi e ghiottoni, e poi le barche per la navigazione lacustre. Il tutto molto ben spiegato, nella consueta tranquillità. E il girovagare tra queste ricostruzioni è pure allietato dalla comparsa di un bellissimo coniglio selvatico! Non mancano riferimenti alla vita contemporanea, non da ultimo una mostra fotografica sulle ultime proteste degli indigeni contro l’ennesimo sfruttamento forestale e idrogeologico, che andrebbe ad incidere pesantemente sulla fragile attività lavorativa dei Lapponi.
Questo museo Siida merita davvero una visita, e il biglietto d’ingresso comprende anche la visione di un filmato sull’aurora boreale. Purtroppo, ci siamo persi il filmato, però la gentilissima addetta alla cassa ci informa che proprio il giorno prima c’è stata un’aurora spettacolare visibile anche in questa zona! Peccato, noi eravamo a Capo Nord e…. ce la siamo persa! Ma no problem, ci dice, e ci mostra un sito “meteo aurora” (“Aurora Forecast”) dove danno le previsioni per l’intensità del fenomeno. Ne prendiamo buona nota, finchè siamo ancora entro il Circolo Polare! Attigui al museo ci sono un paio di esercizi che offrono lavori di artigianato Sami, compresi i tradizionali gioielli in argento, però purtroppo sono chiusi per… fine stagione.
A cena troviamo, poco fuori dal centro abitato, un bellissimo ristorantino con annesso hotel, molto suggestivo (ah, averlo trovato la sera prima!): finalmente un pasto come si deve! Assaggiamo così delle crêpes ai funghi e mirtilli rossi… si sente che manca il calore del sole, i funghi sono buoni ma non così saporiti come i nostri. Ci consoliamo con altri boccali di ottima Kharu spumeggiante…! Prima di andarcene a dormire, parcheggiamo nello spiazzo antistante il lago, attiguo al parco pubblico, non sia mai che riusciamo a scorgere l’aurora! Tentiamo di rimanere un po’ fuori dall’auto, ma per passare qualche ora all’aperto avremmo dovuto portarci almeno delle coperte. Dopo qualche manciata di minuti… desistiamo. Dai, saremo più fortunati domani. Non sono nemmeno le 23.00 che facciamo ritorno in albergo, ormai già buio.

Lunedì 
Intanto che facciamo colazione, ci accorgiamo che il gestore dell’hotel (inequivocabilmente lappone) discute (senza strepiti, come da costume nordico) con varie persone all’ingresso, commentando qualcosa. Ovviamente, non riusciamo a comprendere nulla, ma al momento di andarcene capiamo il motivo di tante garbate discussioni: qualcuno, la notte, ha sfondato la porta a vetri dell’ingresso principale. Chissà perché, ma ci viene il sospetto che sia una specie di “vendetta” per aver rifiutato la vendita di qualche birra ai ragazzotti locali…
Partiamo con un bel sole che si allunga basso tra le betulle, sembra il Paese delle ombre lunghe. Verso metà mattina piccola pausa per goderci un po’ di taiga; non è difficile trovarla, la foresta vegeta parallela alla statale, basta deviare di qualche metro e si entra nella natura più rigogliosa. Il 75% della Finlandia è coperta da foreste, per un totale di 23 milioni di ettari. Una vera vacanza per polmoni cittadini. In questa sosta, ci imbattiamo in un enorme complesso di recinti per le renne, che verranno utilizzati d’inverno, al momento della marchiatura. La struttura è di notevoli dimensioni, una enorme palizzata in tronchi di pino, con delle passerelle in gomma per evitare che le renne, con la neve ed il ghiaccio, scivolino e si possano ferire. Ora è tutto immerso nei vivaci colori autunnali; faccio scorpacciata di mirtilli, ma proviamo ad immaginarci questo luogo sommerso dalla neve, pieno di renne mugghianti e il vapore dei loro respiri a saturare l’aria… dev’essere ancor più struggente. Finalmente, in questi momenti, ci stiamo godendo il viaggio; macinare km su km ogni giorno e non vedere praticamente nulla, non sempre è soddisfacente. Il quasi caldo sole artico ci invia a bighellonare ancora per un po’…. Presa in mano la cartina, osserviamo dove porta questa statale, diretta alla cittadina di Ivalo... toh, un bivio…. E allora, puntatina verso il confine con la Russia (ah.. il richiamo della foresta!). Direzione Raja-Jooseppi, ultimo avamposto finlandese prima dell’ingresso in quella che è la Lapponia russa, cioè la Carelia. Credevamo di trovare parecchio traffico in ambedue i sensi, invece… siamo completamente da soli, in una sempre bella giornata autunnale. Verso il confine, il cartello dice “Murmansk, 296 km”. E’ dura resistere, la “Matuška Rossija” ci chiama, in fondo al cuore…. Nei pressi del posto di frontiera (deserto), i cartelli diventano plurilingui, compresa una delle lingue Sami parlate in questa zona. E’ un confine internazionale, però apre dalle 7.00 alle 21.00… Considerato il volume di traffico (nullo) non ci stupiamo più di tanto. Ci scappa un enorme sospiro, sognando il giorno che ci arriveremo sul serio, a Murmansk… facciamo dietrofront, Napapijri ci aspetta. Osserviamo il territorio, e scopriamo delle analogie con la Siberia: anche qui, particolari alberi di pino crescono e prosperano su gialle dune sabbiose. Ne approfittiamo per prendere, come souvenir, un sacchetto di sabbia gialla; per i più curiosi, queste le coordinate: 68°28’58.2” lat. N – 28°10’46.8” lat. E.
Ci fermiamo per uno spuntino, in uno spiazzo adibito alla sosta dei camion, tra una duna e un fiume, e mi cade l’occhio su delle impronte impresse nella sabbia… ma sono di alce! Inconfondibili, enormi, e la invidiamo: per lei non esistono confini, visti, timbri, passaporti…. Lapponia, Carelia, Scandinavia, non fa nessuna differenza, è sempre casa sua. Merita una foto!
Rimontiamo in auto, rotta sud-sud-ovest. Dopo 205 km, nella più grande tranquillità, nella cittadina di Sodankilä (8.826 abitanti, di cui 300 Sami e… 22.500 renne), troviamo un camping aperto (camping Nilimella), dove anche qui ci fermeremo per 2 notti. Per 30,00 € al giorno, ci assegnano un simpatico, anche se minuscolo chalet (…rosso!), con riscaldamento già acceso, servizi in comune e wi-fi gratuito alla reception. Il campeggio è praticamente all’interno del paese, sulle rive del fiume Kitinen, attiguo ad una scuola, ed il paese è ben fornito di tutto. Siamo gli ospiti più giovani del campeggio, gli altri sono camperisti over 60. Piccolo giro in centro, poi torniamo nel nostro chalet e ci informiamo coll’ “Aurora forecast” sulla probabilità di vedere l’aurora boreale: purtroppo l’intensità in questi giorni è piuttosto bassa, ma forse, se siamo fortunati, domani notte potremo sperare di vederla ugualmente! Intanto, mettiamo la sveglia verso le 2.00 del mattino, ora di massima intensità. Alle 2.00, intontiti, ci vestiamo pesantemente (fuori è quasi sottozero) e ci mettiamo a scrutare la volta celeste ma… nulla di fatto. Il cielo è sereno e le stelle sembrano piombarci addosso; via Lattea a parte, non riusciamo a percepire altro. Ci ributtiamo in branda, come due ghiaccioli.

Martedì 
Ci alziamo con la dovuta calma, colazione al tepore del termosifone elettrico, piccola spesa di generi alimentari (e troviamo anche le ottime birre Kahru, che ci allieteranno la serata), e giro in centro. La giornata è splendida, e ci godiamo un meritato relax, bighellonando per il paese e prendendo un po’ di sole sulla riva del fiume Kitinen. Ci imbattiamo in una bella scultura che rappresenta un Lappone che cattura al laccio una renna, è un bronzo del 1970 dello scultore Ensio Seppänen collocato proprio al centro della cittadina. Anche qui l’attività dell’allevamento delle renne rappresenta la principale fonte di reddito.
La vita qui scorre molto tranquilla, il traffico c’è ma tutti vanno a circa 30 all’ora (obbligatorio nei centri abitati), la gente a piedi non va di fretta e, in generale, sembra che l’esistenza in Finlandia scorra al rallentatore. L’aria, nonostante il viavai di autoveicoli (modesto, per la verità), è pura. Può piacere o non piacere; crediamo però che chi viene da un Paese casinista e confusionario (tipo il nostro), non possa che apprezzare l’occasione di poter assaporare la vita “a misura d’uomo”, senza troppa fretta, senza strombazzare col clacson, senza dover mandare qualcuno “ammoriammazzato” ad ogni piè sospinto. Riflettiamo sul fatto che, effettivamente, di finlandesi dalle nostre parti non se ne vedono proprio. Poi mi torna alla mente un aneddoto raccontatomi da una conoscente: dei suoi amici che abitano verso il nord della Germania, hanno avuto come ospiti una famiglia di finlandesi di recente conoscenza, che volevano soggiornare in Germania circa una settimana. Ma dopo due giorni, hanno fatto le valigie e se ne sono tornati a casa. Motivo? Non per la compagnia degli amici tedeschi, ma per la confusione, il traffico, la frenesia (??) che hanno trovato dalla Danimarca in giù. Per costoro, abituati al silenzio boreale, era veramente insostenibile. Noi, girando per questa cittadina, invece, ci sembra di poter riagguantare quel senso dell’esistenza che il “logorio della vita moderna” ci erode giorno dopo giorno. Ci chiediamo come sarebbe vivere a lungo in questa pace e questo silenzio: il primo impatto è straniante poi, km dopo km in queste terre sconfinate, si prova un senso di “disintossicazione” dal casino imperante di casa nostra, dopodiché ci si abitua e, infine, si apprezza e si assapora; nella tranquillità di questo paese (come a Inari) ci sembra di spellarci da tutti quei rumori, quasi dei fastidiosi orpelli che, volenti o nolenti, pare non possiamo farne a meno di appiccicare alla nostra esistenza. Crediamo, tuttavia, che per “resistere” a questo bagno “detox” si debba essere portati, o quanto meno motivati, almeno caratterialmente. Dubitiamo che una persona amante del sole, dell’allegria gioviale e chiassosa possa resistere più di qualche giorno in questo universo fatto di sussurri e oscurità. Le congetture mettono appetito, perciò cerchiamo un posto dove mandar giù un boccone vero e non una scatoletta. Il primo locale che ci capita sottomano è un pizza-kebab, che però non serve birre (ah, ma allora è un vizio!). Ci rifocilliamo, un occhio ad un talk-show in tv (educato, non urlato) e la strada sottostante, col suo minimo traffico a 5 decibel. Altri avventori si sistemano attorno a noi, lingue incomprensibili bisbigliate tra un boccone e l’altro. Chiasso zero. Anche le orecchie qui sono in vacanza. Nel primo pomeriggio, giretto per il paese, modesto ancorchè curato e pulitissimo, ma senza quella certa aria ricercata e perfettina osservata in Svezia. Ci imbattiamo in due belle chiese, una recente (1859) costruita usando pietre bianche estratte proprio in città (culto evangelico-luterano), l’altra completamente in legno e che è tra le più antiche della Lapponia, edificata nel lontano 1689 e restaurata nel 1926, usata per i matrimoni tradizionali, ornata di particolari sculture sul tetto; un vero miracolo sia rimasta in piedi, stante la distruzione totale operata dalle truppe naziste in fuga dai sovietici durante la 2^ Guerra Mondiale. Un giretto anche per l’attiguo cimitero, prospiciente il fiume. I camposanti sono luoghi molto istruttivi e, anche chi non c’è più, può raccontarci, tramite i nomi e cognomi e le fotografie, qualcosa di sé e del luogo visitato. Un paio di lapidi ci incuriosiscono, perché accanto ai nomi dei defunti sono aggiunti anche degli stemmi particolari: uno ricorda un gladio, l’altro sembra una specie di croce uncinata. Chissà, magari queste persone, defunte da tempo, hanno prestato servizio militare inquadrati nelle file del Reich (non dimentichiamo che la Finlandia, a suo tempo, fu inquadrata come “collaborazionista” delle forze dell’Asse). Ritorno allo chalet, consultazione del meteo aurora (oggi dicono: “aurora di bassa intensità, tra le 3.00 e le 5.00), romantica cenetta e poi a nanna; sveglia nuovamente a notte fonda, sai mai che si riesca a vedere qualcosa… Alle 3.00, completamente rintronata, mi butto un giaccone addosso e metto il naso fuori, senza svegliare Max; mi accorgo che il prato è completamente brinato, vuol dire che siamo nuovamente sottozero ed è meglio vestirsi come si deve. Faccio un paio di passi in giardino ed osservo il cielo sopra di noi; fortunatamente è sereno e le stelle brillano come diamanti sul velluto. Ma non scorgo nulla. Ritorno in branda, puntando la sveglia alle 5.00. Alle 5.00 mi rialzo, già vestita, e torno ad osservare il cielo, poco speranzosa. Un momento… c’è qualcosa! Aguzzo la vista, mi stropiccio gli occhi ancora assonnati e scorgo una pallida luce semovente, lattiginosa. La osservo con attenzione per accertami che non sia una nuvola di passaggio. No, è proprio l’aurora, ma… in bianco e nero! L’Aurora Boreale dei Poveri. Torno dentro a svegliare Max; sarà anche in bianco e nero, ma sempre aurora è! Insonnolito, getta lo sguardo all’insù: “Ma… e i colori? “Tesoro…” lo rincuoro io “ma per 30 euro di bungalow e cesso in comune, cosa pretendi, anche l’aurora a colori?!?”. Ridiamo (per non piangere..) nella fredda notte boreale, mentre l’erba ghiacciata fa crack-crack sotto le nostre scarpe. Rimaniamo ancora qualche minuto ad osservare questo pallidissimo fenomeno. Bè, consoliamoci, c’è chi viene qui apposta e non la vede affatto! Sogghignanti, ce ne torniamo nei nostri sacchi a pelo. Domani si riparte.

Mercoledì 
Ci alziamo di buon mattino, destinazione Rovaniemi e il mitico Napapiiri (cioè Circolo Polare Artico in finlandese); giornata plumbea, traffico scarso. Piccola sosta in un negozietto di souvenir per gli ultimi acquisti; la gentile signora dagli occhi blu si informa sulla nostra provenienza e facciamo un paio di commenti sulla giornata; ormai è arrivato l’autunno, le giornate si accorciano, e poi ci sarà solamente buio e neve. Per la signora fonte di tristezza, per noi (per me, poi..) motivo di gioia e allegria; Max propone uno scambio: la signora torna con lui, io rimango qua! Rimontiamo in macchina, e a bordo strada vediamo uno strano cartello… dice “occhio alla motoslitta”!. Fa sorridere, ma effettivamente, con tutta la neve che cade qua, la motoslitta può rappresentare l’unico mezzo per spostarsi da un luogo all’altro (e anche condurre le renne). Quanto ci piacerebbe tornarci in inverno! Alle 13.00, con un timido sole, eccoci a Rovaniemi, che sembra una piccola Disneyland in salsa finnica. Che ci vuoi fare? E’ sempre un modo per fare cassa. Troviamo parcheggio senza problemi tra uno scavatore e un camion di terra, siamo in pochi turisti, e tutto il sito è in rimessaggio. Fa quasi caldo, tanto che Max gira in maniche corte. Rapido giro tra le costruzioni in legno che ospitano caffè, ristoranti, outlet (?), negozi di souvenir, l’ufficio postale di Babbo Natale (o Santa Claus, che qui viene chiamato Joulupukki in lingua locale), dove si ricevono tonnellate di letterine a Babbo Natale provenienti da tutto il mondo e dove si possono spedire gli auguri col timbro di Santa Claus. Poi una casa dal tetto a punta aguzza con una tabella che dice “Santa is here”. Si entra e subito si viene accolti da una musichina soft e molto fiabesca, e qualche “elfo” aiutante si aggira per i negozi. Per raggiungere Babbo Natale si seguono le indicazioni sparse un pò ovunque, poi, nella penombra, si attraversa una specie di superficie ghiacciata (in resina) dentro un tunnel, sempre con sottofondo di musichetta fiabesca, con campanelli e rintocchi di orologio a pendolo, molto suggestivo ma anche molto kitsch. Incontriamo un’enorme ruota che a prima vista sembra un rotolo di nastro adesivo, se non che il nastro è formato da migliaia di cartoline/desideri scritti dai visitatori di tutto il mondo. Abbondano le richieste in lingua italiana, mittenti di tutte le età: “…tanta salute per i miei bimbi”, “…la pace nel mondo” “…tanti giocattoli” “vorrei tanto un fuoristrada” (questa non è nostra, lo giuriamo!). Max vuole suggellare i 50 anni con una foto con Babbo Natale. “Ma Massimo, come i bambini?” chiedo io, sorpresa. “Certo” ribatte lui “invecchiando si torna un po’ bambini, no?”. Come dargli torto? Per raggiungere il venerato Babbo, bisogna salire una scala a semicerchio; sulla parete, sopra la balaustra, fanno sfoggio diverse foto del Babbo assieme a delle celebrità; quasi tutte le facce ci sono sconosciute, meno una: la osservo bene e mi accorgo che è… Sergej Lavrov, ministro degli esteri russo! Ah, beh, allora, se l’ha fatta pure lui….! Ci mettiamo in coda, dietro a due ragazze orientali. Si può fotografare dappertutto, ma nella stanza di Santa Claus è espressamente vietato. Intanto che aspettiamo il nostro turno, osserviamo un quadretto che illustra la “top ten” dei paesi di provenienza dei visitatori; subito dopo Finlandia e Russia, al terzo posto c’è… la Cina! Ci siamo, tocca a noi. L’elfo aiutante ci fa accomodare e ci indica dove possiamo poggiare zainetto e macchina fotografica. Con il classico “Oh oh oh” il panzuto personaggio ci accoglie, comodamente seduto su di una seggiola a schienale alto, in legno, piuttosto semplice, con casacca rossa e bianca e berretto rosso e lungo lungo a scendere sulla barbona bianca e riccioluta, pantaloni over-size di panno grigio, calzettoni fatti a maglia a righe ed enormi babbucce in feltro marrone; la stanza sembra “vissuta”, il pavimento a doghe è consumato come il tappeto, alle sue spalle grandi planisferi e carte geografiche “antiche”, un telefono a muro stile primo ‘900, una libreria piena di libri, carte arrotolate, altri libri sparsi un po’ dappertutto, in uno studiato disordine… a dirla tutta, sembra un po’ casa nostra. Ci accomodiamo su delle panchette. Osservo che avrà forse poco più di cinquant’anni, e gli occhi blu spiccano sulla carnagione rosea e i baffoni e la barba candida. Devo dire che non ho mai visto una barba finta così realistica! E’ (quasi) poliglotta, ci chiede la nostra provenienza e così veniamo a sapere che lui conosce Trieste (!) perché ci è passato la scorsa estate per andare in vacanza in Croazia (!!). L’omone è gioviale e ci chiede se siamo venuti in aereo. Ma quale aereo, in macchina! Lui sgrana gli occhioni blu chiedendoci quanti km sono da casa nostra e ci fa i complimenti. Pronti per la foto? L’elfo aiutante si improvvisa fotografo (in effetti, la stanza di Babbo Natale è uno studio fotografico, con tanto di spot, lampeggiatori, pannelli riflettenti), un, due, tre “cheeese” (ma a me è parso che stringesse un po’ troppo la mano sulla mia spalla… J ). Un paio di scatti, tanti saluti e possiamo lasciare il posto ad altri. Uscendo, un altro elfo ci mostra le foto; se ci piacciono, possiamo acquistarle, altrimenti non è obbligatorio. Ovvio che le acquistiamo, assieme al piccolo video dell’incontro. Il tutto scaricabile dal loro sito internet tramite pin. Insomma, 39,00 euro per tornare un po’ bambini! Usciamo e il sole ha preso coraggio. Foto ricordo sulla linea che demarca il Circolo Polare Artico a 66°32’35” di latitudine nord, e poi immersione tra i negozietti di souvenir. Anche qui un po’ di tutto, ma ci colpisce il negozio dell’artigiano pellaio, che confeziona babbucce in pelle di renna (dice lui). Sì, sono di pelle vera, ma la pelliccia è palesemente sintetica, per cui siamo un po’ perplessi nell’acquisto. L’artigiano, da cordiale, si fa scortese e, sibilando “thank you, thank you” ci accompagna in malo modo alla porta. Eravamo gli unici clienti là attorno… Alla fine, non acquistiamo niente da nessuno, e ce ne andiamo da Rovaniemi e dal Circolo Polare con un po’ di amaro in bocca. Peccato. Sempre verso sud, direzione Baltico. A metà pomeriggio raggiungiamo Tornio, città divisa a metà dal fiume Kemijoki che fa da confine con la città svedese di Haparanda.  Il primo impatto non è dei migliori: purtroppo una fosca cappa grigia proveniente dal mare avvolge questa cittadina, già grigia di suo. Troviamo alloggio al Tornio City Hotel, costruzione di anonima linearità, ma camera spaziosa. Quattro passi per il centro, sul quale aleggia un’atmosfera di pesante mestizia. Due splendide chiese (una ortodossa, l’altra luterana, in architettura lignea tradizionale) spiccano tra tanti condomini in grigio cemento, squadrati, anonimi, tutti uguali, poco dissimili dagli ultimi prodotti dell’architettura sovietica; vorremmo tanto che qualcuno ci spiegasse perché i condomini sovietici vengono definiti tristi e rozzi e quelli finlandesi, praticamente uguali, vengono esaltati come “rigoroso design scandinavo”. Attraversiamo una zona pedonale semi deserta, con pochi negozi aperti; scopriamo che qui la vita comincia alle 7.00 e si ferma tra le 16.00 e le 18.00. Se da un lato la chiusura anticipata consente a chi vi lavora di godersi un po’ di più le ore libere, d’altra parte per chi viene da fuori, e ancora non conosce le abitudini locali, è un po’ spiazzante trovare tutto chiuso già alle 18.00, così anche il desiderio di riposarsi e concedersi un pasto caldo... va a farsi benedire. Persino un enorme centro commerciale sta già chiudendo i battenti; osserviamo le vetrine: intimo prezioso indossato da tristi manichini di polistirolo sbeccato (sembrano ferite di guerra, ricordi di troppi saldi alle spalle) che aggiungono squallore alla mestizia. Tentiamo di cercare un posto per un boccone. Una birreria! Entriamo, ma nessuno sembra badare a noi. Attendiamo che qualcuno almeno ci chieda che vogliamo, ma sembriamo invisibili, facciamo qualche cenno alla banconiera, ma evidentemente non fanno servizio al tavolo (e la banconiera ben si guarda dal dircelo) perciò ce ne andiamo. Cerchiamo altro, ma ormai sono quasi le 19.00, e gli unici locali aperti sono i pizza-kebab e take-away cinesi, thai, indiani…. Non ci resta che spostarci verso la zona pedonale ed entrare in un pizza-kebab che, incredibilmente, chiude alle 21.00. Scherzi del destino, l’esercizio si chiama “Pizzeria Utopia”… ecco, appunto, un’utopia trovare qualcosa di finlandese aperto… E’ surreale, perché questo locale in un’ora ha fatto almeno 12 clienti finnici, tra servizio al tavolo e take-away, mentre la signora del locale a fianco (finlandese) aveva già sistemato le sedie sui tavoli e lavava il pavimento… Nel nord Europa (e non solo…) ci si lamenta tanto per l’invasione dei “kebab”, ma voi, autoctoni, dove siete? Ok, niente alcolici, però la gente viene e spende ugualmente. Senza questi localini “stranieri” l’intero quartiere, al calar della sera, sarebbe senza vita (col centro commerciale già chiuso!) e lo stesso sembrano pensarlo gli avventori finlandesi; un panino, una pizza, un hamburger con una bibita sono sempre ben graditi e fonte di aggregazione, altrimenti qui sarebbe da suicidarsi. Alle 20.30 ce ne torniamo in albergo, le strade grigie sono vuote ad eccezione di qualche skinhead e qualche ragazzino ciondolante. Näkemiin Suomi! (arrivederci Finlandia).

SVEZIA, fine di un mito 
Di primo mattino attraversiamo il ponte sul fiume e siamo in Svezia, oltrepassiamo l’anonima città di Haparanda e ci dirigiamo, inesorabilmente, verso sud. Manco partiti, che nei pressi del paesino di Kalix ci dobbiamo fermare, perché un disco volante appare a lato della strada… Scendiamo, e scopriamo che il disco volante, con tanto di E.T. a grandezza naturale, è fatto di legno, e tutto attorno ci sono riproduzioni fedeli, sempre scolpite nel legno, di jeep militari, aerei della 2^ guerra, un carro armato a grandezza naturale, un biplano, assieme a totem pellerossa, e un vero camion Scania delle forze armate svedesi… Poveri noi… un paio di foto e si prosegue, imboccando l’autostrada, contornata da alti recinti a prova di alce, tentando di non soccombere all’abbiocco causato dalla monotonia della strada e da un sole sorprendentemente gagliardo. All’ora di pranzo, però, l’inaspettato: proprio oltre la rete divisoria, una figura gigantesca spicca un balzo verso la prospiciente foresta: un’alce! Eccola, finalmente! Agguanto la Nikon, ma neanche farlo apposta lo zoom non ne vuole sapere di metterla a fuoco, così sono costretta  a focheggiare a mano: il risultato è una serie di scatti di un animale molto alto, scuro, con un accenno di corna, che si allontana senza troppa fretta verso il bosco, salvo poi fermarsi dietro un pino per osservarci con comodo (siamo in auto, quindi non ci teme più di tanto). Ora il “para-alci” sui TIR ha un suo perché. L’alce ha la brutta abitudine di sbucare all’improvviso sulla strada, salvo poi compiere qualche scarto repentino ed imprevedibile. Proviamo ad immaginarci un bestione di quasi 800 kg, alto oltre un metro e ottanta alla spalla, magari maschio provvisto di corna enormi, che salta fuori dalla foresta e ti taglia la strada all’improvviso: non sono rari gli incidenti contro questi cervidi giganteschi, e purtroppo spesso sono mortali (per tutti). E’ così alto che una renna, senza corna, potrebbe tranquillamente passargli sotto alla pancia senza abbassarsi! Il fugace incontro ci emoziona e ci toglie un po’ dall’apatia che questi lunghi e solitari nastri d’asfalto inevitabilmente ci fanno precipitare. Verso il primo pomeriggio decidiamo di far una sosta e scendiamo verso il mare. La cittadina di Luleå (si pronuncia Luleo) sembra far al caso nostro, protesa sul Golfo di Botnia e con tante isolette prospicienti. La giornata ora è splendida, il cielo blu come il mare. Ci fermiamo in uno spiazzo attrezzato vicino al porticciolo, per una birretta in santa pace (non è difficile, qui…), con la sola compagnia di un giovanotto con un bimbo handicappato, silenziosissimi. Sorseggiando la birra, osserviamo le strolaghe che si tuffano nell’acqua bassa, scintillante di riflessi. Risaliamo in auto per fare un giretto in questa cittadina balneare, e così abbiamo modo di osservare i vari cottages (rossi, ma anche blu, azzurri, grigi, ocra, verdi) che punteggiano questa costa. Dato che in queste lande la luce è poca, le case hanno ampi finestroni senza tende, tanto tutti si fanno gli affari propri e non c’è l’abitudine di guardare nelle case degli altri. Noi, invece, da bravi curiosoni mediterranei, approfittiamo dell’occasione per “sbirciare” nello stile di vita svedese. L’arredamento stile Ikea è imperante, tutto su toni  che vanno dal grigio, all’avorio, al perla, al celestino mutanda… non riusciamo a capire come si faccia ad apprezzare questo stile monacale, e francamente punitivo, quando anche l’esterno è pallido e grigio per la maggior parte dell’anno. Ci immaginiamo l’inverno: bianco dappertutto, torni a casa e trovi sì un caminetto scoppiettante, circondato però da mobilia di betulla chiara, muri grigi, suppellettili bianche... Sinceramente, lo troviamo un tantino depressivo. Ci fermiamo in un porticciolo di pescatori, giusto il tempo per uno scatto del Golfo. Sto inquadrando una porzione di mare ben soleggiata quando nel mirino mi appare una patina opaca; oddio, penso, la Nikon mi fa di nuovo problemi…. Distolgo l’occhio dal mirino e guardo il mare: non è la macchina a fare problemi, sta arrivando un banco di nebbia talmente fitto che in breve nasconde tutto il paesaggio, tanto da non vedere più le barche sotto di me e nemmeno Max che mi aspetta in auto. Bè, noi siamo nati in una città di mare nell’estremo nord dell’Adriatico, quindi di brume marittime umide e fredde dovremmo avere esperienza. No, ci rendiamo conto che noi NON SAPPIAMO che cosa significa quell’umidità che ti attanaglia le ossa. Il banco di nebbia avanza compatto, mi avvolge come un enorme sudario fradicio e ghiacciato, penetrando attraverso gli abiti e raggiungendo le ossa, intirizzendomi, trasformando il sole in una palla fredda e satinata, per poi andarsene com’era venuto e lasciandomi basita a contemplare un golfo splendente e luminoso. Due minuti di vero panico. Torno in auto e Max mi dice: “Non ti vedevo più!”.
Di nuovo in marcia, passando un’infilata di paesi simili; dopo Luleå, si raggiunge Piteå, poi Skellefteå, Umeå… dato che la “å” col tondino si pronuncia “o”, ne consegue che i paesi si pronunciano Luleo, Piteo, Skellefteo, Umeo… conferendo un vago retrogusto veneto alla toponomastica svedese.
Ogni tanto, percorrendo l’autostrada, ci imbattiamo in strani varchi nelle reti di recinzione a margine della carreggiata, varchi presenti in ambedue i sensi di marcia; prima uno, poi un altro, un terzo, sono singolari, perché sembrano delle porte di calcio (più piccole e basse, però), dipinte in giallo-nero e, appese sulla traversa, una serie di catenelle giallo-nere che pendono fino quasi al terreno. Sul momento non riusciamo a comprenderne l’utilità ma, km dopo km, ecco che i loro significato è lampante: semplicemente, sono i varchi per le motoslitte! Con la neve alta che copre tutto, e con il traffico scarso, sarebbe stupido precludere gli spostamenti con la motoslitta solo perché i loro percorsi battuti intersecano un’autostrada quasi sempre deserta!
Ormai abituati al silenzio, proseguiamo nel nostro muovere verso sud; incontriamo altri paesi più o meno grandi, la Svezia meridionale torna ad essere più popolata; abbiamo perciò modo di osservare la fauna umana che incrociamo; ma dove sono finite le belle svedesi del mito? Non dovevano essere tutte come Filippa Lagerbäck? E i gli uomini stampo vichingo, bei guerrieri alti e biondi? La gioventù lascia parecchio a desiderare: si muovono in skate, bici, o con i bastoncini da nordic walking, ma le ragazze sono quasi tutte di media altezza e in abbondante sovrappeso, non c’è n’è una che non sia sotto gli 80 kg, risultato di una vita virata al troppo: troppo sedentaria, troppo computer, troppi hamburgare (come li chiamano qui) e troppe ubriacature del week-end; i giovani vichinghi sono quasi tutti alti e biondi, dalle belle facce nordiche, e potrebbero ben figurare come modelli per sport estremi, se non fosse che a diciott’anni trascinano in giro corpi sfatti e panze flaccide da pensionati bavaresi. Ogni tanto sull’asfalto vediamo dei cerchi lasciati dalle sgommate dei pneumatici; se questo, dopo facebook e le bevute di birra e vodka, è il solo passatempo dei ragazzi svedesi, siamo messi male… Gli unici in forma sono gli anziani, alti e asciutti, pimpanti in tuta e scarpe da jogging, molti coi bastoncini da nordic-walking, generazione che non ha conosciuto i vizi della vita hi-tech… Per rompere la monotonia del viaggio, accendiamo la radio, magari riusciamo a sentire un po’ di idioma locale e un po’ di musica che non sia anglosassone; per l’idioma locale siamo accontentati (una cantilena un po’ strascicata, un tantino monocorde, senza le durezze germaniche), ma su qualsiasi stazione ci si sintonizzi, è impossibile ascoltare qualcosa che non sia di provenienza anglo-americana; ah, che bei ricordi dell’Albania e della sua “Radio Dimensio” con repertorio pop-turbo-folk in salsa balcanica! Ma dopo esserci sorbiti la lagna angloamericana per tutto il viaggio d’andata, all’ennesimo passaggio di Kate Perry, Miley Cyrus, e gli onnipresenti Abba (ormai eroi nazionali) spegniamo, per non essere sopraffatti dalla nausea. Molto meglio il silenzio. Di questo Paese senza identità siamo già abbondantemente stufi.
Ennesima ricerca di un posto dove passare la notte, ma non riusciamo a trovare null’altro che non sia un solito motel della Scandic. Siamo nei pressi della città di Örnsköldsvik. La  consueta camera minuscola nei toni bianco/caffè, carissima (187,00 euro), abbellita (secondo il loro gusto) da una maxifoto, sopra al letto, che ritrae un viso di ragazza scandinava (in bianco/nero) in un atteggiamento da estasi mistica; secondo noi devono essere gli effetti collaterali della pittura argentata che le hanno spruzzato in faccia; se per gli svedesi questo è un esempio di “scandinavian style”, per noi altro non è che un brutto “remake” delle facce argentate dei Rockets anni ’70. Abbandoniamo subito questo obbrobrio per andarcene a cena; concediamoci un pasto caldo, al posto delle nostre solite provviste. Scopriamo che c’è un buffet self-service, ma è preso d’assalto da due comitive di arzilli e vivaci ottantenni appena sbarcati dai pullman. Intanto che attendiamo la sciamatura delle vegliarde cavallette, ci guardiamo un po’ attorno per osservare la fauna locale. Anche qui, il personale di servizio è tutto fuor che svedese. Dal nostro tavolo possiamo osservare anche il parcheggio e l’autostrada, vediamo diverse persone; finalmente facce scandinave, ma su corpi samoani. Max si chiede dove sono sparite le splendide stangone svedesi che lo facevano sognare quando frequentava i campeggi. “Sì, ma quanti anni fa?” chiedo “Bè… circa 40..” è la risposta. “Vuoi sapere dove sono finite le svedesine di allora? Eccole qua, proprio dietro di te”. Le arzille turiste sono venute a sedersi in gruppo proprio vicino al nostro tavolino. L’età media dei due gruppi (uomini e donne) è attorno ai 70 anni, però probabilmente sono gli unici svedesi veri e propri rimasti; gli uomini somigliano tutti a Max von Sydow; le signore, quarant’anni fa dovevano essere bellissime; ora, nonostante la ragnatela di rughe e i capelli candidi, sono asciutte, ma pimpanti e piene di gioia di vivere. La fame si fa sentire, vado a vedere se nel buffet c’è rimasto qualcosa; niente di allettante, perciò ordiniamo alla carta: due striminzite bistecche (da 200 grammi) e 4 birre Starobrno, per un totale di 682 corone, che al cambio sarebbero 74,05 euro! Cominciamo ad essere insofferenti di questo sistema di vita! Ancora una volta bastonati, ce ne torniamo in camera, cercando di evitare di posare lo sguardo sulla tizia in contemplazione estatica sopra al nostro letto.

Venerdì 
Ci alziamo presto e sgattaioliamo via da quella stanza e dalla mistica in silver-glitter, colazione rapida e di nuovo in marcia, direzione sud-sud ovest. La strada segue la costa, in un paesaggio nuovamente uniforme, attraversiamo anche qualche cittadina, girando attorno alle “rondellen” (cioè come vengono chiamate qui le rotatorie). Ora vediamo più gente, il sud della Svezia è densamente popolato. Nel primo pomeriggio, con un bel sole obliquo e l’aria tiepida, raggiungiamo e oltrepassiamo Stoccolma, nel traffico prefestivo del venerdì. Verso sera usciamo dall’autostrada per dirigerci verso Nyköping e cercare un campeggio o un b&b. Niente da fare, sembra che non esistano altro che i famigerati hotel Scandic; speravamo che l’ultima notte in Svezia trascorresse in modo diverso, invece… La cittadina è simile alle altre, con la differenza che le case in legno sono a più piani e propongono una tavolozza di colori pastello che ben si fondono con i viali alberati. Seguiamo le indicazioni per l’hotel Scandic, situato in centro città. Memori della bastonata della sera prima, ci informiamo sul costo: 990 corone, circa 108,00 € per il B&B; bè, ci possiamo stare. Il bar-lounge dell’albergo è pieno della movida del fine settimana, e sembra tanto un tableaux-vivant in salsa Ikea; il brusio nemmeno troppo sommesso ci ricorda che, dopo qualche migliaio di km nel silenzio totale, stiamo tornando alla “civiltà”. Ci assegnano la solita camera, stessi colori, stessa biancheria…. Fortunatamente sopra il letto non ci sono mistiche in lustrini, ma foto di campioni svedesi dello sci…. Mah. Ad evitare cene con conto-batosta, ci sfamiamo in camera con le nostre provviste. Domani, finalmente, lasceremo questo paese, straniero in casa propria.

Sabato 
Fatta la colazione, ci mettiamo subito in marcia, rotta ovest-sud-ovest, verso Jönköping e Malmö, riprendendo poi la strada dell’andata. E sembrano essere passati mesi. Il traffico si fa un po’ più sostenuto, e verso Malmö si intensifica, restando comunque scorrevole. La luce di metà pomeriggio rende più suggestivo l’orizzonte piattissimo, dove il cielo si spalanca su bracci di mare blu e su simpatici mulini a vento che sembrano fatti di lego; qualche nuvoletta rosa rende il quadro ancora più bucolico; poco prima delle 16.30 raggiungiamo il ponte sull’Øresund, il braccio di mare che separa la Svezia dalla Danimarca; inaugurato nel 2000, è il più lungo ponte strallato d’Europa, quasi 16 km tra ponte e tunnel; ci avviciniamo al casello e paghiamo il pedaggio di 46,00 €; correndo tra mare e cielo, ci lasciamo la Svezia alle spalle; superata l’isola artificiale di Peberholm, raggiungiamo il tunnel sottomarino (un altro!) e sbuchiamo nei pressi di Copenaghen.

DANIMARCA, la grande piattezza 2 
Eccola, placida Danimarca, che si stende pigramente tra campi verdissimi e casette che sembrano quelle del Monòpoli. Il ring di Copenaghen si srotola subito alle nostre spalle, ora puntiamo verso ovest per raggiungere il secondo ponte del pomeriggio, quello che separa l’isola di Sjælland dall’isola di Fyn, sul braccio di mare denominato Storebælt; ore 17.44 approdiamo al casello, 33,00 € di pedaggio e attraversiamo l’ultimo braccio di mare scandinavo, direzione Odense, patria di quel Hans Christian Andersen che tanto ci ha incantati da bambini. Prima del tramonto, facciamo un giretto nella cittadina di Nyborg, alla ricerca di un letto. Di sabato pomeriggio qui non si lavora, perciò facciamo due passi tranquilli tra muri in mattoni rossi e antichi panifici; troviamo una specie di b&b, anche qui pieno di anziani in gita; entriamo in quella che, a prima vista, sembra una ex casa di riposo… chiediamo se hanno posto, ma è tutto occupato dalla comitiva dei pensionati, quindi ci rimettiamo in marcia, sempre direzione Odense. Nel paese di Langeskov troviamo quello che sembra un hotel-ristorante. Strada tranquilla, traffico scarso… Il Langeskov Kro è un esercizio gestito da una famiglia turca e forse, stavolta, riusciremo a fare una cena come si deve… La camera è spartana, pavimenti in linoleum color pesca, copriletti che sembrano provenire dal baule di qualche parente anatolico, doccia con scarico direttamente nel pavimento di gomma … ma almeno l’atmosfera ha quel non so che di genuino e ruspante, e sembra una boccata d’aria fresca rispetto all’anonimo arredamento svedese tristemente uguale, città dopo città. Il tutto per 90,00 euro, con colazione. Il proprietario, un levantino scuro e panzuto, ma dalla tipica cordialità mediorientale, ci fa accomodare nel salone, in compagnia di una tavolata di famiglia danese (anche qua tutti obesi, pure i bambini…). Due birre enormi e piacevolmente fredde ci ritemprano dei km percorsi, accompagnate da pane tipo pita, bisteccone degne di questo nome, contorni vari e piacevolmente stuzzicanti; il conto di 60,00 euro stavolta lo paghiamo volentieri, almeno ci siamo riempiti lo stomaco di bontà... Le premure del turco quasi ci sorprendono, abituati come siamo ormai da 15 giorni di nordica solitudine e luterano distacco. Altre due birre danesi, ben spillate, per chiudere in bellezza e a nanna. La Germania ci attende!

GERMANIA, herzlich willkommen! 
Domenica 
Prima colazione non particolarmente ricca, ma gustosa. Lasciamo i turchi con un bel ricordo della loro gentilezza, e in una bella mattina di nuovamente caldo sole autunnale, ci dirigiamo verso il confine tedesco. Ultimo rifornimento di gasolio, in ricordo di questo piatto Paese ci mettiamo in tasca delle monete col buco e cuoricini… nel paese delle fiabe, ci pare d’obbligo che si batta moneta con impressi dei cuoricini! I km scorrono veloci nel poco traffico domenicale, e verso mezzogiorno solamente un cartello blu con le stelline gialle ci avvisa che stiamo entrando nell’ultima parte di questo lunghissimo viaggio. Entriamo nel primo Land confinante con la Danimarca, lo Schleswig-Holstein, terra piattissima e sabbiosa, nota anche come Pomerania. Nella già trafficata autobahn ci fanno compagnia singolari roulotte… da moto, davvero simpatiche in tutte le loro varianti, a sottolineare ancora una volta lo spirito nomade di questi discendenti degli antichi guerrieri sassoni. Sempre verso sud, procediamo alla volta di Amburgo, che fa Land a sé stante, ricordo del suo passato di capitale anseatica; l’enorme e trafficatissimo porto sull’Elba si annuncia con una selva di gru già da lontano, e ci immaginiamo di scavalcare il fiume con un ponte, invece… sorpresa! Imbocchiamo un lungo tunnel che sprofonda esattamente sotto al letto del fiume! L’emozione dura poco, in un attimo sbuchiamo sulla sponda opposta e ci lasciamo la città-stato alle spalle. Dopo pochi km arriviamo al secondo Land più esteso di tutta la Germania (dopo la Baviera), e precisamente il Niedersachsen (Bassa Sassonia). Il paesaggio è ancora estremamente piatto, però il traffico consistente e la notevole antropizzazione di quella che è a tutti gli effetti una immensa brughiera, segnano il definitivo distacco da quelle cupe marche di frontiera boreale alle quali ci eravamo già, in sostanza, ben abituati. Verso le 17.00 approdiamo a Lüneburg, la “città delle rose rosse”, e troviamo facilmente parcheggio nei pressi del centro storico; ci piacerebbe poter dormire qui! Quello che colpisce particolarmente di questa graziosa cittadina anseatica non sono solamente gli edifici in mattoni dalle facciate convesse, ma l’estrema pulizia delle strade, nonostante l’intenso viavai di turisti e studenti. Non c’è una cicca per terra nemmeno a pagarla oro, ci si potrebbe mangiare, seduti sul grigio acciottolato! Il nostro giro inizia dal ponte sul fiume Ilmenau, e quasi tutte le case ancora protendono le loro gru in legno direttamente sull’acqua o sulle viuzze più trafficate. La città di Lüneburg ha fatto fortuna con il commercio del sale, minerale che abbonda nel sottosuolo. Peccato che a forza di scavare, le fondamenta degli edifici in mattoni, nel corso dei secoli, hanno cominciato a cedere, e così ci troviamo ad ammirare case panciute, facciate sbilenche, campanili pendenti; la brughiera non offre roccia, perciò l’unico materiale da costruzione è l’argilla, con la quale impastare i mattoni; mattone su mattone, è stata edificata una bellissima cittadina, anche questa sembra uscita da una scatola di Lego! Tra “am Sande” e il “Markt”, cioè la lunga piazza della Camera di Commercio ed il Mercato, si passeggia tranquilli, essendo tutto pedonale; gerani alle finestre e una tranquillità da paesotto di campagna completano l’idilliaco quadro. Anche quassù, la Germania si conferma un paradiso per ciclisti e pedoni. Molte sono le case in mattoni e l’intelaiatura di legno scuro, risalenti alla metà/fine del Cinquecento, donando quel sapore medieval-fiabesco che ci fa tornare un po’ bambini (Hameln e il suo pifferaio magico distano poche decine di km da qui). Proviamo a bussare ad un paio di porte di suggestivi hotel, ma i prezzi proposti ci scoraggiano un po’. Decidiamo quindi di uscire da questa cittadina-museo e provare in provincia. Poco prima del tramonto ci fermiamo nel parcheggio dell’hotel ristorante Rüter’s, a Salzhausen (che, traduzione spicciola, significa “abitare nel sale”), piccolo borgo in mattoni, avamposto nella brughiera. L’hotel, anch’esso in mattoni rossi, si presenta bene, con la bella facciata ricoperta da vite del Canada ed ingresso accogliente. All’inizio del racconto di questo viaggio, accennavo a quell’ostico termine tedesco, la “Gemütlichkeit”. Il difficile termine sta ad indicare quel tipo di accoglienza speciale ma al tempo stesso “intima”, quel “farti sentire bene come a casa tua”, una specie di calore da focolare domestico, anche se casa tua non è, ma ti senti  a tuo agio come se lo fosse. Il receptionist è anche cameriere di sala e tuttofare al bar, (si intuisce che la gestione è familiare), e il simpatico sassone dai baffi scuri si prodiga per accoglierci nel più breve tempo possibile. Sul momento, senza pensarci, ci rivolgiamo a lui (ormai come d’abitudine nordica) in inglese, ma intuiamo che lo mastica più o meno come noi, perciò proseguo io in tedesco, con grande sollievo per entrambi. Max non ha proprio le mie stesse sensazioni, ma io comincio davvero a sentirmi come a casa mia; sbrighiamo le formalità e ci dirigiamo nella nostra stanza; questo albergo è in attività, come luogo di ristoro per commercianti e viandanti, fin dal lontano 1540, e la sua gestione è sempre stata familiare. Le mura spesse, leggermente spioventi ed intonacate di bianco ci accompagnano fino alla nostra stanza, ampia e confortevole, e con un bagno spazioso. Il letto in legno massello intagliato e le finiture sempre in legno con intarsi rendono preziosa la sosta, un balconcino tranquillo, ma quello che ci solletica è il letto di dimensioni “nordiche”, e cioè quel 180x200 che in Italia non sempre si trova; aggiungiamo i cuscini in piuma e le trapunte, pure in piuma d’oca, che sembrano essere fatti apposta per essere strapazzati in un sacrosanto sonno del viaggiatore! Il tutto a 98,00 € con colazione, che sembrano meritarli tutti. Scendiamo per la cena, e subito siamo travolti da una confusione e da un trambusto al quale, dopo 15 giorni, non eravamo più abituati. Se confrontati con il mutismo scandinavo, qua sembra di stare ai Caraibi. Gente che va e che viene, boccali di spumeggiante birra bionda serviti ad allegri avventori, “prosit” a raffica, piacere della compagnia… Ritroviamo tutta quella gioia della convivialità che nel profondo Nord sembra essersi persa tra i muschi della Taiga. Matthias, il simpatico baffuto di prima, ci porta il menu; tra il brusio, le birre ed i profumi di carne arrostita, lo stomaco ci si spalanca; e quindi via con una Schweineschnitzel Jäger Art (bisteccona di maiale alla cacciatora), una Forelle Müllerin (trota alla mugnaia), abbondanti contorni e 4 goduriose Lüneburger (profumate birre locali), il tutto per poco più di 45,00 €; ci godiamo così la penultima sera di vacanza. Ed io mi assaporo la “Gemütlichkeit”: soffitti a volta, bassi su tutti noi, da vecchia locanda, la grande stufa in maiolica, trofei di caccia alle pareti, collezioni di peltri, boccali in ceramica, antiche stampe, qualche tappeto consumato dal tempo e dagli avventori… tutt’altra cosa, ripensando allo smunto esistenzialismo scandinavo; e la lingua tedesca a far da cornice, lessico quasi musicale rispetto ai sbrigativi e monocordi idiomi nordici; in attesa della cena, osserviamo la cameriera dietro al bancone nell’arte di spillare la birra; prima sciacqua il boccale con un getto d’acqua, poi, leggermente inclinato, lo pone sotto alla spina, riempie il boccale per tre quarti e lascia decantare la spuma, per circa un minuto; nessuno le fa fretta, intanto si chiacchiera con i clienti, in rispettosa attesa. Un’altra spillata e la birra riempie il bicchiere quasi all’orlo, ancora un attimo di pausa e l’ultima spillata per il corposo cappello di schiuma. Ora il boccale può essere servito a regola d’arte. E così ce li servono; per chi ama davvero la birra, questo rituale è pregno di significati. Una comitiva di ragazzi di una polisportiva locale irrompe nella sala, con medaglie, coppe ed allenatori. Una bevuta in compagnia è d’obbligo, i “prosit” si sprecano. Stanchi, un po’ storditi da una genuina confusione che ormai ci era estranea, lasciamo gli avventori (parecchi già brilli) alle loro teutoniche chiacchiere e ce ne andiamo a sprofondarci in quella piazza d’armi di soffici piume.

Lunedì 
Un letto da favola presuppone un risveglio da favola. Il nuovo giorno, ahinoi, si annuncia con un martello pneumatico in azione proprio sotto alle nostre finestre, alle 8,00, con teutonica puntualità. Speravamo in un risveglio meno traumatico, ma tant’è. Prepariamo i bagagli e scendiamo a far colazione, abbondante, come da tradizione tedesca. Ci congediamo da questo bellissimo locale, consegniamo le chiavi a Matthias, che ci augura un buon viaggio con tanta cordialità. Danke, alles wunderbar (martello pneumatico a parte)! Prima di imboccare la E45, direzione sud verso l’Assia, facciamo una piccola sosta in un paesino poco fuori Salzhausen, per ammirare le tipiche case dei contadini sassoni, che venivano definite “case di solo tetto”. Sono costruzioni in mattoni, legno e poca pietra, generalmente ad un solo piano, la cui particolarità sono i tetti di canne palustri. Ma quello che più colpisce, sono le teste di cavallo incrociate, scolpite nel legno, che fanno bella mostra di sé sul frontone, al colmo del tetto. La tradizione vuole che, se sono molto elaborate, il padrone di casa è una persona rispettata da tutti; se i cavalli guardano verso l’esterno, in casa vi sono dei giovanotti che cercano moglie; in caso contrario, vi abitano delle ragazze da marito che offrono una sistemazione a qualche giovane contadino. Le case che vediamo ora non sono più abitate da semplici contadini, molte sono state convertite a gasthof, come albergo diffuso, e le usanze rurali si sono perse con gli anni; quello che, fortunatamente, non si è perso, è la cura del passato ed il rispetto dell’architettura tradizionale; le teste di cavallo sono ovunque sulle bellissime casette di paglia e mattoni, più o meno elaborate, e tutta l’economia di questa zona vive sui cavalli e sul turismo equestre; cavalcare nella tranquilla brughiera in fiore deve essere semplicemente fantastico! Io vorrei rimanere a bighellonare ancora un po’, ma dobbiamo rimetterci in marcia, il viaggio è agli sgoccioli e vorremmo raggiungere la Baviera prima che faccia buio. Riprendiamo la E45, oltrepassiamo l’enorme ring di Hannover, poi Göttingen, Kassel, Fulda, Würzburg, fino a riprendere nuovamente Norimberga; l’idea sarebbe di pernottare a Monaco di Baviera, ma poi ci accorgiamo che siamo in pieno periodo di Oktoberfest, perciò rinunciamo; non vorremmo trovarci incasinati nel traffico impazzito di bevitori giunti da mezzo mondo! Amiamo la birra, ma a tutto c’è un limite… Poco prima delle 18,00 ci fermiamo nella minuscola cittadina di Greding, case con facciate a scalini, mura medievali con ampi portali, torre difensiva, mulini ad acqua e tanta, tanta tranquillità. Troviamo alloggio al Krone Gasthof, però il proprietario di dice che il lunedì la cucina è chiusa, ma che possiamo tranquillamente cenare dal suo amico, che ha l’hotel di fronte al suo; quattro passi per sgranchirci le gambe e gustarci ancora un po’ di “Gemütlichkeit”. La passeggiata nella fresca aria preserale mette appetito, perciò ci rifugiamo al calduccio nel ristorante dell’hotel “Am Markt” (Al Mercato), già pieno di gente (al nord si cena presto), in una bella sala dalle volte basse a crociera, le mura spesse ed intonacate di bianco. L’ultima cena tedesca, e quindi vai di lager spumeggianti, gulasch travolgente, stuzzicante scaloppina alla birra, zuppa di cipolle dolcissime, croccanti verdure... Rotolanti, ce ne andiamo a nanna, anche qui cullati nel sempre simpatico letto-piazza-d’armi.

Martedì 
Evidentemente, è proprio destino: se il tedesco, nemmeno a casa sua, riposa sugli allori, figurarsi lo straniero; pertanto, sempre con teutonica precisione, alle ore 8,00 arriva il camion sotto alle nostre finestre a scaricare materiale per il rifacimento dei marciapiedi…. Con un sospiro, ci alziamo e ce ne andiamo a far colazione. Montando in auto, con ancora 672 Km da macinare prima di arrivare a casa, abbiamo tutto il tempo per ripercorrere mentalmente questa magnifica avventura nordica. Piccola sosta a Rosenheim, sotto alle Alpi bavaresi, per acquistare qualche fusto di birra locale, in un attimo scolliniamo e siamo nuovamente nel Salisburghese, ripercorrendo la strada intrapresa diciotto giorni prima. Anche quest’anno, siamo partiti a fine estate e ritorniamo in autunno; nonostante siamo ormai a sud, in prossimità di casa, il buio arriva presto; per finire in bellezza ed aggiungere altre due nazionalità nella nostra collezione di popoli di questo grand-tour, sconfiniamo ancora e siamo in Slovenia, a cenare in una gostilna serba, giusto per tenerci leggeri; grigliata mista balcanica, cipolla e peperoni a volontà, ottima pils autoprodotta, venticello che porta i profumi sapidi dell’Adriatico; e pensare che 15 giorni fa eravamo in mezzo alle renne, oltre il Circolo Polare Artico! E sembra una vita fa.

L’EPILOGO


Ogni viaggio insegna qualcosa, si fa tesoro di ogni esperienza. Certo, in quest’avventura scandinava abbiamo volutamente giocato con gli stereotipi dei vichinghi alti-biondi-occhi azzurri, interagendo nella realtà quasi sempre con gentili mediorientali dai vellutati occhi neri, e al posto di rozze bettole tutte birra ed elmi con le corna, abbiamo trovato lustri e analcolici pizza-kebab. Si impara che spesso la realtà non è quella dipinta dalle accattivanti guide turistiche. E che cos’altro abbiamo imparato da questo lungo peregrinare? Cosa ci hanno insegnato le renne lapponi, i lupi svedesi, il rigore luterano, l’aquila di Knivskjelodden, la foca di Norkapp, Maga Magò di Norvegia, i Sami dagli zigomi spigolosi e occhi blu lago? Sicuramente ci hanno insegnato il rispetto e l’apprezzamento del silenzio, quasi frastornante, nella sua totalità. La natura stessa, nella sua immensa e stordente bellezza, ci ha insegnato ad amarla ancora di più. E magari assaporare quegli istanti preziosi ed irripetibili quando, con un profondo respiro, ti guardi attorno e scopri che intorno a te non c’è nessuno per chilometri. Forse è questo l’insegnamento dello spirito del Grande Nord. Sappiamo già che ci mancherà. Facciamo quindi nostro un detto di un famoso viaggiatore, Galen Rowell: “Non lasciarti altro che le impronte alle spalle, e porta a casa solo ricordi felici e buone fotografie!”.

9 commenti:

Erik ha detto...

Interessante meta degli anni 70: si può fare in stagione invernale? Con una macchina normale, no jeep?

max ha detto...

Ciao Erik, scusa se rispondo alla tua in ritardo.
Noi, questo viaggio lo facemmo nel 2014, entusiasti dei posti fantastici, unici nel loro genere, silenziosi da far paura. Lo ripetemmo quasi pari pari due anni dopo in invernale, con la sola differenza che ci fermammo prima di arrivare a Capo Nord, solamente perchè la nostra meta di allora, fu volutamente Murmansk nell'Artico russo.
Per arrivarci, hai generalmente tre percorsi principali da fare: Norvegia, Svezia o Finlandia. Per questo viaggio, scegliemmo la Finlandia.
Puoi andare tranquillamente a Capo Nord nei mesi invernali anche con una macchina "normale", purchè attrezzata almeno con i pneumatici da neve (da considerare anche i chiodi da neve). Su quelle strade, neve e ghiaccio, si formano già alla fine di ottobre e normalmente persistono fino a primavera. Le condizioni delle strade, sono generalmente pulite al massimo. Gli spazzaneve, passano più e più volte al giorno e quindi non ci sono grosse difficoltà nella guida.
Considera poi, che viaggerai costantemente nel buio più totale per gran parte delle giornate.
Se sei attrezzato e molto coraggioso, e vuoi conoscere il vero Capo Nord lontano dalla gran massa dei turisti, ti consiglio di cercare il sentiero lungo 9 km. di sola andata, per trovare il cippo. Ma è un percorso molto accidentato, senza mai un riparo in caso di necessità. Credo valga davvero la pena andarci. Devi cercare il percorso che ti porta a Knivskjellodden.
Per il resto, ti auguro buon divertimento.
P.S.: Non è solo una meta degli anni 70. Capo Nord , è sempre e sempre lo sarà, una delle tappe fondamentali per ogni viaggiatore.

Barbara ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Barbara ha detto...
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max ha detto...

Il profondo Nord, in effetti, ha scalpellato in noi ricordi indelebili fino agli strati meno superficiali della nostra anima. Ricordo nettamente la sensazione che provai nell'attraversare il "confine" della Lapponia svedese. Ricordo i gruppi di renne che si spostavano libere e indisturbate da una parte all'altra della strada. Ricordo la vista fugace di un esemplare giovane di alce nel vano tentativo di cercar di nascondersi alla nostra vista dietro gli alberi. Ricordo le lunghe strade, e talvolta assolutamente deserte, tagliare in due foreste immense. Ricordo un particolare a Knivskjellodden, , nel mentre si ammirava il mare di Barents e si strabuzzavano gli occhi nel vano tentativo di cercar di individuare le coste delle Isole Svalbard; il sorvolo sopra le nostre teste, e a una quota decisamente bassa, di un'aquila nel cercar di stanare la sua preda. Ricordo.. ricordo ancora tante cose di quelle terre...
Il Grande Nord regala emozioni vere a chi le sa cercare!
Grazie Barbara

Unknown ha detto...

MAX! OTTIMO SITO MOLTO INTERESSANTE!
STUPENDE LE FOTO ,COMPLIMENTI!!!

max ha detto...

Grazie mille per il tuo complimento! Le foto, in effetti, aiutano molto a capire di cosa abbiamo visto, se abbinate anche alla lettura del racconto. Grazie per averci visitato, ma seguici ancora!!

orizzonte65 ha detto...

Ciao, ho guardato e letto un po' qua e la. Quando ho visto la casa di babbo Natale ho stentato a riconoscerla, io ci sono stata a metà dicembre 2019, c'era tanta neve e tanto buio anche di giorno e sembrava di essere in una fiaba Il mio è stato un breve viaggio (solo 4 giorni) e penso che di tutto quello che hai visto te ne ho visto una milionesima parte :(
Forse un giorno ci tornerò.
Complimenti mi hai fatto innamorare di un luogo che fino ad oggi avevo vissuto come una fiaba.

max ha detto...

Che bellissima sorpresa ritrovare un nuovo commento sul nostro blog! Blog purtroppo oramai fermo, per cause di forza maggiore, da quasi 3 anni.
Ci ha fatto davvero un piacere enorme. Grazie!
Questo significa che la curiosità della gente non si è mai assopita, nonostante il periodo di chiusura, prima fisico e poi mentale, a causa dei lockdown più o meno imposti. Hai visitato un Paese, secondo noi, bellissimo.
Non potevi scegliere periodo migliore, in un luogo magico non solo per i più piccoli. Immagina che, dopo aver compiuto il mio 50esimo compleanno, durante il viaggio che hai appena letto, sono stato proprio io a voler andar a trovare il Grande Vecchio direttamente a casa sua. Quale miglior regalo una persona può ricevere?
Io, proprio piccolo, non credo di esserlo più da un bel pezzo. Ma grande è stata l’emozione di stringergli la mano e di udire direttamente dalla sua bocca che conosce molto bene la mia città, in quanto spesso la oltrepassava, per recarsi al mare d’estate in un luogo non molto lontano da dove viviamo.
Noi ci siamo stati in settembre, al ritorno da un altro luogo magico ed epico per chi viaggia. E, ovviamente, la luce incontrata in quel periodo era totalmente diversa da quella incantata che hai vissuto tu in dicembre, anche se per pochi giorni. Però, se avrai tempo e voglia di leggere di un’altra nostra impresa, vedrai che due anni dopo ci siamo cimentati in un lungo e faticoso viaggio in invernale, con tappa rigorosamente dedicata al Villaggio di Babbo Natale. Nelle foto e nel racconto, ritroverai le luci, l’atmosfera e la neve che avresti vissuto tre anni dopo il nostro viaggio artico verso Murmansk nel 2016.
Grazie ancora per aver visitato anche solo un pezzetto del nostro blog, che in parte condivide il nome con il tuo nick. Gli orizzonti sono fatti proprio per aguzzare il nostro sguardo ancora più lontano.